Alla camera ardente trovo una sala d’attesa ampia e spaziosa, in cui si addensa la nebbia, che invece fuori si sta diradando. C’è una luce soffusa, di nuovo del colore dei fiocchi di neve, proviene da lampade a muro a forma di candela parecchio distanti l’una dall’altra. (..) Sulla destra ci sono diverse file di sedie di plastica, fissate a una struttura di ferro, sulla sinistra, invece, poltrone disposte attorno a tavolini con vasi di fiori finti. Sulle sedie vedo molte persone che attendono il proprio turno, nell’area delle poltroncine ci sono soltanto cinque tizi, spaparanzati, con una gamba appoggiata sull’altra e l’aria tronfia. Quelli sulle sedie, dall’altra parte, sono seduti composti. Con la destra guantata (..) mi spiega che quella è l’area riservata ai vip: io faccio parte della gente comune, sono destinato alle sedie di plastica.

Il settimo giorno, di Yu Hua, Feltrinelli editore 2017, ed. originale 2013, traduzione di Silvia Pozzi, illustrazione in copertina di Antonio Sortino

Questo è il primo romanzo di Yu Hua che leggo, incuriosita dal fatto che sia ambientato in Cina e dal successo che i precedenti lavori dello scrittore cinese hanno riscosso in tutto il mondo. Tranne in Cina, dove questo romanzo è stato sminuito se non criticato e dove la sua raccolta di saggi “La Cina in dieci parole” è impubblicabile.

La Cina mi incuriosisce molto; la sua cultura millenaria, la Rivoluzione, mi sono noti. La realtà attuale, il neo capitalismo e la corruzione dilagante, l’inquinamento, l’industrializzazione e la corsa edilizia molto meno. Per questo mi sono decisa a leggere questo romanzo, appena uscito in Italia; ma soprattutto perché, scorrendo i risvolti di copertina, sono stata immediatamente attratta dall’espediente narrativo attraverso il quale l’autore ci porta a conoscere il suo Paese.

La storia prende inizio quando il protagonista Yang Fei muore e deve recarsi alla camera ardente per farsi cremare, e prosegue lungo i sette giorni che sono il periodo in cui le famiglie dei defunti possono dedicarsi alle esequie e a onorare il defunto. Cosa che per Yang Fei non può accadere in quanto tutti i suoi cari sono già defunti, come lui stesso scoprirà nel suo viaggio attraverso il non-luogo che scoprirà essere l’aldilà. E allora non gli resta che indossare lui stesso la fascia nera del lutto e vagare.

In questi sette giorni Yang Fei cammina per la sua città fino ad arrivare ad un luogo dove si raccolgono tutti i defunti che non hanno trovato degna sepoltura; qui incontrerà molte delle persone che aveva perso di vista o che sapeva morte, e dipanerà il filo delle loro vite, fino a scoprire il loro destino e le cause della loro morte. Ci saranno molti incontri, con persone significative nella sua vita ma anche con persone che ha incontrato e conosciuto per caso; tutte abbracciate con grande affetto e un forte senso di pietà e di vicinanza emotiva.

Durante questo vagabondare Yang Fei ripercorre la sua stessa vita, adagiandosi tra i ricordi, tornando alla sua infanzia, ripensando ai volti delle persone che hanno accompagnato la sua esistenza. Yang Fei può solo essere un osservatore, può ascoltare le storie e meditare su di esse, scoprendo particolari che non conosceva e avendo almeno la consolazione di conoscere il destino di tante persone che gli sono state care.

Mentre le parti relative alla sua vita da morto e ciò che viene a scoprire sono assolutamente liriche e nostalgiche, e il suo cuore si stringe e rimpiange ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, i racconti della sua vita da vivo e delle vite delle persone che ha conosciuto e amato, ci offrono un ritratto assolutamente realistico e a tratti feroce della società cinese attuale. Pur mantenendo uno stile lieve ed ironico, Yu Hua non nasconde niente di quelle che sono le contraddizioni e le distorsioni della Cina di oggi.

Il cambiamento veloce e la necessità di trasformare la Cina in una potenza mondiale, se da un lato fanno intravedere ai cittadini le grandi potenzialità dello sviluppo verso un tanto agognato traguardo di benessere, dall’altro mettono in atto politiche di attuazione che poco si curano degli individui, soprattutto di quelli appartenenti ai ceti più deboli, contrapposti ai funzionari di stato e ai nuovi imprenditori affamati di guadagni facili e veloci, disposti a foraggiare la corruzione dilagante che tutto mette a tacere quando gli interessi personali e di casta vengono toccati. Ecco che allora c’è una scala per definire gravità degli “incidenti” che accadono quando interi palazzi vengono abbattuti per fare posto ad altri e magari qualcuno ci resta sotto: le autorità nascondono la verità e a quei morti non viene nemmeno riconosciuta l’esistenza.

La campagna è stravolta o cementificata, le acque sono inquinate ma tutto deve sembrare perfetto in nome di un progresso e di un arricchimento che non guarda in faccia nessuno, soprattutto i milioni di persone costrette a vivere al di sotto della soglia della povertà, “la tribù dei topi”, annidata in rifugi sotterranei, come dei topi nascosti nelle viscere della terra. Yang Fei ci racconta storie allucinanti: come i neonati e i feti gettati nelle acque del fiume e catalogati come “rifiuti ospedalieri da smaltire”. Come le ragazze la cui aspirazione è diventare una escort di lusso. O come chi per comprare una tomba per la fidanzata è costretto a vendere un rene illegalmente.

A questa attualità aberrante, dai racconti del passato delle persone che Yang Fei incontra e da lui stesso, arriva la nostalgia per un tempo in cui sicuramente la gente non navigava nell’oro ma concetti come l’importanza dei legami affettivi, la solidarietà all’interno dei villaggi e dei quartieri della città venivano in aiuto a chi si trovava in difficoltà, in una dimensione di umanità più diffusa.

Yu Hua costruisce il romanzo facendoci passare attraverso il paese dei morti ma la destinazione del viaggio è l’amore per la vita, così come la consapevolezza che forse è meglio fare passi meno veloci verso il “progresso” e costruire una via più umana, più rispettosa delle persone e dell’ambiente. In questo, lo sguardo si allarga e abbraccia non solo la Cina, ma tutte le società sviluppate o in via di sviluppo e il romanzo assume una dimensione globale, che travalica la specificità della società in cui è ambientato.

Yu HuaYu Hua è nato nel 1960 a Hangzhou. Figlio di un’infermiera e di un medico, trascorre lunghi pomeriggi dell’infanzia a giocare nei corridoi dell’ospedale. Lì fa il suo apprendistato di scrittore. È considerato uno dei migliori autori della nuova generazione. Ha pubblicato Torture (Einaudi, 1997), L’eco della pioggia (Donzelli, 1998), Cronache di un venditore di sangue (Einaudi, 1999), Le cose del mondo sono fumo (Einaudi, 2004), Racconti d’amore e di morte(Hoepli, 2010) e, con Feltrinelli Brothers, in due volumi (2008, 2009), Vivere! (2009), con il quale ha vinto il premio Grinzane Cavour e da cui è tratto il film omonimo di Zhang Yimou del 1994, La Cina in dieci parole (2012) e Il settimo giorno (2017).

Copio il link all’editore: http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/il-settimo-giorno-1/#conosci_autore

L’incipit lo potete leggere qui.