So poco della notte
ma la notte sembra sapere di me,
e in più, mi cura come se mi amasse,
mi copre la coscienza con le sue stelle.

Forse la notte è la vita e il sole la morte.

Forse la notte è niente
e le congetture sopra di lei niente
e gli esseri che la vivono niente.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nell’enorme vuoto dei secoli
che ci graffiano l’anima con i loro ricordi.

Ma la notte deve conoscere la miseria
che beve dal nostro sangue e dalle nostre idee.
Deve scaraventare odio sui nostri sguardi
sapendoli pieni di interessi, di non incontri.

Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa.
La sua lacrima immensa delira
e grida che qualcosa se n’è andato per sempre.

Un giorno torneremo a essere.

Pizarnik la figlia dell'insonniaAlejandra Pizarnick è stata una grande poetessa argentina e una amica intima di Julio Cortázar. Si scrissero numerose lettere, che esprimevano un grande valore emotivo poiché Julio cercò di aiutare Alejandra a uscire dalla depressione che per lunghi periodi la tenne in scacco. Alejandra era una persona insicura, con scarsissima autostima, soprattutto legata al suo aspetto fisico (quel corpo odiato quando era un’adolescente bruttina, balbuziente e asmatica, e poi “lavorato” fino a farlo diventare quello di una pallida, stravagante bohémienne)* , e Julio, con amore e intimità, le era vicino anche con la parola scritta.

Alejandra era figlia di immigrati russi ebrei che erano fuggiti dall’Europa per stabilirsi in Argentina, dove lei nacque poco dopo, nel 1936, a Buenos Aires. Fu una divoratrice di letture; si laureò in Lettere e filosofia e nel 1960 si trasferì a Parigi, dove rimase per circa quattro anni, collaborando con la rivista letteraria Cuadernos e con varie case editrici, soprattutto come traduttrice (tradusse tra gli altri Antonin Artaud). In quello stesso periodo si iscrisse alla Sorbona, al corso di storia delle religioni.

Tornata a Buenos Aires, si concentrò sulla sua produzione poetica; in questi anni scrisse “I lavori e le notti“, “Estrazione della pietra della pazzia” e “L’inferno musicale“, connotata dalla fusione tra prosa e poesia, spezzata in brevi frammenti . Nel 1969 scrisse un testo in prosa, “La contessa sanguinaria“, una nouvelle gotica.

Chi illumina

Quando mi guardi
i miei occhi sono chiavi,
il muro ha segreti,
il mio timore parole, poesie.
Solo tu fai della mia memoria
una viaggiatrice affascinata,
un fuoco incessante.

“Versi tanto brevi e scarni quanto immediati, materici, visionari. L’inquietudine di Alejandra rianima gli spiriti dei suoi maestri letterari – in particolare Nerval, Artaud e Blake – alimentando le braci verbali con gli aneliti del proprio annaspare. La sua vita è tutta un tentativo di crearsi un’identità attraverso le parole, di essere sorretta e protetta da un linguaggio che accolga quel malessere senza voce (o con troppe voci) che sgorga informe da tutti i suoi gangli. Un tentativo di “estrarre la pietra della follia. Non la pietra dalla follia”.

Ma se da una parte il linguaggio è una forma di salvezza, dall’altra è l’incarnazione dell’impossibilità di dire (di dirsi).” Francesca Ruina, su Doppiozero

Alejandra a Buenos Aires si sentiva estranea perché non vi erano radici, e non sentiva del tutto sua nemmeno la cultura di quel paese, si sentiva più vicino agli autori francesi – in particolare dai surrealisti -, a Kafka.

 

alejandra_pizarnik

“Alla poesia, i Diari e le lettere fanno da controcanto, svelando dolori, difficoltà, passioni quasi ossessive (come quella, ultima, per l’anziana Silvina Ocampo), e confermando il desiderio per il corpo femminile, il rapporto difficile con la famiglia e con la madre, gli eccessi, le lunghissime insonnie, le amicizie fedeli (Cortázar, Olga Orozco, la Molloy, lo psicanalista Léon Ostrov), le molte maschere, prima fra tutte quella di bambina orfana della propria infanzia, che Pizarnik non poteva fare a meno di indossare. Ma in primo luogo ci mostrano un retrobottega letterario complesso e quanto mai interessante, cui farebbe da perfetta epigrafe la risposta data da Alejandra durante un’intervista del 1972: “Anche se essere donna non mi impedisce di scrivere, credo che valga la pena di partire da una lucidità esasperata. Per cui affermo che essere nata donna è una sfortuna, come lo è essere ebreo, essere negro, essere poeta, essere argentino, ecc. È chiaro che la cosa importante è quel che facciamo delle nostre sfortune”.

(…)

Dopo diversi ricoveri in cliniche psichiatriche, grazie a un breve “licenza” concessa dai medici tornò nella sua casa di Buenos Aires, piena di bambole e fantocci smembrati, di animaletti in legno e metallo, di mobili insolitamente piccoli e di carte, carte dappertutto: ritratti di scrittori defunti, labirintici disegnini, quaderni, fogli, libri. “Un cosmo magnetico di oggetti” – così lo definì Antonio Requeni – all’interno del quale Alejandra venne trovata morta il 22 settembre del 1972: cinquanta pastiglie di seconal avevano definitivamente cancellato l’insonnia che la tormentava sin dall’adolescenza, contribuendo a farne una creatura notturna, sempre più estranea alla luce del giorno (per lei le quattro del mattino, scrisse qualcuno, “erano l’ora della merenda”).

Anche se c’è chi vuole credere a un’overdose involontaria, non sono in molti a dubitare che la Pizarnik abbia portato a termine un suicidio a lungo evocato, suggellando così il proprio mito futuro e dando l’ultima pennellata a quell’immagine “maledetta” che lei stessa aveva contribuito a disegnare.”

Francesca Lazzarato, su “Il manifesto”; * ibidem

Era il 1972, aveva trentasei anni.

I naufraghi dietro l’ombra
abbracciarono quella che si suicidò
con il silenzio del suo sangue

la notte bevve vino
e ballò nuda tra le ossa della nebbia.

Della sua amicizia con Julio Cortázar rimangono molte lettere, e questa poesia, che Julio dedicò alla sua “bestiolina” dopo la sua morte. Di lei, oltre alla sua produzione poetica e in prosa, ci restano i Diari, più di mille pagine che contengono la sua vita.

 

 

Aquí Alejandra

Bicho aquí,
aquí contra esto,
pegada a las palabras
te reclamo.
Ya es la noche, vení,
no hay nadie en casa
Salvo que ya están todas
como vos, como ves,
intercesoras,
llueve en la rue de l’Eperon
y Janis Joplin.
Alejandra, mi bicho,
vení a estas líneas, a este papel de arroz
dale abad a la zorra,
a este fieltro que juega con tu pelo

(Amabas, esas cosas nimias
aboli bibelot d’inanité sonore
las gomas y los sobres
una papelería de juguete
el estuche de lápices
los cuadernos rayados)

Vení, quedate.
tomá este trago, llueve,
te mojarás en la rue Dauphine,
no hay nadie en los cafés repletos,
no te miento, no hay nadie.
Ya sé, es difícil,
es tan difícil encontrarse
este vaso es difícil,
este fósforo.
y no te gusta verme en lo que es mío,
en mi ropa en mis libros
y no te gusta esta predilección
por Gerry Mulligan,
quisieras insultarme sin que duela
decir cómo estás vivo, cómo
se puede estar cuando no hay nada
más que la niebla de los cigarrillos,
como vivís, de qué manera
abrís los ojos cada día
No puede ser, decís, no puede ser.

Bicho, de acuerdo,
vaya si sé pero es así, Alejandra,
acurrúcate aquí, bebé conmigo,
mirá, las he llamado,
vendrán seguro las intercesoras,
el party para vos, la fiesta entera,
Erszebet,
Karen Blixen
ya van cayendo, saben
que es nuestra noche, con el pelo mojado
suben los cuatro pisos, y las viejas
de los departamentos las espían Leonora Carrington, mirala,
Unica Zorn con un murciélago
Clarice Lispector, agua viva,
burbujas deslizándose desnudas
frotándose a la luz, Remedios Varo
con un reloj de arena donde se agita un láser
y la chica uruguaya que fue buena con vos
sin que jamás supieras
su verdadero nombre,
qué rejunta, qué húmedo ajedrez,
qué maison close de telarañas, de Thelonious,
que larga hermosa puede ser la noche
con vos y Joni Mitchell
con vos y Hélène Martin
con las intercesoras
animula el tabaco
vagula Anaïs Nin
blandula vodka tónic

No te vayas, ausente, no te vayas,
jugaremos, verás, ya verás, ya están llegando
con Ezra Pound y marihuana
con los sobres de sopa y un pescado
que sobrenadará olvidado, eso es seguro,
en un palangana con esponjas
entre supositorios y jamás contestados telegramas.
Olga es un árbol de humo, cómo fuma
esa morocha herida de petreles,
y Natalía Ginzburg, que desteje
el ramo de gladiolos que no trajo.
¿Ves bicho? Así. Tan bien y ya. El scotch,
Max Roach, Silvina Ocampo,
alguien en la cocina hace café
su culebra contando
dos terrones un beso
Léo Ferré
No pienses más en las ventanas
el detrás el afuera
Llueve en Rangoon —
Y qué.
Aquí los juegos. El murmullo
(Consonantes de pájaro
vocales de heliotropo)
Aquí, bichito. Quieta. No hay ventanas ni afuera
y no llueve en Rangoon. Aquí los juegos.

Poiché non ho trovato nessuna traduzione né in rete, né in testi, ho chiesto consulenza alla mia compagna di studi dell’Università, ora insegnante di Spagnolo al liceo linguistico, Dimma Molinari. Abbiamo (soprattutto lei) cercato di rendere un testo difficilissimo, pieni di riferimenti che solo per loro due avevano un senso pieno, con riferimenti a luoghi, giochi di parole, nomi di scrittrici … insomma, una bella prova di traduzione. Se qualcuno che legge questo post e che ha una competenza specifica volesse darci delle dritte, saranno ben accette!!!  Questa è la nostra versione:

Qui Alessandra

J. Cortázar

 

Bestiolina qui,

qui contro questo,

incollata alle parole

ti reclamo.

È gia notte, vieni,

non c’è nessuno in casa

a meno che non già siano tutte

come te, come vedi,

mediatrici intermediarie,

piove in rue de l’Eperon

e Janis Joplin.

Alessandra, mio animaletto,

vieni a queste righe, a questa carta di riso (in sp. arroz)

dale abad a la zorra*

a questo feltro che gioca con la chioma.

 

(Amavi, queste cose semplici

abolisti i ninnoli d’inantità sonora

una cartoleria di gocattoli

l’astuccio di matite

i quaderni a righe)

 

Vieni, resta qui.

bevi questo sorso,

ti bagnerai nella rue Dauphin,

non c’è nessuno nei caffè strapieni,

non ti mento, non c’è nessuno.

Lo so, è difficile,

è così difficile trovarsi

questo bicchiere è difficile,

questo fiammifero.

e non ti piace vedrmi in ciò che è mio,

nei miei vestiti nei miei libri

e non ti piace questo debole

per Gerry Mulligan,

vorresti insultarmi senza che faccia male

dire in che modo sei vivo, come

si può stare quando non c’è niente

più che la nebbia delle sigarette,

come vivi, in che modo

apri gli occhi ogni giorno

Non può essere, dimmi, non può essere.

 

Bestiolina, d’accordo,

certo che lo so ma è così, Alessandra,

accoccolati qui, bebè, con me,

guarda, le ho chiamate

verranno di certo le mediatrici,

il party per te, l’intera festa,

Erszebet,

Karen Blixen

stanno già cadendo, sanno

che è la nostra notte, con i capelli bagnati

salgono i quattro piani, e le vecchie

dell’appartamento le spiano Leonora Carrington, guardale,

Unica Zorn con un pipistrello

Clarice Lispector, acqua viva,

bollicine che scivolano nude

strofinandosi alla luce, Remedios Varo

con una clessidra in cui agita un laser

e la ragazza uruguaiana che fu buona con te

senza che mai sapessi

il suo vero nome,

quale riunione (!), che umida scacchiera (!),

che maison close di ragnatele (!), di Thelonious,

che lunga belleza può essere la notte

con te e Joni Mitchell

con te e con Hélène Martin

con le mediatrici

animula il tabacco

vagula Anaïs Nin

blandula vodka tonic **

 

Non te ne andare, assente, non te ne andare,

giocheremo, vedrai, già vedrai, già stanno arrivando

con Ezra Pound e la marihuana

con le buste di zuppa e un pesce

che sopranuoterà dimenticato, questo è certo,

in una bacinella con spugne

tra supposte e telegrammi che mai ricevettero risposta.

Olga è un albero di fumo, come fuma (!)

quella bruna ferita di oceanodroma,                            (è un uccello marino)

e Natalia Ginzburg, che scomponga

il mazzo di gladioli che non portò.

Veni, animaluccio,? Così. Così bene e già. Lo scotch,

Max Roache, Silvina Ocampo,

qualcuno in cucina prepara il caffè

il suo serpente contando

due zolle un bacio

Leo erré

Non pensare più alle finestre

al dietro al fuori

Piove in Rangoon –

E chè.

Qui i giochi. Il mormorio

(Consonanti di uccello

vocali di eliotropio)

Qui, bestiolina. Quieta. Non ci sono finestre né fuori

e non piove in Rangoon. Qui i giochi.

 

 

I punti esclamativi (!) nella poesia non ci sono, ma sono presenti accenti che secondo me li rendono sottintesi.

 

*questa frase è intraducibile, si tratta di una frase palindroma (cioè di quelle che si possono leggere indifferentemente da sinistra a destra e da destra a sinistra) che di solito si impara a scuola, a volte una specie di scioglilingua da bambini. La frase per intero è “dábale arroz a la zorra el abad”

** Animula vagula blandula è una brevissima poesia con cui Publio Elio Traiano Adriano si prepara a congedarsi dalla sua anima e si rivolge ad essa salutandola, quasi come fosse sulla soglia che separa la vita dalla morte e si apprestasse a separarsi da una cara compagna.                Animula vagula blandula

                                                               Hospes comesque corporis

                                                               Quae nunc abibis in loca

                                                               Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut soles, dabis iocos…

                                                               Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti…

Questa poesia è citata da Marguerite Yourcenar in apertura a “Memorie di Adriano”