Oggi vorrei parlare di un autore che ho amato infinitamente e che ho il sospetto sia, oggi, poco letto; ho provato a chiedere ad un po’ di persone che conosco e che sono buoni lettori: nessuno di loro aveva letto almeno uno dei suoi romanzi … peccato. Per loro, naturalmente. A me, Mutis ha fatto compagnia molti anni fa, e continua a farmene, quando mi prende la nostalgia del “vecchio” Maqroll, delle sue erranti divagazioni, fisiche e mentali, e rileggo stralci dei romanzi che lo vedono protagonista.

Maqroll il Gabbiere, simbolo vitale dell’anarchico errante, eroe e antieroe di quasi tutte le sue storie, titolare di mille iniziative e derive lungo le mappe del continente, in una sorta di strategia dell’esilio stabile, irrimediabile, duraturo. Maqroll, donchisciottesco artefice delle vele e delle attrezzature marinare, destinato a una inevitabile sconfitta, risulta poi vincitore nelle circostanze della propria vita: re della cronaca, ma anche del prodigioso e dell’avventuroso, in un seguito di azioni, meditazioni, gesti e riflessioni, per scali sperduti e mete inquietanti, Maqroll è l’umanissimo semidio del coraggio e della sfida. (cit. Claudio Toscani)

Maqroll è un personaggio sfuggente, un avventuriero alla continua ricerca di qualcosa, un outsider per scelta, che viaggia ai margini; il suo vagabondare è un lasciarsi trascinare nell’avventura dall’avventura stessa, ma senza abbandonarsi al destino, mantenendo anzi una consapevole lucidità acquisita grazie ad una totale e tragica assenza di speranza. Condizione umana spiazzante ma capace di regalargli la libertà.

Ma se mi soffermo a considerare più attentamente queste ricorrenti cadute, questi mancati appuntamenti che continuo a dare al destino con la stessa ripetuta goffaggine, mi rendo conto che, al mio fianco, è andata scorrendo un’altra vita. Una vita che è trascorsa al mio fianco senza che io lo sapessi. È lì, continua ad essere lì: è la somma di tutti i momenti in cui ho rifiutato quella svolta del cammino, in cui ho eliminato quell’altra possibile via di uscita, e così si è andata formando la cieca corrente di un altro destino che avrebbe potuto essere il mio e che, in un certo modo, continua ad esserlo laggiù, su quell’altra sponda su cui non sono mai stato e che corre parallela al mio itinerario quotidiano.(“La neve dell’Ammiraglio”)

Maqroll, il gabbiere; il gabbiere è il marinaio in cima al pennone, dove la vista spazia e prima di tutti, nel manovrare le vele, può gettare lo sguardo lontano, sul mare immenso e sulla riva quando si avvicina. Posizione privilegiata, di chi, fuori dalla massa, può guardare più lontano, anche se questo non sempre è un bene. Maqroll è un personaggio che solo un autore latino americano poteva creare; non poteva che nascere dalla fantasia di chi il viaggio ce l’aveva nel dna, da chi ha fatto rotta per mare, sulle navi che solcano l’oceano e si riparano nei porti, dall’Atlantico al Mare del Nord, passando anche per il Mediterraneo, dalle acque calde dell’equatore a quelle fredde anseatiche, dal mare ai fiumi che si addentrano nella foresta tropicale.

E infatti Mutis nella sua vita ha errato per mari e per Paesi, e anche se ha sempre smentito che Maqroll fosse un suo alter ego, i due sono talmente compenetrati, o meglio, il gabbiere proietta e porta all’estremo quel senso di nomade errante che il suo inventore nutriva in sé. Mutis è nato a Bogotà, ma ha vissuto a Bruxelles fino a nove anni; è tornato in Colombia ma poi, per trent’anni ha vissuto in Messico, dove si è spento alla bella età di novant’anni. Una vita spesa in mille mestieri, con tre (o quattro, non ricordo) mogli, con le quali ha messo al mondo mi pare quattro figli. Amico e ammirato-ammiratore di Gabriel García Márquez, Luis Buñuel e Octavio Paz, molto amato anche in Spagna e in Italia, dove si è guadagnato la stima di Fabrizio De André, che gli ha reso omaggio con la canzone “Smisurata preghiera” (la trovate nell’album “Anime salve”).

Mutis trilogia

Per conoscere Maqroll, bisogna partire dalla trilogia, “Imprese e tribolazioni di Maqroll il Gabbiere”, che comprende: “La neve dell’ammiraglio”, “Ilona arriva con la pioggia” e “Un bel morir”; anche se poi non potrete fare a meno di leggere anche “Abdul Bashur, sognatore di navi”, perché Abdul è un alter ego di Maqroll , e il malinconico “L’ultimo scalo del Tramp Steamer”.

La neve dell’Ammiraglio : il narratore parte dal ritrovamento di alcune carte nascoste in un volume antico, acquistato da un antiquario nel Barrio Gótico di Barcellona, e che il Gabbiere aveva con sé durante la navigazione. Il volume è pieno di annotazioni, e sui fogli in esso nascosti – fatture commerciali, per lo più – sta il Diario del Gabbiere, in cui egli:

raccontava le sue sventure, i suoi ricordi, le sue riflessioni, i suoi sogni e le sue fantasie, mentre risaliva la corrente di un fiume, uno dei tanti che scendono dalla sierra per perdersi nella penombra vegetale della selva incommensurabile.

Maqroll risale il fiume Xurandó alla ricerca di una segheria che dovrebbe assicurargli un guadagno sostanzioso, con cui mantenersi. All’inizio del diario si domanda perché mai si sia imbarcato in questo viaggio; ma, poi, conclude che questi sono i suoi sentimenti all’inizio di ogni viaggio … La storia della segheria, Maqroll l’aveva sentita nell’emporio “La Neve dell’Ammiraglio” di Flor Estévez, uno dei suoi amori. Nel tempo che la navigazione procede, Maqroll conosce una galleria di personaggi particolari, come il Capitano e l’ambiguo Ivar. Ma il suo diario non è solo un racconto di viaggio: in esso si mescolano i ricordi, i volti delle persone che si riaffacciano dal passato, e i suoi pensieri, le sue amare e disilluse considerazioni sulla vita e sui rapporti tra le persone. Maqroll il cinico, il filosofo, il ruffiano. Maqroll che viaggia per cercare se stesso.

La Cordigliera si staglia all’orizzonte di fronte a noi con una precisione opprimente. (..) Di fronte allo spettacolo di quella catena di montagne rese opache dalla tonalità azzurrina dell’aria, sento salire dal fondo di me stesso una muta confessione che mi riempie di gioia e che solo io so sino a che punto giustifica e dà senso ad ogni ora della mia vita: – Vengo da lì. Quando me ne allontano, comincio a morire.(..) Flor Estévez e la sua indomabile capigliatura, le sue parole brutali e benefiche, il suo corpo in disordine e le sue canzoni per cullare ruffiani e creature la cui misera innocenza solo lei comprende, con quel sapere di donna sterile che scuote la vita per le spalle sino ad obbligarla a restituire ciò che le chiede.

La Cordigliera. Tutto ciò che è dovuto accadere sino ad arrivare a questa esperienza della selva, perché ora, con i segni, ancora freschi sul corpo, delle prove a cui mi ha sottoposto il passaggio attraverso il suo molle inferno in decomposizione, io scopra che la mia vera dimora sta là (..) Da lì, partirò nuovamente, non so quante volte, ma non sarà per tornare nei luoghi dai quali ora vengo. E quando sarò lontano dalla Cordigliera, la sua assenza mi farà soffrire con un dolore nuovo fatto dell’ansietà febbrile di ritornare ad essa e perdermi nei suoi cammini che profumano di montagna, di cibo yaraguá, di terra umida di pioggia e di frantoio in piena attività.

Ilona arriva con la pioggia”: in questo romanzo Maqroll è a Panama, all’Hotel Miramar, impantanato in uno dei suoi baratri esistenziali e bloccato dal sequestro da parte dei creditori della nave Hansa Stern, costretto a terra, quando, in una giornata di pioggia, ecco comparire sulla scena Ilona Grabowska, padre polacco e madre triestina, dai corti capelli color miele che si aggiusta con un gesto della mano, amica e amante di vecchia data. Si erano conosciuti a Ostenda, in una crêperie dove, per sfuggire alla pioggia, si erano rifugiati entrambi. Ilona arriva sempre con la pioggia. Il Gabbiere la vede di spalle, intenta a giocare alla slot-machine e non si capacita che possa essere proprio lei! Dopo essersi aggiornati sulle rispettive vicende di vita trascorse,  Ilona gli propone di mettersi in società. Bisogna racimolare i soldi per vivere e cosa possono fare due personaggi così? Aprire una casa di appuntamenti … C’è però un altro personaggio – storia nella storia- a rendere intrigante questo romanzo: Larissa, bruna, tenebrosa, in un altalenante equilibrio tra vita e morte. E poi molti altri si affacciano a questa storia, anche Abdul Bashur…  Di questo romanzo Sergio Cabrera ne ha fatto un film.

Un bel morirtutta una vita onora, come dice Petrarca che Mutis riprende in esergo a questo che è l’ultimo romanzo della Trilogia. Nell’appendice, il narratore ci lascia un finale che dà poco spazio alla speranza; ma è una fine “provvisoria”, perché poi Maqroll salterà fuori in altri libri . Ma partiamo dall’inizio di questo romanzo:

Tutto ebbe inizio quando Maqroll non si mosse più dal porto di La Plata e rimandò per un tempo indefinito la decisione di proseguire il suo viaggio di risalita lungo il fiume. Si trattava, in questa navigazione alle sorgenti del grande fiume, di trovare qualche traccia di coloro che avevano condiviso, anni addietro, alcune delle sue mirabili imprese. Scoraggiato dall’assenza della più piccola notizia intorno ai suoi antichi compagni e con un amaro sapore nell’anima (..) concluse che per lui non faceva differenza restare lì, in quel povero villaggio, o continuare a risalire la corrente senza più alcun motivo che lo spingesse a farlo.

È solo, vinto dall’apatia dovuta a non aver più notizie dei vecchi amici e compagni di avventure e dunque non ha alcuno stimolo a muoversi. Alloggia a casa della cieca donna Empera, che di lui ha già sentito parlare, da donne, ovviamente … La Plata “era un gruppo di case simile a tutti gli altri che agonizzavano sulle sponde del grande fiume” e Maqroll è risucchiato in questa apatia, in modo quasi ipnotico. Ma, ovviamente, come è nel suo carattere, non può rimanere a lungo in questo limbo esistenziale, deve cacciarsi in un’altra delle sue fallimentari avventure. Entra in scena un fiammingo, “uno straniero dalla barba rossiccia e trascurata, tracagnotto e dal volto rubicondo da cui distillava una sospetta bonomía”, che riesce a fare leva sul sentimento di nostalgia per le “terre piatte”di Maqroll per farlo cadere nella sua rete e coinvolgerlo in una vendita clandestina di armi.

In questo romanzo tornano, con l’espediente del sogno, due persone importanti nella vita di Maqroll: Ilona e Flor. I suoi due amori, e donna è anche il personaggio centrale della storia, la saggia e protettiva Empera. Così come donna è colei che gli darà le ultime gioie dell’amore, Amparo María.

Con Maqroll ( e Abdul Bashur, suo alter ego) Mutis concepisce una sua personale visione della vita, “la poetica della disperanza” e cioè il rifiuto delle attese illusorie a favore della “piena aderenza alla vita, al presente e a quei momenti di felicità che può regalare”, come scrive nella sua opera “Storie della disperanza”.

E la sua prosa cattura il lettore, perché Mutis è, prima di tutto, un poeta. Ha scritto molte poesie; voglio farvi leggere questa, presa dalla raccolta di versi che scrisse lungo quarant’anni di vita (1948-1988),  “Summa di Maqroll il Gabbiere” 

Crepa mattutina

Scava la tua miseria,
sondala, scopri le sue caverne più nascoste.
Olia gli ingranaggi della tua miseria,
mettila sul tuo cammino, fatti strada al suo fianco
e bussa a ogni porta
con le cartilagini bianche della tua miseria.
Confrontala con quella di altre genti
e misura bene lo stupore delle differenze,
la singolare acutezza dei suoi bordi.
Riparati negli angoli lievi della tua miseria.
Tieni presente in ogni istante
che la sua materia è la tua materia,
l’unico porto di cui conosci ogni rada,
ogni boa, ogni segnale dalla terra tiepida
dove giungi a regnare come Crusoe
tra la moltitudine di ombre
che ti sfiorano e che urti
senza cogliere né il suo proposito né i costumi.
Coltiva la tua miseria,
rendila duratura,
nutriti della sua linfa,
avvolgiti nel manto tessuto coi suoi fili più segreti.
Impara a riconoscerla fra tutte,
non permettere che sia familiare agli altri
né prolungata abusivamente dai tuoi.
Sia per te come acqua battesimale
sgorgata dalle grandi fogne municipali,
come i rivoli che nascono nei mattatoi.
Si confonda con le tue viscere, la tua miseria;
contenga fin da ora i capitoli della tua morte,
gli elementi del tuo abbandono più certo.
Non lasciare mai da parte la tua miseria,
anche se riposassi ai suoi argini
come vicino al corpo bianco
da cui si è ritirato il desiderio.
Tieni sempre pronta la tua miseria
e non permettere che evada per distrazione o per inganno.
Impara a riconoscerla fin nei suoi segni più lievi:
l’accartocciarsi delle sottili foglie del carbonero,
l’aprirsi dei fiori al primo fresco della sera,
la solitudine di una gabbia da circo bloccata nel fango
del cammino, la fuliggine nei sobborghi,
la gavetta d’ottone che misura la minestra nelle caserme,
i vestiti disordinati dei ciechi,
le campanelle che disperdono il richiamo
sul retro seminato di eucalipti,
lo iodio delle navigazioni.
Non mescolare la tua miseria con le questioni di ogni giorno.
Impara a conservarla per le tue ore di svago
e intreccia con lei la vera,
la sola materia duratura
del tuo episodio sulla terra.

Álvaro Mutis