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“La fine dei vandalismi” Tom Drury, NNEditore, traduzione di Gianni Pannofino

“Non avrebbe saputo definire il sentimento che provava né cosa dire, se non che lo amava. E così gli disse, infatti. Le venne in mente che nella vita l’amore si intravede soltanto, lo si assaggia appena, a spizzichi.”(Louise)

 

Gianni Pannofino – il traduttore che è riuscito a rendere nella nostra lingua questo romanzo totalmente americano – nella sua nota, spiega come ha affrontato l’impresa:

“Sono arrivato a Grouse County e ho cercato di impararne usi e costumi, di sintonizzarmi emotivamente con il luogo e gli abitanti, cercando di offrirmi senza pregiudizi, senza preclusioni, come un foglio bianco”

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Ecco, anche il lettore che si avvicina al romanzo con l’intenzione non solo di leggerlo, ma di comprenderlo e accoglierlo nel suo personalissimo immaginario letterario, ha bisogno di sintonizzarsi col mondo di Grouse County. Quel mondo dei piccoli avvenimenti, della vita di tutti i giorni, delle difficoltà e delle gioie, dei contrasti, delle delusioni, calati nella cultura e nel modo di vivere delle contee rurali, in un paesaggio definito da stagioni senza mezzi termini. Caldo soffocante, tempeste di neve, piogge copiose non lasciano scampo ai suoi abitanti e ne definiscono anche i caratteri: a volte ruvidi e scostanti, altre temporeggiatori, altre ancora disillusi e cinici.

“Nelle due settimane successive piovve quasi sempre: la pioggia grigia e ininterrotta tipica di ogni autunno, che induce gli abitanti di Grouse County a domandarsi se le loro esistenze torneranno ad avere un minimo di senso prima dell’arrivo dell’inverno.”

Tutti si conoscono e sanno i fatti delle vite altrui; capita che li si sminuisca, oppure se ne elabori una versione diversa ad ogni bocca che la riferisce. E semplici avvenimenti diventano quasi leggende.

“Le dicerie possono durare a lungo a Grouse County, oppure riproporsi ciclicamente, come le stagioni.”

La vita a Grouse County scorre come un fiume placido per lunghi tratti, poi incontra dei salti che accelerano improvvisamente l’andatura e la fanno precipitare tra vortici, dai quali a volte si esce indenni, altre no.

Pagina dopo pagina, conosciamo i protagonisti: tanti, perché è così che sono composte le comunità. Persone, famiglie, fattorie: ognuno con le sue storie, di ieri e di oggi, lineari come una strada dritta che corre tra colture, o tortuose come una strada di montagna. E poi ci sono i tipici luoghi: i diner, i magazzini, i negozi sulla main street.

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Lo sceriffo Dan – “uno crede di avere un incarico e invece è l’incarico che ha lui” -, Louise, che divorzia da Tiny – che fa mille lavori e rubacchia qua e là -, Mary, Russell, Joan, Kleeborg…. Si entra pian piano nelle loro vite come guardandole da una finestra, dall’esterno. Si inizia a provare simpatia, avversione, scetticismo: perché Drury è proprio bravo a costruire questo mondo minimo e fartene sentire parte. E vai avanti a leggere perché vuoi sapere che ne sarà del bambino che Dan, lo sceriffo, ha trovato in uno scatolone abbandonato nel carrello di un supermercato, o cosa ne sarà di Tiny dopo che ha demolito l’installazione che i liceali hanno costruito per la festa dedicata alla “fine dei vandalismi”, o come se la caverà Kleeborg dopo che l’hanno investito…

Nello stile apparentemente lineare di Drury c’è sapiente abilità da artigiano della scrittura, come un bravo falegname che con uno scalpello piccolo, intaglia un pezzo di legno che pian piano rivela un disegno ben preciso, e lo fa a volte con serietà e pathos, altre con ironia e divertimento, altre con un tocco romantico, subito bilanciato da realismo quasi crudo che allontana ogni rischio di sentimentalismo.

“Dan e Louise furono gli ultimi ad andarsene, dopo il funerale. Louise inforcò un paio di occhiali scuri. (..) Non dissero nulla; si tennero soltanto per mano tra i sedili anteriori della Vega. I colori erano vividi e veri, ma in qualche modo loro due sentivano che stavano osservando il panorama senza più riuscire a farne parte.”

La fine dei vandalismi” è il primo volume della trilogia ambientata a Grouse County, (“A caccia nei sogni“, e “Pacifico“) che l’editore NN propone ripetendo il successo ottenuto con i romanzi di Kent Haruf.

Drury trilogiaRitroviamo qui l’ambientazione tipicamente americana del Midwest, la vita delle cittadine sparse per le contee rurali dove tutti si conoscono, dove lo scorrere del tempo è segnato dalle vicende umane singole ma al tempo stesso comunitarie. Ci sono però delle differenze sostanziali nel modo di raccontare queste vicende. Kent Haruf ci offre una visione molto nitida, dove è facile capire dove sta il bene e dove sta il male, chi sono gli “eroi” buoni, e chi gli antagonisti, e i suoi protagonisti positivi – anche se in passato hanno commesso errori, o forse in virtù anche di questo – non hanno dubbi su cosa sia giusto o no fare. In Drury questo confine è più sfumato; i personaggi, nella loro umanità, sono molto sfaccettati, hanno in sé il bene e il male, che vengono fuori in momenti diversi, rimanendo sempre molto contigui, perché loro stessi non sempre hanno chiaro cosa sia giusto, oppure pensano di saperlo salvo poi doversi ricredere. In Haruf c’è più enfasi sui rapporti umani e sulla loro valenza come elementi salvifici: il mutuo soccorso, il calore tra le persone, i tentativi di rimanere uniti. In Drury questo terreno è molto più minato: i rapporti si disgregano, ci sono diversi abbandoni, manca il calore familiare e quando qualcosa di simile al calore sembra emergere, dura poco. Sembra, spesso, che sia più il caso a prevalere sulle vite, piuttosto che le scelte. Bisogna dire, però, che la scrittura di Drury è illuminata da una sottile ironia, che fa vedere le cose in una prospettiva diversa, e che mette in gioco un ottimismo che fa pensare che alla fine ci si possa salvare. A livello stilistico, pur utilizzando entrambi la costruzione con narratore onnisciente, Haruf non ci dice mai cosa pensano i suoi personaggi, ma ce lo fa capire attraverso i loro comportamenti, le azioni che compiono, e i dialoghi. Drury, invece, imbecca di più il lettore, gli suggerisce di più cosa passa per la testa dei personaggi, focalizzandosi certo sulle azioni, sui dialoghi, ma disseminando più indizi, e in modo omogeneo, tenendo saldamente in mano tutto il quadro, anche perché ci sono molti personaggi/vicende minori, che però sono funzionali all’insieme/vita della comunità.

Potete leggere l’incipit qui

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Tutte le opere rappresentate sono di Edward Hopper