La vita è un ripostiglio, dice lui, una baraonda, l’ordine arriva solo alla fine. Guarda, dice lei, prende un boa di piume rosa acceso e se lo mette al collo, è come sul Titanic, e spalanca le braccia. L’abito luccica. Oggi sono la Marlene. L’uomo è indaffarato tutta la vita ad ammassar roba, dice lui, magari ci troviamo anche un pensionato qua dentro a far ragnatele, dice lui e rovista fra casse e scatole, sgobbi una vita con una passione grande come il mare, e non appena arrivi all’ultimo giorno ti mettono in un armadio finché non viene il buon Dio a tirarti fuori.

La cura, di Arno Camenisch, Keller editore, 2017, ed. originale 2015, traduzione di Roberta Gado.

Da questa citazione e dall’incipit si capisce lo stile narrativo di questo breve ed intenso romanzo di Camenisch: un linguaggio che porta all’estremo l’essenzialità, ripulendo tutto quanto di superfluo toglierebbe immediatezza, affidandosi all’arma potente del dialogo, uno scambio continuo di battute neanche virgolettate, fluido, con cui i due protagonisti si rivelano pienamente, mettendo a nudo i loro caratteri, il vissuto e l’atteggiamento verso la vita. Poche, quasi dei fotogrammi, ma efficaci frasi a definire il paesaggio, del resto talmente bello da non avere bisogno di dilungarsi in lunghe e inutili descrizioni.

Engadina-bernina-express

L’ambientazione è l’Engadina, il suo superbo contesto montano, le cime rilucenti, i boschi, i laghi quasi incantati e l’aria frizzante, splendente nel sereno e maestosa quando il cielo si rabbuia e geme nei tuoni fragorosi, amplificati dalle eco che rimbalzano sulle rocce. L’Engadina tanto cara a Segantini, che proprio lì decise di scegliere il suo habitat naturale, che ritrasse in quadri indimenticabili e dove, alla fine, salutò il mondo.

Questo “piccolo”, nel senso di breve, capolavoro è un perfetto quadro di vita: quella specifica e peculiare di due persone in là con gli anni, e quella universale, dove scaturisce il senso della vita e si pongono le domande escatologiche universali.

Una coppia di pensionati vince alla tombola un soggiorno di quattro giorni in un prestigioso hotel in Engadina. Un hotel extra lusso di fronte al quale le reazioni dei due sono completamente diverse: affascinata ed eccitata lei, timoroso degli “extra” e di potenziali pericoli lui.

Il contesto in cui si ritrovano è così lontano dalla loro quotidianità, che, come una cartina al tornasole, scatena due reazioni totalmente diverse, ma assolutamente in linea con le due divergenti personalità. Per lei questa è l’occasione di tornare a sognare, ad immaginarsi di nuovo giovane e desiderosa di fare ciò che finora le è stato precluso, di ricominciare fare progetti per il futuro. È eccitata da tutto quello che vede, dentro e fuori l’hotel, ha voglia di fare passeggiate, di andare alla cena di gala, al concerto.

Domattina andiamo in carrozza, dice lei, renditi conto, noi due in carrozza, è tanto che lo sogno. (…)

Voglio perdere di nuovo la testa così, dice lei, innamorarmi ancora, una volta sola ma con annessi e connessi e compagnia bella.

Lui vede tutto come una potenziale minaccia e continua a ipotizzare tutte le possibili morti a cui andranno incontro, riesumando dalla memoria i nomi di suoi conoscenti che guarda caso si sono ritrovati stecchiti per le loro imprudenze. L’unico aspetto positivo che riesce a cogliere in questo viaggio nel lusso, è l’abbondanza e la qualità del cibo. Per il resto, borbotta e critica, tenendosi ben stretto il sacchetto di plastica in cui ha infilato tutti gli oggetti che gli danno sicurezza: la radio, la torcia, le pile di scorta, il pettine … il suo ristretto perimetro di vita, scialbo e immutabile, ma che infonde fiducia.

Sei contenta adesso, dice lui alzando le braccia. Bene, allora possiamo tornare su, cosa c’è da vedere qui al lago, meglio se ci mettiamo a guardare il telegiornale nella sala della tivù così sappiamo cos’é successo in giro, o meglio ancora facciamo che risalire subito in pullman e andiamo via, se ci sbrighiamo riusciamo persino a prendere l’ultimo treno e poi ci restiamo sopra tranquilli fino a casa, e di premio ci concediamo il taxi alla stazione per finire in gloria la giornata. Però se va male ci piomba un albero sul pullman e addio, oppure deraglia il treno perché il macchinista è ubriaco un’altra volta e va avanti a bere e moriamo in fondo a una gola che non ci trovano neanche più, si mette la mano in fronte, siamo in trappola.

Attraverso i quarantasette quadri che compongono il romanzo, intensi quanto coinvolgenti, con una scrittura ironica e sottile, leggera ma capace di spingere in profondità, di toccare i grandi quesiti della vita, Camenisch ci solletica, ci lascia intravedere come potremmo essere quando saremo in là con gli anni, e, con un filo di malinconia, ci suggerisce di non rinunciare ai sogni.

Camenisch scrive in romancio sursilvano, una lingua antica che ha diverse anime: il ladino, i dialetti friuliani e lombardi, il tedesco, i dialetti svizzeri. Un incrocio di idiomi e di genti che nelle valli come l’Engadina rappresenta un apparentamento di riconoscibilità e continuità culturale.

arno-camenisch-04Arno Camenisch (1978), nato e cresciuto a Tavanasa nei Grigioni. Ha studiato all’Istituto svizzero di letteratura di Bienne, città in cui vive e lavora. Per l’editore Urs Engeler ha pubblicato nel 2009 il volume Sez Ner, seguito nel 2010 da Hinter dem Bahnhof (Dietro la stazione) e nel 2012 da Ustrinkata.
I testi di Camenisch sono tradotti in diciotto lingue. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Hölderlin (sezione esordienti) nel 2013, il Premio federale di letteratura nel 2012, il Premio bernese di letteratura nel 2011 e nel 2012, nonché il Premio Schiller ZKB nel 2010. La traduzione italiana di Sez Ner è uscita nel 2010 per Casagrande a cura di Roberta Gado mentre Dietro la stazione e Ustrinkata sono inseriti nel catalogo Keller.

Qui il link all’editore