La tempia ancora dolorante, Mai guardò fuori dal finestrino della timoniera. Da lì sopra si vedeva la barca in tutta la sua lunghezza e larghezza: ogni centimetro intasato di stracci e capigliature nere e carne cotta al sole. Lì sopra sarebbe stato il posto migliore per contare le persone. Si costrinse a distogliere gli occhi dalla tanica dell’acqua e a guardare invece il cielo. Neanche una nuvola in vista. Ma il cielo era ingannevole, sembrava uguale dappertutto. Guardò l’orizzonte, lungo e pallido e piatto tutto intorno a loro. In qualunque direzione guardasse, digradava nell’acqua a perdita d’occhio.

I fuggitivi, di Nam Le, Guanda editore 2009, traduzione di Elisa Banfi, ed. originale 2008, titolo originale The boat

Si tratta di una raccolta di sette racconti che prende il titolo (anche nell’edizione originale) dall’ultimo; il primo racconto e l’ultimo hanno un legame tra loro in quanto entrambi hanno dei riferimenti autobiografici, mentre gli altri cinque sono ambientati in giro per il mondo e presentano al lettore storie completamente diverse seppure accomunate da alcuni elementi, sia stilistici che tematici.

Nam Le fotoPartiamo dall’autore, Nam Le: di origine vietnamita, la sua famiglia è una delle boat people che, in fuga dal regime comunista, dopo vari passaggi, è riuscita ad arrivare e stabilirsi in Australia. Nam Le aveva pochi mesi, dunque è cresciuto e ha studiato in Australia, portandosi dietro il bagaglio culturale del suo paese d’origine e le vicende travagliate della guerra del Vietnam e di tutto quello che ne è seguito (come i campi di rieducazione, che suo padre ha sperimentato). Laureato in Legge, Nam Le però abbandona la carriera di avvocato, si trasferisce negli U.S.A., e dà seguito alla sua vocazione di scrittore iscrivendosi ad una famosa scuola di scrittura creativa in Iowa, e poi seguendo altri corsi in varie università.

Questa specifica vicenda la troviamo nel primo racconto: il protagonista, ex avvocato, vive in Iowa dove frequenta un corso di scrittura creativa e dove riceve una visita dal padre dall’Australia. Questo racconto trova la sua giusta collocazione in apertura della raccolta e il titolo ne lascia intendere il motivo: “Amore e onore e pietà e orgoglio e compassione e sacrificio”. Vi dice qualcosa questa lista di parole? Le ce lo spiega: William Faulkner, nel 1950, nel suo discorso all’accettazione del Nobel, elencò questi elementi come essenziali nell’opera di qualsiasi scrittore che voglia produrre storie interessanti e appassionanti. Allora Nam Le qui mette un primo punto fermo: questo è ciò che ci possiamo aspettare dalle sue short stories. Inoltre, Le introduce un altro elemento, la narrativa di tipo etnico facendo chiedere al suo protagonista (alter ego) se questo aspetto possa essere un fattore di interesse per il pubblico:

La settimana prima dell’arrivo di mio padre, un amico mi rimproverò per il mio persistente disfattismo. «Blocco dello scrittore?» (..) «Come fai ad avere il blocco dello scrittore, tu? Scrivi una storia sul Vietnam e chiuso.» «Va molto» mi aveva detto un docente di scrittura al bar. «La letteratura etnica va molto. Ed è anche importante.» Un paio di agenti letterarie invitate a tenere una lezione la vedevano in maniera simile: «Gli scrittori raffinati non mancano» aveva detto una delle due. «Quello che devi chiederti è cosa ti distingue dagli altri»«Il tuo background, la tua esperienza di vita.»

Altri cercano di dissuaderlo, dicendo che alla fine si parla solo di piatti esotici e che i personaggi sono tutti piatti allo stesso modo. Ma quello che Nam Le mette nei suoi racconti è altro, e ce lo dice per bocca del suo amico:

(..) tu potresti anche scrivere dei boat people vietnamiti e basta. (..)  Tu potresti sfruttarla alla grande, questa storia del Vietnam. Invece preferisci scrivere di vampire lesbiche e assassini colombiani e orfani di Hiroshima. E di pittori newyorkesi con le emorroidi.»

 Ecco, in sintesi, con questo trucco di meta narrazione, la dichiarazione d’intenti dell’autore. Un po’ di mestiere, lo si nota bene, da scuola di scrittura …

Di mestiere, poi, se trova tanto all’interno della raccolta: dalla scelta strategica delle ambientazioni (Teheran, Hiroshima, New York, Medellin, una cittadina di pescatori sulla costa australiana), alla costruzione del racconto per frammento, ai dialoghi ellittici, alla tragicità delle storie. Insomma, da Faulkner, Nam Le ha preso spunto e messo in pratica tutto ciò che il grande romanziere suggeriva.

Dunque, un riuscito esercizio di stile? Si direbbe, visto la calorosa acclamazione con cui è stato salutato, le parole roboanti, gli endorsment eccellenti, i premi letterari.

Non posso dire che la raccolta non mi sia piaciuta; oltre al mestiere, c’è anche molto talento, questo va detto, ma credo bisognerà aspettare che l’autore si lasci alle spalle tutto quello che ha appreso sul versante teorico e si lasci andare sul piano umano ed emotivo. A mio modestissimo parere, lo ha fatto bene in due racconti, “Cartegena” e “I fuggitivi”.

“Cartagena” è ambientato nei quartieri tenuti in scacco dai signori della droga a Medellin; non ve lo racconto, perché merita davvero. Nella sua crudezza è il ritratto spietato e senza abbellimenti della realtà degli adolescenti che vivono su quelle strade.

I fuggitivi” è molto credibile perché si porta dentro racconti che l’autore avrà sentito svariate volte nella sua cerchia familiare e ne ha saputo trasmettere a noi lettori tutta la disperazione.

È, infatti, il resoconto degli interminabili tredici giorni di traversata dal Vietnam alla Malesia di un barcone stracarico – uomini, donne, bambini – in fuga dal regime comunista nord vietnamita che ha sconfitto gli americani e ha preso il controllo di tutto il paese. La traversata avrebbe dovuto durare quattro o cinque giorni ma i motori in avaria a causa di una tempesta, mandano il barcone alla deriva, senza viveri e con pochissima acqua, sotto il sole cocente.

Concludendo, posso dirmi soddisfatta di averlo letto e sono sicura che Nam Le riuscirà  ad essere sempre più convincente.

Qui il link all’editore

L’incipit potete leggerlo qui.