Correva l’anno 1987… giusto trent’anni fa uscì quel capolavoro assoluto del cinema: “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, che vinse al 40° Festival del cinema di Cannes il premio per la regia, seguito poi da numerosi altri riconoscimenti.

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wenders locandinaUno dei film più poetici che abbia mai visto. Un viaggio metropolitano, reale ed onirico allo stesso tempo, nel luogo che più simboleggia le ferite della Seconda Guerra mondiale e delle divisioni dell’Europa post bellica.

Wenders ama il poeta Rainer Maria Rilke e nel suo film se ne avverte tutta la presenza sul fondo, così come è tangibile la presenza dello scrittore e poeta Peter Handke, nel ricorrere della sua poesia e nel ruolo di co-scrittura di alcuni dialoghi del film.

 

“Quando il bambino era bambino,

era l’epoca di queste domande.

Perché io sono io, e perché non sei tu?

Perché sono qui, e perché non son lì?

Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?

La vita sotto il sole è forse solo un sogno?

Non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo

quello che vedo, sento e odoro?

C’è veramente il male e gente veramente cattiva?

P. Handke

L’ambientazione è Berlino:

“Città infinita, luogo di transito, città-viaggio, paesaggio di passaggio-passeggio tra il “materiale” del passato e l’“immateriale” del futuro-presente, Berlino, come il cinema, è spazio delle infinite possibilità, territorio in cui nulla è rimasto esperibile se non l’idea della “sconfinatezza”. Sconfinato è volare, e allora il film racconta  una storia di angeli che scrutano la città dall’alto dei suoi monumenti, quindi scendono fra gli uomini, perché “guardare non è guardare dall’alto, ma ad altezza d’occhi”. Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander), i due angeli, camminano per strada, affiancati ed eleganti nella loro lunga redingote nera, in un sogno molto reale in cui la vertigine del volo si annulla, alto e basso si conciliano e gli sguardi possibili si moltiplicano nell’orizzontalità della visione/cinema. Camminando ascoltano il vocìo confuso dei pensieri umani. Invisibili a tutti, solo i bambini li vedono e sorridono.”

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I versi recitati mentre gli uomini e gli angeli si muovono nei luoghi della città danno il senso di confine labile tra fiaba e realtà, tra un mondo terreno e uno spirituale.

Le immagini scorrono in bianco e nero seppiato quando sono gli occhi degli angeli a vedere, mentre riprendono il colore sotto lo sguardo umano. Si muovono tra le vie commerciali della vita comune e alcuni luoghi-simbolo, come la zona attorno al Muro, Potzdamer Platz, un tempo una delle più belle piazze in Europa, divenuta dopo la guerra una spianata desolata, in cui l’angelo Cassiel segue un uomo anziano di nome Homer che ricorda come era vivo in passato quel luogo. E poi la Biblioteca di Stato, il luogo principe della cultura, dove gli uomini cercano di elevarsi e dove gli angeli vivono e cercando di infondere coraggio agli uomini.

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“Uno studente di musica sta trascrivendo lo spartito di Hans Werner Henze, Das Ende einer Welt, “la fine del mondo”, e sembra un auspicio, forse si può dimenticare l’onnipresenza ossessiva del Muro. O forse no, a Berlino “in ogni caso non ci si può perdere, alla fine si arriva sempre al Muro“, dice Marion (Solveig Dommartin), la trapezista che vola leggera sulla sua corda. Dopo tanti anni ci si è abituati a quella ferita grigia nel cuore della città, e se i graffiti colorati ci scrivono sopra tutta la rabbia dei berlinesi, immaginare com’era il mondo prima sembra impossibile.”

Una scena molto poetica è quando l’angelo Damiel, camminando per la città, arriva di fronte ad un circo; vede Marion, bellissima, che fa la trapezista ma è molto triste e vive da sola in un camper. È affascinato da lei mentre la osserva ballare con la musica di Nick Cave mentre si muove per la città. Alla fine del film, dopo che Damiel è diventato umano, la incontra al concerto di Nick Cave e le parla; poi la osserva mentre esegue il suo numero.

Nel film compare anche l’attore Peter Falck che interpreta se stesso: si trova a Berlino per girare un film sul nazismo; si scopre che anche lui in passato era un angelo, che poi però aveva deciso di rinunciare a quella condizione.

Un’altra immagine toccante è quando l’angelo Cassiel assiste impotente – gli angeli non possono interagire con gli umani – al suicidio di un ragazzo che si getta da un palazzo.

Se nell’immaginario letterario è la terra che aspira ad elevarsi al cielo, nel film di Wenders accade il contrario, ed è il cielo sopra Berlino che aspira a scendere sulla terra. Gli angeli di Wenders hanno una forte aspirazione a divenire umani, ad avvicinarsi quanto più possibile alle persone; Damiel, spinto dall’amore per Marion, ci riuscirà.

“Vorrei sentire un peso dentro di me – dice Damiel al compagno – che mi levi questa infinitezza legandomi in qualche modo alla terra, non fluttuare così in eterno, vorrei poter dire ora, e ora, e ora, e non più da sempre… ritornare a casa dopo un lungo giorno, dar da mangiare al gatto come Philip Marlowe, avere la febbre, le dita nere per aver letto il giornale…

Il film ha un seguito in “Così lontano così vicino” che Wenders girò nel 1993.

Le citazioni sono prese dal sito “Cinema Indie-eye”.

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