La musica si fermò. Il cerchio si ruppe. Capita, a volte, che uno schiavo si perda in una breve vertigine di liberazione. In preda a un’improvvisa fantasticheria tra i filari di piante, o mentre sbroglia i misteri di un sogno di prima mattina. Nel bel mezzo di una canzone in una calda domenica sera. A quel punto arriva, sempre, il grido del sorvegliante, il richiamo al lavoro, l’ombra del padrone, qualcosa che gli ricorda che è un essere umano solo per un brevissimo istante rispetto all’eternità del suo essere servo.

La ferrovia sotterranea, di Colson Whitehead, Big Sur edizioni 2017, traduzione di Martina Testa

Whitehead foto luiIl romanzo di Whitehead ha suscitato grande interesse negli Stati Uniti, dove è stato indicato dall’ex presidente Barack Obama tra le sue letture preferite, ed è stato osannato dall’opinionista televisiva Oprah Winfrey; ma soprattutto, ha ottenuto il Premio Pulitzer e il National Book Award, fatto che non accadeva da più di vent’anni, esattamente dal 1981 quando fu John Updike, col suo capolavoro “Sei ricco, Coniglio”, a conseguirli. Un fatto straordinario che si spiega facilmente, soprattutto dopo averlo letto. Non dimentichiamo qual è il clima negli U.S.A. e chi è stato eletto presidente. Anche se il romanzo tocca un tema che non riguarda certo e soltanto gli afroamericani, e più in generale la società americana. Il tema della schiavitù, del traffico di esseri umani, delle vessazioni orribili di cui migliaia di persone sono vittime ai quattro angoli del pianeta, è, purtroppo, più attuale e globale che mai.

Il 2 dicembre si celebra la Giornata Internazionale contro la schiavitù, in ricordo del giorno del 1949 in cui l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui. Cosa abbiamo da celebrare? L’avere sancito un diritto sacrosanto che non è assolutamente rispettato? Credo che bisognerebbe ripartire proprio da zero, dalle fondamenta, per avere il coraggio di presentarsi ufficialmente in pubblico a pronunciare belle parole quando la terribile verità è sotto gli occhi di tutti.

Whitehead foto schiavi

Questo romanzo l’ho letto provando vari stati d’animo e mi sono tornata in mente quando, poco più che una ragazzina, lessi “Radici” di Alex Haley e “Ragazzo negro” di Richard Wright, letture consigliate dalle mie professoresse di italiano e inglese delle medie, che mi sconvolsero e mi lasciarono un segno indelebile. Forse oggi quei due romanzi non si leggono più, e allora è bene che i nostri ragazzi – e non solo loro – leggano questo romanzo.

Prima di entrare nel merito del romanzo in questione, vi segnalo anche un altro bellissimo libro: “La costa degli schiavi” di Thorkild Hansen, edito da Iperborea, che prende spunto dal fatto che ufficialmente la Danimarca fu il primo Paese ad abolire la schiavitù mentre, in realtà, il traffico di schiavi continuò per decenni.

 

Gli uomini nascono buoni e poi il mondo li rende cattivi. Il mondo è cattivo dall’inizio e diventa ogni giorno più cattivo. Ti usa e ti logora finché non sogni solo la morte. Mabel non aveva intenzione di morire lì dai Randall, anche se in tutta la vita non si era mai allontanata più di un paio di chilometri dai confini della tenuta. Una notte a mezzanotte decise, sul solaio soffocante: Io sopravviverò – e la notte dopo a mezzanotte era già nella palude, a inseguire la luna con un paio di scarpe rubate.

(..) Il mondo può anche essere cattivo, ma le persone non devono esserlo per forza, possono rifiutarsi.

 

whitehead schiavi bambini cotoneAl centro della storia c’è Cora, una ragazzina che vive nella tenuta dei Randall, proprietari di immense piantagioni di cotone in Georgia, nella prima metà dell’Ottocento. Sua nonna Ajarri, era stata deportata da un villaggio dell’Africa ed era sopravvissuta a “passaggi di proprietà” e angherie di ogni genere; sua madre, Mabel, è stata l’unica schiava della piantagione a fuggire, e a non essere riacciuffata. Cora se la passa male nella piantagione: da quando è rimasta da sola – aveva solo dieci anni – è stata emarginata dai suoi stessi compagni; ha però un carattere forte e non è disposta a tollerare le tremende torture e vessazioni che vengono quotidianamente inflitte agli schiavi. Insieme a Caesar, decidono di fuggire dalla piantagione: inizia così la loro corsa verso la libertà, passando attraverso Carolina del Sud, Carolina del Nord, Tennesse, Indiana e poi verso il Nord. La fuga si concretizza per mezzo della ferrovia sotterranea, una espressione americana che indica il percorso segreto utilizzato dagli schiavi in fuga: una rete di persone che aiutava, anche a rischio della propria vita, i fuggiaschi e che qui, nel romanzo, diventa qualcosa di concreto, fatto di cunicoli e gallerie, di rotaie e treni e vagoni. Un espediente quasi magico, alla García Marquez, che diventa elemento concreto, tangibile, davanti allo sguardo sbalordito di Cora:

(..) gli uomini e le donne che avevano fabbricato la ferrovia sotterranea. Quelli che avevano sbancato un milione di tonnellate di terra e roccia, sgobbato nel ventre della terra per liberare gli schiavi come lei. Che avevano sostenuto tutte le altre persone che accoglievano in casa i fuggiaschi, gli davano da mangiare, se li portavano in spalla verso il Nord, morivano per loro. (..) Chi diventi, dopo aver realizzato un’opera così magnifica?

Cora è l’eroina perfetta: la sua fuga è una appassionante storia di avventura, di quelle che ti tengono col fiato sospeso perché il pericolo è sempre dietro l’angolo, ha la faccia dei cacciatori di taglie, quella malvagia di Ridgeway, che già aveva inseguito senza successo sua madre e che ora vuole assolutamente ritrovare Cora, perché ne va della sua credibilità; ha l’aspetto sinistro dei bianchi per i quali i neri sono delle proprietà di cui possono disporre come meglio – o peggio – credono; ha gli inquietanti contorni di una falsa protezione che nasconde invece il tentativo di dominare, con forme diverse, gli schiavi liberati. Ma nella sua odissea, Cora incontra anche persone capaci di sentimenti e gesti positivi; persone disposte a nasconderla, a proteggerla finché gli è possibile e aiutarla a fuggire, a costo della propria vita. Una storia dunque che passando attraverso l’orrore e il dolore, lascia intendere che la speranza è l’unico faro che può illuminare anche la notte più buia e che la grandezza dell’essere umano sta proprio nel non arrendersi a perderla anche quando tutto sembra perso.

Whitehead copertina usaLa scrittura di Whitehead è molto limpida: precisa e affilata nei dialoghi, dettagliata nelle descrizioni, realistica e sarcastica quando affronta le crudeltà inflitte agli schiavi, senza mai cadere nel patetismo e nella spettacolarizzazione del male. È un bel romanzo, quasi classico nel dipanarsi della storia e nella costruzione, nel respiro di epopea, che riesce a tenere sempre viva l’attenzione del lettore; non so se lo si possa definire un capolavoro, ma di certo si distingue dai molti romanzi costruiti attorno al nulla eppure divenuti famosi. È sì un romanzo che parla della schiavitù degli afroamericani, ma possiede un respiro più ampio, che pone interrogativi etici e culturali, che stimola la riflessione su ciò che sta accadendo ad esempio molto vicino a noi, al di là del Mare Nostrum che ogni giorno di più viene solcato da scafi molto simili a quelli che si avventuravano nell’Atlantico.

Copio il link all’editore: https://www.edizionisur.it/catalogo/bigsur/la-ferrovia-sotterranea/

L’incipit potete leggerlo qui.