Incredibile quanto fosse leggera! Come se fosse di carta. Come una bambola di carta. (..) Leggera … Le scale di legno della casa, generalmente rumorose, non scricchiolavano mai quando lei ci camminava sopra. E, così come i suoi passi, ogni cosa era leggera: il modo di vestirsi, il modo di parlare, il modo di sospirare.

 Anche il biancore del suo viso (..) aveva il gelo e l’immobile impenetrabilità di una maschera. (..) Anche le sue lacrime avevano la stessa irrealtà dei cartoni animati.

La Bambola, di Ismail Kadare, La nave di Teseo 2017, traduzione di Liljana Cuka Maksuti, in copertina foto di Mark Power

Inizia con questo ricordo della madre l’ultimo romanzo di Ismail Kadare, l’autore albanese più conosciuto, prolifico quanto amato da schiere di lettori, ma anche criticato da alcuni per una non chiara presa di distanze dal regime di Hoxha; un nome che viene spesso citato quando si parla di Nobel. Il romanzo è autobiografico e ripercorre la vita del suo protagonista, partendo dai genitori, in particolare puntando l’attenzione sulla figura enigmatica della madre. La storia prende l’avvio dal ritorno nella città natale del protagonista, Argirocastro, al capezzale della madre che sta morendo.

Il ritorno, fisico, in patria è l’occasione per un ritorno mentale al passato, un viaggio nella memoria, partendo dalla figura della donna che poi è diventata sua madre. Una figura su cui il figlio si è posto molte domande, sia da bambino e adolescente, che da adulto, cercando di arrivare all’essenza di questa donna spesso ambigua, dai comportamenti difficili da decifrare, almeno finché, con la maturità e analizzando quella che è stata la sua storia, la cultura in cui è cresciuta e gli eventi che ha vissuto, non lo portano ad avvicinarsi ad una comprensione piena.

Kadare racconta con quale animo sua madre, allora diciassettenne, timida e inesperta della vita, entrasse nella enorme ed austera casa della famiglia del marito, dove era presente persino una prigione: unica nuora di una suocera burbera, forte di una fama di donna intelligente e saggia, e naturalmente dispotica. Possiamo ben immaginare lo stato d’animo di questa ragazza, abituata a relazionarsi solo con i membri della sua famiglia, cresciuta praticamente in casa, in un ambiente che imponeva alle donne ruoli di sottomissione e riservatezza. Per lei l’abbandono della casa paterna e l’ingresso in quella coniugale era come un salto nel buio. Siamo nell’Albania degli anni Trenta e i matrimoni venivano decisi tra le famiglie: la famiglia di lei, i Dobi, e quella del marito, i Kadare. Due famiglie diverse, come riassume l’autore:

La principale differenza che cadeva all’occhio era che mentre la maggior parte del clan Dobi era in vita, i Kadare erano morti. (..) I Dobi possedevano, il che significava che erano ricchi, i Kadare no. (..) L’alleanza era stata sbagliata fin dal principio, mentre il motivo del loro apparentamento non si era mai saputo.

La vita accanto alla suocera non sarà facile, né la presenza del marito e il suo comportamento da giudice – mutuato dal suo lavoro all’intero del tribunale – riuscirà a mantenere un’atmosfera distesa. Tuttavia, anche dopo la morte della suocera, l’atteggiamento ambiguo della donna non cambierà, perché se è vero che non dovrà confrontarsi con il timore che la suocera le imponeva, saranno altre paure a insidiare la sua esistenza. E Ismail le comprenderà molto più avanti, dopo che se ne sarà andato via di casa per studiare prima a Tirana e poi a Mosca, quando anche la madre e il padre lasceranno la casa di Argirocastro per trasferirsi nella capitale, dopo avere intrapreso la sua carriera letteraria e, soprattutto, dopo avere presentato a casa la sua fidanzata, durante un pranzo in cui gli sembrerà di assistere ad uno slittamento dei ruoli: lui nella parte di suo padre, Helena in quella della madre e sua madre nei panni della suocera. Una specie di dejavú, un proseguimento della storia ciclica tra le generazioni.

Parallelamente, Kadare ci guida attraverso il suo percorso di crescita artistica, da quando, ancora ragazzino, sognava di scrivere romanzi e con il suo compagno di giochi inventava slogan roboanti per pubblicizzarli, fino a quando sarà un intellettuale di spicco in Albania. Paese che però deciderà di abbandonare per chiedere asilo politico in Francia per protesta contro il regime comunista, e nel quale tornerà dopo la caduta del regime.

Kadare, dedicando alla madre questo suo memoir, riesce a donarle un ruolo di presenza importante, a dispetto del suo carattere sfuggente, nonostante la sua fragilità che come una bambola di porcellana potrebbe facilmente andare in frantumi e soprattutto dimostrando di non averla dimenticata né rinnegata, come lei invece temeva di fronte a questo figlio divenuto importante. Un romanzo intimo sorretto da una prosa molto efficace e puntuale, così come da una grande capacità di dare forma al rapporto madre-figlio, ai legami con le proprie origini e la propria terra.

Kadare fotoIsmail Kadare è considerato uno dei più grandi autori europei. Nato e cresciuto in Albania, ha lasciato il paese nel 1990, in contrasto con la dirigenza comunista, e ha chiesto asilo politico in Francia. La sua opera va dalla poesia alla narrativa alla saggistica. Ha vinto il Prix Méditerranée per stranieri con La Pyramide. Dal 1996 è membro associato a vita dell’Académie des sciences morales et politiques. Nel 2005 gli è stata riconosciuta la prima edizione dell’International Booker Prize mentre nel 2009 vince il premio Principe delle Asturie. È stato più volte candidato alla selezione finale per il Premio Nobel ed è membro d’onore dell’Académie française.

Copio il link all’editore: http://www.lanavediteseo.eu/item/labambola/

L’incipit potete leggerlo qui. Qui trovate la mia recensione al romanzo “L’aquila“.