Alejandro Palomas è uno scrittore che amo molto, perché racconta storie di persone comuni illuminate da un attaccamento alla vita che si esprime attraverso la volontà di non rinunciare a viverla, fino in fondo, anche nei suoi momenti più dolorosi, ma con la certezza che, alla fine, ciò che conta sono i sentimenti che abbiamo coltivato e che, come dei salvagente, ci hanno fatto rimanere a galla.

I suoi personaggi sono spesso donne, come in Tanta vita e in Capodanno da mia madre, ritratti riuscitissimi, dipinti a tinte tenui o forti, o meglio, in un alternarsi dei due registri. Donne che hanno fatto fronte alla vita e alle sue prove, donne che la hanno subita e ne sono uscite con le ossa rotte, donne che non hanno rinunciato a cercare una rivincita quando tutto sembrava perduto. Il fulcro dei suoi romanzi è la vita, declinata nelle sue innumerevoli variabili, nei rivolgimenti del destino e nella capacità di cavalcarli come un’onda, fino ad approdare alla riva sicura. La forza che muove le vite dei suoi protagonisti sono i sentimenti, vissuti fino in fondo, fino a farsi male, e a rinascere dopo quella che poteva sembrare la fine.

Questo romanzo l’ho letto in lingua originale, perché dopo avere apprezzato l’autore in traduzione, volevo trovarmi faccia a faccia con la sua stessa lingua, con le vibrazioni che nascono dall’uso di certe espressioni, nomi, aggettivi, cioè con la materia viva e pulsante che sottende la scrittura. È stata un’ottima scelta, dovuta e necessaria, che mi ha avvicinato ancora di più a questo autore e alla sua poetica. Vi segnalo l’edizione italiana:

L’anima del mondo, di Alejandro Palomas, Neri Pozza editore 2013, traduzione di S. Sichel

Palomas l'anima del mondo

Palomas, in questo romanzo, ci presenta quattro personaggi e le loro vite, e i legami che, nel dipanarsi della storia, si creano tra loro.

Rocío è la direttrice di una casa di riposo per ricchi anziani; “Buenavista”, una splendida dimora immersa nel verde della costa catalana, dove tutto il personale, “come una famiglia”, cerca di rendere piacevoli gli ultimi anni di coloro che possono permettersi la permanenza in questo luogo. È una donna sola, che vive per il e del suo lavoro, portato avanti con coscienza e devozione; un modo per riempire un vuoto nella sua vita che pesa come un macigno.

Ilona è una ragazza ungherese, con un doloroso passato alle spalle nella sua patria durante gli anni della “cortina di ferro”, che ha perso da poco la madre – deceduta dopo una malattia – e che ha visto finire il suo rapporto sentimentale a cui però teneva ancora molto. Ilona, insieme al suo compagno spagnolo, è stata una costruttrice di violoncelli, ma, chiuso il rapporto, si è chiusa anche l’esperienza lavorativa nella liuteria, e ora è impiegata come operatrice presso la casa per anziani, alle dipendenze di Rocío.

La vicenda prende l’avvio quando due anziani, un uomo e una donna, entrano volontariamente nella struttura. Si tratta di Otto Stephens, un ottantaseienne ex direttore d’orchestra, famoso e belloccio – ai suoi tempi – distinto e un po’ narciso, e di Clea Ross, ultranovantenne caustica e, allo stesso tempo, sensibile, ex violoncellista di talento, che ha rinunciato alla carriera per la famiglia.

I due vecchietti, arrivati lo stesso giorno a “Buenavista”, chiedono entrambi di avere come “cuidadora” proprio Ilona. Sanno del suo passato di liutaia e vedono in lei la perfetta corrispondenza di amore per la musica e per uno strumento in particolare: il violoncello. Si dice che il violoncello sia uno degli strumenti il cui suono assomiglia di più alla voce umana, grave e triste. “La voce dei perdenti” si dice nel romanzo, “O delle persone perdute.” Uno strumento che possiede un’anima, “el alma del mundo”, capace di esprimere le più profonde paure e i più nascosti stati d’animo.  Otto chiederà a Ilona di costruire insieme un violoncello, per poterlo poi regalare ad una persona per lui speciale.

Liuteria De Bonis
Liuteria De Bonis

Si crea così un triangolo di corrispondenze tra i due anziani che si ribellano alla loro età e vogliono concludere le loro esistenze sciogliendo tutti i nodi che nel passato hanno intrappolato le loro vite, e la giovane donna, ferita dalla vita, delusa, e soprattutto sola, tristemente rivolta verso il passato. Il passato dei tre personaggi è la chiave fondamentale per comprendere la storia, e lo si scopre poco a poco, attraverso capitoli in cui si fa luce su ciascuno di loro. Un passato con il quale è necessario riconciliarsi per potere andare avanti, per potere sperare in un futuro, breve o lungo che sia, diversamente per ciascuno di loro. Un passato pieno di assenze, di vuoti e di mancanze che hanno minato le loro vite.

La storia che si dipana è movimentata dall’amicizia e dalla complicità che si creano tra i protagonisti, tenuti insieme dall’amore per la musica che li lega tutti e tre in modo indissolubile. Ilona, durante la giornata, si alterna nel fare compagnia ai due anziani, ascoltandoli, con empatia e, pian piano, con affetto, divenendo il terzo polo di un rapporto che, tra alti e bassi, si consolida.

Come in altri romanzi di Palomas, ciò che spicca in questa storia è la necessità di dare voce a ciò che mai prima, nella propria vita, si è detto; di rimediare ai silenzi che annegano ogni capacità di interagire e incrinano i legami. Gli equivoci, le false supposizioni, le omissioni: tutti i passi falsi capaci di annientare rapporti.

I personaggi emergono fin dalle prime pagine: i loro gesti, le manie, le frasi che dicono, dipingono dei ritratti nitidi e vivi. Dopo pochi capitoli si hanno già davanti i loro volti, il modo di camminare, le espressioni e le idiosincrasie. Tra tutti, spicca, secondo me, Clea: a volte caustica, quasi sempre ironica, una vita sofferta sulle spalle, riesce a mettere chiunque con le spalle al muro, lanciando degli affondi che colpiscono sempre il bersaglio costringendo gli interlocutori a venire allo scoperto. Impossibile, con lei, mentire o divagare. Mi ricorda molto nonna Mencía di “Tanta vita”. Clea ha la battuta sempre pronta ed è un po’ l’antitesi di Ilona, riservata e schiva, rinchiusa nei propri ricordi e incerta sul futuro. Una donna fragile che cerca di voltare pagina e per la quale il rapporto con i due anziani diviene una specie di rifugio.

Non dirò di più perché è una storia tutta da assaporare, con calma e riflettendo sui molti passaggi intriganti fino ad imbattersi in un finale inatteso e sorprendente.  Un romanzo che ci parla del passato, del futuro, di segreti dolorosi taciuti per una vita, e di seconde possibilità.

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foto credit: 4ever.eu