La sciagura di questo Paese è che qui tutto è per-modo-di-dire. Lo Stato stabilisce coi cittadini che non si deve guidare in stato di ubriachezza e tutti lo fanno; che si devono allacciare le cinture di sicurezza, ma tutti, inclusi il presidente e il primo ministro, si guardano bene dal farlo e con una certa ostentazione; bisogna pagare per poter pescare ma nessuno paga, perché i soldi vanno a finire nelle tasche dei corrotti; lo Stato stabilisce, d’accordo coi cittadini, che non si può trafficare caviale, ma chi può lo vende; che non si può cacciare di frodo ma tutti lo fanno …

I diari della Kolyma, di Jacek Hugo-Bader, Keller editore 2018, ediz. originale 2011, traduzione di Marco Vanchetti

Dopo essermi voracemente letta “Febbre bianca”, non vedevo l’ora di avere tra le mani questo secondo volume: un altro diario di viaggio del giornalista e scrittore polacco Jacek Hugo-Bader, che mi ricorda tanto il maestro Paolo Rumiz, due viaggiatori instancabili di terre lontane e sconosciute a noi che dell’Europa centrale ma soprattutto della Russia abbiamo una immagine molto sfocata, e credo poco attuale. E ancora di più delle zone “periferiche” della Russia: mi piacerebbe capire quanti di noi (che non hanno mai giocato a Risiko, si intende!) sanno localizzare sulla mappa posti come la Kolyma, la Jacuzia, la Kamchatka, l’Ossezia … Ecco perché questi due diari li ho divorati: perché raccontano con onesta trasparenza, e senza esagerare, cosa sono oggi queste regioni, in particolare qui si parla della Kolyma, e come ci si vive. Qualcuno potrebbe obiettare che forse è meglio oggi, e di certo se un lato positivo lo vogliamo trovare, possiamo dire che almeno non ci sono più i lager dell’“arcipelago Gulag”. Ma a parte questo, si fatica a trovare indizi di un cambiamento in meglio.

Il passato della Kolyma è tanto tristemente noto da fare dire a Ryszard Kapuściński che “insieme a Auschwitz, Treblinka e Vorkura” è uno “dei più grandi incubi del Ventesimo secolo”.

La Strada della Kolyma, “lunga più di duemila chilometri, è lastricata di vite umane. Spianata sulle ossa. E non è affatto una metafora.

 

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La “strada delle ossa”

Hugo-Bader parte ben sapendo cosa lo aspetta, conosce la Russia perfettamente, l’ha girata in lungo e largo, parla la lingua, ha letto libri su libri, da Solženicyn a Šalamov, con i suoi “I racconti della Kolyma”. Quello che vuole capire è come sia oggi vivere qui. Inizia il suo diario dal villaggio di Arman, una cinquantina di chilometri a ovest di Magadan:

Arman è un tipico villaggio kolymiano. Ha una struttura sociale molto esile, costituita da cinque, sei famiglie con svariati figli e una manciata di parenti. Solo costoro imbastiscono affari, intrallazzano, costituiscono capitali e creano posti di lavoro. (..) Leader come questi possono raccogliere intorno a sé fino a millecinquecento, duemila persone, tante quante ne vivevano a Arman all’inizio degli anni Novanta. Basta però che se ne vada una coppia, e con loro i figli, poi un’altra famiglia, che si innesca l’esodo. Effetto domino. Le imprese locali, che vivevano in simbiosi, cadono l’una dopo l’altra, tutto comincia a crollare, le persone perdono il lavoro e la vita perde senso. Nel villaggio rimangono solo beoni, poveri, gente senza energia e senza iniziativa. A Arman è toccato un destino come questo.

Stesso destino per tutti i villaggi della zona, che da cinquecentomila abitanti nel 1991, quando il Paese dei Soviet è crollato, è scesa a circa centocinquantamila abitanti, distribuiti in circa cinquanta insediamenti.

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La KolymaÈ territorio di polizia, qui. Tutto è sotto il loro controllo perché questo è il cuore d’oro della Russia: materiali grezzi strategici”: l’oro, il più grande giacimento d’argento del mondo, e poi platino, uranio, cobalto, mercurio, stagno, piombo, nichel, rame, petrolio, carbone, metano. La Kolyma è come se fosse un’isola: ci si arriva con la nave o con l’aereo. Ma anche per andarsene bisogna comprare un biglietto, ed avere un documento di identità valido. Questo, probabilmente, è uno dei motivi per cui non tutti possono scegliere di andarsene.

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foto by Yuri Kozyrev, sito NOOR

Kolyma è il nome del fiume e della montagna. Non esiste una regione geografica né un’unità amministrativa con questo nome. Comunemente si chiama così l’odierna oblast’ di Magadan, e un tempo tutto l’enorme territorio del Dal’stroj, che occupava un decimo dell’URSS dalla linea tracciata dal fiume Aldan e dalla bassa Lena fino allo Stretto di Bering.

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Fiume Kolyma, foto dal sito Coolmyplanet

Il Dal’stroj come organizzazione costituita dal Comitato Centrale del Partito comunista nel 1931 ha una tremenda storia come distesa di lager (centosessanta), di deportazione di massa di detenuti politici e intellettuali– soprattutto – e comuni, pochi dei quali sono sopravvissuti. A capo, Eduard Berzin, che riesce a far estrarre tonnellate di minerali da record ai duecentomila detenuti usati come schiavi, decretando che si poteva lavorare all’aperto fino a cinquantacinque gradi sotto zero. Dire che i deportati morivano come mosche è un eufemismo. Una parabola, quella di Berzin, emblematica: l’ascesa al potere, premiato con le maggiori onorificenze del regime, più spietato di Stalin, tanto che nel 1938 Stalin stesso lo destituisce da tutti gli incarichi, lo fa processare e condannare a morte. Fucilato dopo pochi mesi dalla condanna. Hugo-Bader incontra inaspettatamente la figlia, che dopo una vita tremenda, proprio qui nella Kolyma è venuta a vivere.

A Magadan, l’autore di questo reportage, incontra Kolja, l’ispettore ittico, che spiega così cosa è successo quando la Russia ha abbandonato il comunismo:

(..) E in Russia comandavano quei democratici di merda, dicevano che c’era la libertà e che si poteva fare qualunque cosa, e infatti anche la mafia faceva quello che voleva. Sparavano, ammazzavano, affondavano navi perché avevano bisogno urgente di denaro. Arrivò la privatizzazione e quelli si misero a comprare tutto quello che capitava.

In questa regione remota c’è una grande risorsa ittica: il caviale, e la gestione del pescato è sotto un vigile controllo, che però alimenta la corruzione.

Le organizzazioni criminali hanno in mano una grossa fetta di “mercato”, ma se è vero che rappresentano una faccia del problema, ci sono mille altre facce che rendono insano il vivere in queste lande. A dispetto del livellamento economico e sociale che erano stati i pilastri su cui l’Unione sovietica ha cercato di costruire una società nuova, con la liberalizzazione quello che è accaduto è stato di nuovo un ritorno alle grandi diseguaglianze. Ci sono oligarchi che fanno i soldi a palate e ben pochi ne re-investono per dare spunto al motore di sviluppo economico,  e povera gente che si arrabatta come può, raccogliendo a mano sacchi di patate in una gara assurda a farne il maggior numero per potersene tenere uno o due come premio di produzione. Se però c’è una cosa che accomuna tutti gli strati sociali, è il consumo smisurato di vodka e alcolici, comprati o prodotti artigianalmente.

Durante il suo viaggio, Hugo-Bader incontra personaggi come l’oligarca Aleksandr Basanskij: una ascesa alla ricchezza tutta da leggere, attualmente signore dell’oro, possiede una miniera e delle gioiellerie, e tutto quello che sta in mezzo tra l’estrazione del minerale e un orecchino, oltre ad un enorme centro commerciale e chissà cosa altro. Guadagna circa quaranta milioni di euro al giorno, contro i duecentocinquanta euro al mese che riesce a mettere insieme un normale contadino o minatore, tipo quelli che abitano nelle misere baracche degli ex-lager sparsi per la Kolyma. Non che poliziotti e impiegati statali guadagnino molto di più: è abbastanza facile capire perché sia così diffusa la corruzione.

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I veri incontri piacevoli, il nostro viaggiatore li fa lungo la Strada, specialmente nei bar che di tanto in tanto spuntano ai lati: facce semplici e sincere, la gente della taiga con le mimetiche, gli autisti con le mani impiastricciate di grasso, i cercatori d’oro piegati dai reumatismi. E nessun turista.

 

E anche qui le storie incredibili non mancano: ogni persona incontrata racconta un romanzo di vita. A Jagodnoe, Hugo-Bader fa conoscenza con tipi strani, che hanno le spalle curve dal peso di esperienze tragiche e dolorose, ma che hanno trovato il modo di sopravvivere. Poi racconti di orsi che furoreggiano nella taiga, mangiandosi delle persone (per davvero, non come nelle favole). A Burchala incontra l’ottantenne re dei cercatori d’oro e potete immaginare quale aura lo circondi.

Sfruttando i passaggi che chi viaggia sulla Strada è ben felice di offrire, insieme ad ospitalità e pasti caldi, Hugo-Bader giunge anche in Jacuzia, la terra dove si estrae la metà dell’oro della Russia e tutti i suoi diamanti.

Mentre macina i chilometri, Jacek registra tutti gli incontri, le storie che hanno da raccontare, soprattutto a lui:

Il nuovo uomo sovietico è infingardo, codardo, pigro, soffre della sindrome del poputčik*. È un uomo che non grida il suo dolore da dentro la sua anima ma lo sussurra a uno sconosciuto durante un viaggio. Oppure lo anestetizza con la vodka.

*la sindrome del compagno di viaggio (n.d.r.)

Nel frattempo si è fatto ottobre inoltrato, le temperature sono scese fino ai cinquanta sottozero e bisogna attraversare i fiumi che si incontrano per arrivare a Jakutsk.

E ora sull’alta riva dell’Indigirka Nolik ha organizzato un picnic sul ghiaccio per me, con cognac armeno, vodka russa, falò e šašlik arrostiti sugli spiedini, polmone di vitello e würstel di maiale. Fa un freddo cane, è notte fonda, e sul fiume, che fa paura a guardarlo, corre la famosa šuga, cioè degli enormi blocchi di ghiaccio. Corrono col fracasso della transiberiana, perché l’Indigirka è un fiume tremendamente pericoloso, con la corrente più violenta di tutti i grandi fiumi del pianeta. Va a venticinque chilometri all’ora. Un bello spettacolo terrificante.

Bisogna arrivare in tempo prima che i collegamenti via traghetto vengano sospesi, ma il nostro viaggiatore non ce la fa … e dovrà attraversare l’Aldan su una chiatta che solo a vederla, prende lo sgomento; Jacek definisce la traversata in mezzo ai blocchi di ghiaccio i peggiori sette minuti della sua vita

Kolyma Jakutsk
Jakustk

Link all’editore. L’incipit potete leggerlo Qui.

Vi segnalo anche questo articolo, apparso sul sito “Russia Beyond”.