L’inizio è sempre difficile, non è facile scegliere tra le tante la parola giusta, destinata a durare; dentro di sé non ci esprime con un’unica parola. Ogni poesia, storia, romanzo o saggio, ogni sogno, è una parola di quel linguaggio mai tradotto, immensa sapienza della notte, vocabolario eterno senza grammatica e senza regole. La terra è grande. E con la terra, ogni cosa è grande, il grattacielo e il filo d’erba. L’occhio ingrandisce, se mente e anima lo consentono.

Ragazzo coraggioso, di William Saroyan, Marcos y Marcos 2018, titolo originale “The Daring Young Man on the Flying Trapeze”, traduzione di Claudia Tarolo e Marco Zapparoli

Saroyan che ve nePremetto che questa è la mia prima esperienza con Saroyan; non ho letto il romanzo più famoso, “La commedia umana” e neanche “Che ve ne sembra dell’America?”, nella traduzione di Elio Vittorini, che mi ammicca dallo scaffale USA e che non ricordavo di avere: era un volume di mio padre, sta ancora tra i libri che mi ha lasciato in eredità, con la sua puzzetta di muffa, ma non lo avevo degnato di attenzione. Chissà poi perché. Me ne sono ricordata quando ho acquistato il libro edito da Marcos y Marcos. Papà, leggevi cose fighe.

Nella sua prefazione (che risale agli inizi degli anni Quaranta), Vittorini, descrive così lo scrittore:

William Saroyan è un giovanotto di trentun anni, figlio di armeni, nato in America, California, ed è uno dei più vivi e interessanti tra gli scrittori giovani della letteratura americana. Il più americano anche, lui armeno. Perchè in questa specie di letteratura universale ad una lingua sola, ch’è la letteratura americana di oggi, si trova ad essere più americano proprio chi non ha in sé il passato particolare dell’America, la terra d’America, e più è libero da precedenti storici locali, e più insomma è aperto con la mente alla civiltà comune degli uomini.

Saroyan è uno di quegli scrittori eccentrici che fanno cose fuori dal comune, oltre a scrivere, intendo. Vediamo: ha rifiutato il premio Pulitzer, nel 1940, dicendo “Sono fiero che i giurati abbiano pensato a me: peccato che abbiano scelto l’opera sbagliata”. Cosa intendeva? Che quell’opera non era né migliore né peggiore delle sue altre. Beh, son punti di vista. Il premio gli fu assegnato per “The Time of Your Life”, tradotto e pubblicato in Italia col titolo “I giorni della vita”. Si tratta di una pièce teatrale (da cui fu tratto anche un film, così come divenne un film “La commedia umana” che vinse anche l’Oscar come migliore sceneggiatura originale) che mette in scena l’America della grande crisi del ’29 (e della guerra; Saroyan fu soldato semplice), tutta ambientata in un fosco locale della San Francisco fumosa e mal frequentata. Un ritratto dei personaggi un po’ emarginati che ruotano attorno al locale, quindi molto realistico, ma non dai toni di denuncia sociale, piuttosto frutto di un certo disincanto e di un amore sincero per il genere umano, tutto. È comunque considerato uno scrittore neo-realista. Non ho letto neanche quello, per cui, giocoforza, riporto pedissequamente ciò che ho trovato in rete.

San francisco fredlyon
San Francisco. photo by Fred Lyon

 

Saroyan era figlio di immigrati armeni (minoranza perseguitata, appartenere alla quale rimane per tutta la sua vita il suo modo di ricordarsi di tutti – vedi il racconto “Settantamila assiri”), rimase orfano da piccolo e visse per un po’ in un orfanatrofio; abbandonò la scuola ben presto e fece i più disparati mestieri, conoscendo miseria e fame; come direbbe lui, visse. E questo è quanto basta per scrivere. Si formò da autodidatta. Molta della sua fama è legata ai racconti e alle opere teatrali.

I racconti che ho letto ora nell’edizione appena pubblicata da Marcos Y Marcos ( e già pubblicati dalla c.e. in una precedente edizione nel 2001) furono scritti negli anni Trenta e, tra gli altri protagonisti, c’è soprattutto lui, con la sua esperienza di vita, di frequentazioni, di difficoltà economiche, ma sempre con uno sguardo ottimista, necessario a rischiarare il buio delle difficoltà di vivere e a cogliere la bellezza della vita, il suo essere un miracolo.

Nella prefazione dell’autore ecco la prima illuminante dichiarazione d’intenti:

Il suggerimento più importante per uno scrittore, tuttavia è questo: impara a respirare profondamente, a gustare davvero il cibo quando mangi, e quando dormi, dormi davvero. Cerca di vivere più che puoi, con tutte le tue forze, e quando ridi, ridi con tutto il cuore, e quando ti arrabbi, arrabbiati fino in fondo.  Cerca di vivere. Ben presto morirai.

Insomma, carpe diem.

Il volume raccoglie 25 racconti: istantanee folgoranti. Protagonista è l’umanità nella quale Saroyan è immerso; sono giovani squattrinati, emarginati, orfani, apprendisti scrittori, studenti della scuola per parrucchieri, telegrafisti, prostitute e perditempo. Ci sono russi, ebrei, armeni, giapponesi, irlandesi, italiani, gli emigrati che hanno raggiunto gli USA per scampare a fame e persecuzioni. Insomma l’umanità palpitante di Fresno, quella che si arrabatta a tirare avanti in tempi di crisi nera, che campa con pochi spiccioli, che beve, fuma e scommette. E che scrive. Ma non per diventare un grande scrittore, uno di quelli “bravi”, ma piuttosto per raccontare la realtà che contiene lui stesso, protagonista che emerge sempre, che difficilmente si separa dalla prima persona, essendo continuamente narratore e protagonista. E il confine tra la finzione e la sua stessa biografia è molto labile.

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San Francisco, Potrero Hill. Photo web

Saroyan era uno scrittore compulsivo: ha scritto tantissimo, lo faceva per ore e ore, ogni giorno. Il suo stile è asciutto, diretto, efficace, quasi un’improvvisazione jazzistica, molto vicino al parlato. Era un osservatore, istintivo nel tratteggiare i personaggi e gli ambienti, volutamente ingenuo e attratto dal lato positivo dell’esistenza, che cerca sempre di sottolineare, anche nelle situazioni più cupe. Senza retorica né buonismi, piuttosto con un naturale senso di fratellanza verso il genere umano, soprattutto verso i più deboli.

In molti racconti affiora cosa significhi per lui scrivere e come vuole farlo, come in “Gelida giornata“, tutto giocato sul fatto che aveva in mente una storia da scrivere ma, dato che nella sua stanza fa così freddo, non riesce a scriverla; il freddo gli ha fatto passare via l’idea e allora scrive una lettera al “Caro M.” per dirglielo e per spiegargli come si scrive una storia. Anche se oggi lui non ci è riuscito, per colpa del freddo.

In questi racconti – sparsi come il sale sulle pietanze – ci sono la sua poetica e la sua visione del mestiere di scrivere, inscindibile dal mestiere di vivere. Prendiamo il racconto “Io sulla terra” (da cui è tratto anche il brano in apertura di post):

Sono un raccontastorie con un solo intreccio a disposizione – l’uomo. Voglio raccontare questa storia semplice a modo mio, dimenticando le regole della retorica, le tecniche di composizione. Ho qualcosa da dire e non voglio esprimermi come Balzac. (…) Soltanto l’uomo  mi interessa. Amo la vita, e mi inchino davanti alla morte. Non la temo, perché è puramente fisica. (…) Piuttosto, detesto la violenza e odio profondamente chi la pratica e la diffonde. (…) Le mie uniche armi sono le parole. Sono più potenti delle macchine da guerra, ma mi dispero perché le mie forze non bastano a neutralizzare l’impulso distruttivo che i propagandisti inducono negli uomini. Farò propaganda anch’io: in questo racconto voglio restituire all’uomo dolcezza e dignità. Restituire l’uomo a se stesso.

Oppure leggiamo “Settantamila assiri”:

Dovete sapere che la memoria mi interessa moltissimo. Un giovane scrittore se ne va in giro, parla con tutti. Cerca di scoprire cosa ricorda la gente. Non utilizzo un gran che, per un racconto. In questo racconto non accade nulla. Niente intreccio accattivante. Non introduco personaggi memorabili. Manco di abilità di stile. Non creo belle atmosfere. (…) Sono qui nel Far West, a San Francisco, in una stanzetta su Carl Street, e mi rivolgo alla gente comune, con parole semplici, dico loro cose che già sanno. (…) Se ho un’aspirazione, è mostrare la fratellanza tra gli uomini.

Ecco qua chi è Saroyan e cosa vuole dire, quale è il suo rapporto con la scrittura. Perché lui, e sempre lui, è il protagonista. Che si mette sinceramente a nudo, anche sul suo modo di stare nel mondo. Che non potrebbe essere più attuale:

Non credo nelle razze. Non credo nei governi. Abbraccio con un solo sguardo tutta la vita, milioni di esseri nello stesso tempo, sulla terra intera. I bambini che non hanno ancora imparato a parlare sono l’unica razza del mondo, la razza umana: tutto il resto è illusorio, la cosiddetta civiltà, l’odio, la paura, il desiderio di potenza…

Saroyan, e mio papà, mi hanno conquistato…. ecco la prossima lettura:

Saroyan commedia