A UN POETA MORTO

[F. García Lorca]

È, morire, aspirare un nuovo fiore,

un profumo ch’è sogno e ci pervade

come un’acqua densissima. La Notte

accoglie i vinti nella sua dolcezza.

Notte assoluta!

Tremiamo noi mortali alle sue luci.

In quelle terse ore dell’insonnia

ho guardato i suoi occhi fronte a fronte:

ed è un amore, un furore di gelo,

un vortice tranquillo, sopra un mondo

senza spazio né forma né rumori.

Come un’idea di vento d’uragano,

la raffica d’un dio futuro, sorge

dall’imminente vuoto impenetrabile.

Che nere chiome sparse!

che spigoli infecondi! che presagi!

nevi solcate, voci soffocate!

Tristi uccelli senz’ombra si smarriscono

per cieli senza spazio. Distaccati

sogni dal sognatore inesistenti

lasciano scie. Vanno con rotte sartie

fantastici navigli intempestivi,

per mare senza tempo, bordeggiando

a golfi senza nome. E nell’interno

laboratorio gelido e spettrale,

nel sublime alambicco, gorgogliando

tempo ed eternità.

Oh no! la Notte

accoglie i vinti nella sua dolcezza.

Nutre affetti di madre, ed è la madre

ove ritorna tutto quel che vive.

Questo grande delirio di futuro,

quest’ansia inappagata del domani,

per profondi burroni e ignoti valichi

d’ombra e di luce, sgomento e prodigio,

la nostra vita o questa angoscia d’essere,

rompe un giorno la diga, traboccando

nell’oscuro ristagno del riposo,

nel lago senza tempo e senza riva.

Pause, fragore, sussurri! E la Notte

accoglie i vinti nella sua dolcezza.

Quale felicità, chiuder le palpebre

e a quel bacio affidarsi, della nostra

vita il bacio più bello! Oh quieta Notte,

muta presenza della gran dolcezza

ove annidano i nostri chiari giorni!

O grande pace, porta scura al fondo,

quando le stelle pallide rimiran

benigne quei che oltrepassò la soglia!

O morte, amata da quel fido amante

ch’è quei che vive e te cercando avanza

per saziarsi di te! Tu, dolce morte,

leale innamorata e senza inganno:

accogli il nostro amico nel tuo asilo!

Sempre ti amò, giacché la vita amava.

Coronalo di fiori funerari,

mentre di qua viole noi spargiamo

e lacrime su quella pietra muta!

Te cercava l’ignoto sentimento

dei suoi giochi di bimbo e i sogni torbidi

della sua sbigottita adolescenza.

Vide il mare, le selve, i monti impervi

su indolenti, vastissime pianure;

vide nei cieli i lumi trepidanti

delle notti profonde dell’estate,

e gli montava all’anima di brame

oscure una marea: non avvertiva

che tu con mute voci lo chiamavi.

E l’amore conobbe. Corpi vinti

crollavano sui loro allettamenti.

L’effimero acquistò la permanenza?

Laggiù nella miniera più profonda

esplorava il tuo volto imperscrutabile.

Tu, morte, tu, l’amore; tu, all’amico;

tu, la melanconia, le aspettative,

le tremanti, le timide profferte;

tu, i carboni roventi e le vampate;

tu, il dolcissimo spasimo, tu occulta

amante, unico amore, eterna amante!

Amò. Gridava: « Vita! Più, più vita! »

Amore, amore, inizio della morte!

Tremenda dea dagli occhi dolci, sazialo!

E solo ormai con te: per sempre è tuo.
Per sempre. Ed è immortale, è dio, è assenza.

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da sin: Dámaso Alonso, Luis Cernuda, Federico García Lorca y Vicente Aleixandre . Foto ripresa dal giornale spagnolo ABC