Quando il nonno seppe che andavo in America a studiare, mi scrisse un biglietto d’addio. «Maledetto porco capitalista» diceva, «fa’ buon viaggio. Con affetto, tuo nonno». Era scritto su una scheda elettorale stropicciata delle elezioni del 1991, una pietra miliare nella sua collezione di schede elettorali comuniste, e portava la firma di tutti gli abitanti del paesino di Leningrad. Riceverlo fu un tale onore che ne fui commosso, così mi sedetti, tirai fuori una banconota da un dollaro e scrissi al nonno la seguente risposta: «Idiota d’un comunista, grazie per la lettera. Parto domani e quando arriverò cercherò as soon as possible di sposare una donna americana. Cercherò anche di avere un sacco di bambini americani. Con affetto, tuo nipote».

A est dell’Occidente, di Miroslav Penkov, traduzione di Ada Arduini, Neri Pozza editore 2012, ed. originale 2011

Inizia così il terzo racconto di questa raccolta che ne contempla altri sette: otto quadri perfettamente realizzati dallo scrittore bulgaro Miroslav Penkov, che raccontano la Bulgaria attuale e quella passata. Questo racconto in particolare, ha già riscosso notevoli riconoscimenti, tra cui l’inserimento nell’antologia “Best American Short Stories” 2008 per scelta di Salman Rushdie e Heidi Pitlor.

Otto rappresentazioni che ci fanno entrare in una realtà ai più, credo, poco conosciuta, o almeno così è stato per me. Nella mia esperienza di vita durante gli anni della “cortina di ferro”, la Bulgaria non era che uno degli stati satellite dell’URSS, una realtà indistinta e confusa, assimilata ad una specie di super-nazione che mi faceva vedere stati come appunto la Bulgaria, la Romania, la Polonia ecc. come se non avessero una loro specificità. Stati in cui le “elezioni” politiche si vincevano con percentuali del 99 %, le cosiddette “percentuali bulgare”. Poi il mondo è cambiato, il papa polacco ha dato le sue spallate, il muro è caduto, e i confini si sono ridefiniti. E quegli stati satelliti hanno ricominciato una loro storia, specifica e diversa, eppure simili tra loro nei nodi da sciogliere.

Bulgaria

Penkov scrive storie ambientate nell’attualità ma attraverso i ricordi dei protagonisti, ci mostra pezzi importanti della storia del suo paese: la lotta partigiana contro i turchi per l’indipendenza ottenuta nei primi anni del Novecento, il secondo conflitto mondiale in cui la Bulgaria si alleò con la Germania, e l’assetto post bellico che ha sancito l’inclusione della Bulgaria nello schieramento sovietico, dando il via a decenni di comunismo, fino al 1990 quando è divenuta una democrazia con una economia di mercato.

I protagonisti sono vecchi e giovani che si trovano a fare i conti con il passato e la vita vissuta, con le aspirazioni e i disagi propri soprattutto delle nuove generazioni a cui il presente va stretto: un piede nel proprio Paese ma la testa rivolta verso l’Occidente, una specie di terra promessa che lascia intravedere possibilità di riscatto e di condizioni di vita migliori, ma che quando poi viene conquistato, non riesce ad affrancare del tutto. Chi parte non riesce a scrollarsi di dosso il passato; ciò che si è lasciato alle spalle è un motore che non si spegne mai, che gira a vuoto su se stesso in un circuito di nostalgia e di senso di incompiuto: la famiglia lontana, la propria lingua e tradizioni mancano e a fatica si riesce a colmare il vuoto in una realtà dove ci si sente ai margini, dove il benessere è un traguardo lontano, annebbiato dal dubbio di avere effettivamente fatto la scelta giusta.

Nel primo racconto, “Makedonija”, il protagonista è un vecchio, “nato esattamente vent’anni dopo che ci siamo sbarazzati dei turchi. 1898.” Vive in una casa di riposo con la moglie; attraverso la scoperta del suo diario e delle lettere d’amore ricevute da un amante giovanile, scopre il forte sentimento che lo lega alla donna, che gli fa provare gelosia per una storia lontana nel tempo, quando ancora non si conoscevano, e che lo mette in competizione con la figura eroica di questo amante. Leggendo le lettere del giovane, ripercorre gli anni della lotta contro i turchi, mettendoci a parte di un momento storico determinante per la Bulgaria. Il racconto è ben bilanciato con l’intimità della storia familiare della coppia, e dai sentimenti amorevoli verso la figlia che sta vivendo la separazione dal marito e dalla presenza del nipotino.

Bulgaria staro selo by mirela
Staro Selo, foto di Mirela

Il secondo racconto, che dà il titolo alla raccolta, è emblematico della situazione che si è venuta a creare quando i confini sono stati ridisegnati e ciò che prima era unito è stato diviso. Il fiume che prima attraversava la cittadina Staro Selo ora la divide: una sponda è diventata serba, l’altra è rimasta bulgara, e molte famiglie si sono viste separate. Da una parte l’Occidente, dall’altra il desiderio di Occidente. Separati da un fiume che diventa l’unica zona franca in cui potersi incontrare, i giovani delle due sponde continuano ad amarsi, ma la vita che sognano non sarà quella che riusciranno a vivere.

Il terzo, “Comprando Lenin”, è quello da cui ho estratto la citazione riportata in apertura. In esso si intrecciano le due vite di nonno e nipote, in una narrazione che si alterna tra presente e passato, tra sogni ed ideali, tra illusioni e prese di coscienza della realtà. Cosa è stato vivere gli anni del comunismo, cosa ne è rimasto e cosa potrà riservare il futuro di una nazione che cerca di farsi forte in una dura competizione di mercato e di cultura. Il giovane protagonista ha molto in comune con l’autore:

Non avevo alcun valido motivo per andare in America. A casa non soffrivo certo la fame, almeno non in senso fisico. Non ero stato costretto a scappare o ad approdare su rive straniere da una guerra. Me ne andai perché potevo farlo, perché la rabbia dell’Ovest mi aveva infettato il sangue.

E se il nuovo Paese sembra promettere grandi possibilità di riscatto e di affermazione, la nostalgia del vecchio, degli affetti e dei valori sono così vivi da non riuscire a sciogliere del tutto i legami, generando un equilibrio precario che tenta di mantenersi in bolla non sempre con successo.

Tema che torna anche nell’ultimo, “Devshirmeh”, in cui una coppia appena sposata e la loro bambina di un anno si trasferiscono negli Stati Uniti, in cerca di una vita migliore. La realtà, però, delude le aspettative del protagonista; era un insegnante nel suo Paese mentre qui è costretto ad arrabattarsi con lavori precari. Sono così poveri, che quando lui viene ricoverato d’urgenza per una appendicectomia, non hanno i soldi per pagare l’intervento. E proprio in seguito a questo evento, le loro vite si separano. Lei lo lascia per un medico bulgaro benestante, rifiutando in toto il passato, persino la lingua madre che non vuole più parlare e che soprattutto proibisce alla figlia di parlare. Un colpo di spugna totale, una negazione che serve per vivere solo nel presente per il futuro. Un salto che il protagonista non riesce e non vuole fare, conscio che ciò che si è, le proprie radici, non possono essere cancellate, anche se integrarle in una realtà diversa può dimostrarsi più difficile di quanto sembrava.

C’è poi “La lettera”, uno dei più toccanti e delicato. La protagonista è una ragazzina che vive con la nonna: sua madre ha abbandonato lei e la sorella gemella alla nascita. Lei è stata poi accolta dalla nonna, mentre la sorella, che ha un grave deficit fisico, vive in un istituto. Il racconto è ambientato in una realtà rurale intrisa di povertà e ignoranza, dove l’unico insegnamento che la nonna riesce a dare alla nipote è il vivere di furti per procurarsi il denaro. Azzerata la linea affettiva che dovrebbe legare nonna-figlia-nipote, l’unico legame nutrito da un sincero sentimento d’affetto è quello tra le due sorelle, dove la protagonista più “fortunata” si prende cura dell’altra.

Nel racconto “Una fotografia con Yuki” l’autore narra la storia di una coppia, lui bulgaro espatriato negli Stati Uniti, lei giapponese che in USA è andata per frequentare l’università, alle prese con l’incapacità di concepire un figlio. Qui il viaggio della speranza è al contrario: i due sposi si recano in Bulgaria per farsi aiutare in una clinica specializzata, più abbordabile per le loro finanze rispetto a quelle americane. La iniziale diffidenza di Yuki di fronte ad una cultura diversa dalla sua, assecondata dalle attenzioni del marito, è vinta dalla bellezza della natura e da uno stile di vita più semplice ma vero. Yuki fatica a comunicare in una lingua per lei impenetrabile e allora “comunica” con questo mondo a lei estraneo attraverso l’obiettivo fotografico. Mentre però il loro percorso sembra procedere sereno, la loro vita è profondamente turbata da un evento traumatico in cui si trovano involontariamente coinvolti.

Sofia Bulgaria
Sofia

Ladri di croci” ha come protagonisti i giovani di Sofia. Rado e Gogo sono due amici che si punzecchiano anche in maniera pesante ma che fanno della loro amicizia un salvagente per non lasciarsi sopraffare dai malumori dell’adolescenza in una realtà dove povertà, consumo di droghe e alcol vanno a braccetto con l’instabilità economica, la crisi politica e la corruzione dilagante.

Una cosa che ho imparato dai nostri politici è che puoi dire o fare quasi tutto, basta che dopo ti scusi.

I giovani fanno fatica a intravedere un futuro: il passato ha lasciato loro una eredità che il presente non riesce a scrollarsi di dosso.

A volte mi sembra che le cose non possano andare peggio di così. Be’, abbiamo davvero toccato il fondo. Be’, dovremo puntare i piedi e scalciare per cercare di uscire dalla palude.

Dice Rado, disilluso e amareggiato, lui che doveva avere davanti un futuro luminoso: “Rado il fenomeno”, lo presentava suo padre quando lo portava in giro per le case di riposo a fare spettacoli per gli anziani con le sue incredibili capacità mnemoniche. Capacità che dovevano servirgli ad entrare in una scuola speciale, esclusiva, destinata ai bambini con capacità superiori alla media, sulla carta, mentre in realtà appannaggio della classe politica e neo-imprenditoriale per i loro rampolli. L’amarezza e la disillusione di ragazzi appena ventenni lancia ombre lunghe sul futuro di un Paese che invece dovrebbe costruire il suo futuro grazie alle nuove generazioni.

Infine, il racconto “L’orizzonte notturno”, in cui la protagonista è una ragazzina a cui il padre affibbia un nome da maschio perché è destinata a raccogliere la sua eredità: costruire cornamuse, e per farlo non si può portare un nome da femmina. Un mondo chiuso tra le mura del laboratorio e la campagna che lo circonda, dove non si intravede il futuro scolastico di questa bimba, che non ha contatti né una vita di relazione col mondo esterno. Da un lato il destino ostinatamente voluto da suo padre, dall’altro l’affetto della madre che però non ha voce in capitolo. E se il suo nome era stato un elemento di specificità alla nascita, nel rovesciamento degli eventi politici e sociali, viene del tutto annullato, a causa di una legge che impone nomi bulgari a tutti i cittadini, anche quelli di origine turca e di fede musulmana che vivono nel Paese.

Dunque, questa silloge è una finestra aperta su un Paese, la Bulgaria, con le sue contraddizioni, con un passato complesso alle spalle, e un futuro da costruire davanti. La scrittura è precisa, pulita e allo stesso tempo empatica e informale; i personaggi sono perfettamente a fuoco e le loro voci risultano genuine e credibili fino all’ultimo dettaglio. Ogni racconto è quasi come un film, o potrebbe diventarlo, perché le descrizioni sono vivide e aprono lo sguardo del lettore, conducendolo in un territorio geografico ed umano, tutto da scoprire.

Penkov fotoMiroslav Penkov è nato nel 1982 a Gabrovo, in Bulgaria. Nel 2001 si è trasferito negli Stati Uniti, dove si è laureato in psicologia e ha conseguito un master in scrittura creativa all’università dell’Arkansas.  Insegna scrittura creativa all’università del North Texas e dirige la American Literary Review.

 

 

Link all’editore. L’incipit lo trovate Qui.