Forse l’amore è dentro ognuno di noi. Io credo che l’amore sia come un lasciapassare, con il quale si può andare a vivere ovunque. Purtroppo io non ho un documento di questo tipo in tasca. Ho paura a venire da quelle parti, perché con le tasche vuote potrei perdermi e allora dovrei implorare l’aiuto di qualcun altro. Ho paura a raggiungerti nel tuo paradiso e magari ritrovarmi a fissare i resti del mio inferno attaccati addosso. Hai ragione tu: non ho il coraggio di partire.

Come un uccello in volo, di Fariba Vafi, Ponte33 2010, traduzione dal persiano di Hale Nazemi e Bianca Maria Filippini, illustrazione in copertina di Iman Raad

Il romanzo di Fariba Vafi presenta il racconto in prima persona di una donna in crisi di identità. Una donna normalissima, moglie e madre di due figli, figlia a sua volta di due genitori molto distanti tra loro, per carattere, con i quali ha avuto un rapporto fatto di avvicinamenti e repulsioni, e un grande rimpianto. Sorella di due donne accomunate da un modo di pensare più libero e indipendente di quanto non lo sia il suo, che ha vissuto chiusa in una gabbia metaforica che le si è andata costruendo attorno, avvolta dalla sua riservatezza, dai suoi silenzi. La protagonista ci porta nel suo piccolo mondo, fatto di fatica, ristrettezze economiche, continui traslochi, e molta solitudine, nonostante le presenze che affollano la sua vita. È soprattutto col marito Amir che si produce una grande crepa, che rischia di allontanarli per sempre. Lui vorrebbe andarsene in Canada dove è sicuro di potere vivere una vita migliore, lasciandosi alle spalle stenti e rinunce, gettandosi in un mondo che ai suoi occhi è foriero di benessere e felicità. Ma lei non vuole saperne, non vuole lasciare un mondo, che, anche se le riserva molta amarezza, è pur sempre il suo, ciò che conosce e da cui sa cosa aspettarsi. Quando riceve le lettere dalla sorella che è emigrata negli Stati Uniti e quando Amir le dipinge tutte le bellezze di una nuova vita, lei è molto combattuta, i legami costruiti nel tempo la trattengono come un uccello che non vuole uscire dalla sua gabbia. Dovrà pensare a lungo, guardarsi dentro con sincerità e un pizzico di coraggio per capire se quella gabbia vuole aprirla o se invece ne vuole rimanere prigioniera per sempre.

Il romanzo è scritto con uno stile diretto, con capitoli brevi e asciutti che riescono in modo preciso e vivido a rendere tutto il dissidio interiore che sta vivendo la protagonista. Insieme alle descrizione della sua routine quotidiana, la protagonista trasferisce al lettore le sue riflessioni su quanto alla fine si è soli nei propri tormenti, su quanto poco un uomo e un donna che pur condividono un’esistenza, conoscano i pensieri uno dell’altra.

Non sa che lo tradisco cento volte al giorno. Che cento volte al giorno, spaventata, come una donna che non si è mai allontanata da casa sua, fuggo via da questa vita. Piano, senza fare rumore, furtivamente, tremando di paura, vado in luoghi che Amir non può neanche immaginare. Poi, pentita, soffocata dal rimorso, torno a casa, da Amir, nel buio di una notte come questa.   

L’ambientazione ci porta in una città dell’Iran mai specificata ma che risalta come una presenza vibrante, fatta di odori, di voci, di volti, di vicoli e cortili, dove le persone si sfiorano, si spiano e dove i bambini giocano liberi. Lontana dal modello stereotipato della donna mediorientale che domina il panorama narrativo oggi di gran moda, la protagonista del romanzo di Vafi ha una personalità controversa, indipendente nel formare il suo pensiero, alla ricerca della sua vera identità e capace di grande lucidità.

Isfahan Si-o-se_Pol,_Isfahan,_Irán, foto Diego Delso
Isfahan, Si-o-se Pol, foto Diego Delso

Il romanzo ha visto la luce nei primi anni Duemila ed ha ricevuto due importanti riconoscimenti letterari in patria; è stato tradotto in Italia nel 2010 grazie alla casa editrice Ponte33. L’editore – che si definisce “una associazione culturale” – ha come obiettivo quello di fare conoscere nel nostro Paese la letteratura contemporanea in lingua persiana prodotta in Iran, Afghanistan, Tagikistan e all’estero, Stati Uniti e Europa, dove molti scrittori provenienti da questi Paesi vivono; la proposta è orientata ad una produzione culturale autentica, lontana dagli stereotipi infarciti di chador e veli che spopolano sugli scaffali delle librerie. Un progetto culturale che si allarga anche alle arti visive e al cinema. Mi ha incuriosito il nome: sul loro sito si dice che richiama il ponte persiano di Isfahan sotto le cui arcate (33) da sempre giovani e meno giovani si incontrano, parlano, discutono, recitano versi, leggono libri.

Potete leggere l’incipit qui.

Fariba Vafi foto

Fariba Vafi, una delle figure più significative del panorama letterario iraniano contemporaneo, nasce a Tabriz nel 1962. Dopo il diploma e un breve periodo di lavoro in fabbrica, frequenta a Tehran la scuola di formazione della polizia femminile islamica. Rientrata a Tabriz, viene impiegata come guardia carceraria ma abbandona il lavoro dopo solo tre mesi. Fin da giovane coltiva il sogno di diventare scrittrice e, dopo il matrimonio, pur vivendo lontana dagli ambienti letterari della capitale, riesce ad imporsi all’attenzione della critica e dei lettori. Pubblica il suo primo racconto, Râhat shodi pedar (“Ora sei in pace, papà”) nel 1988. Nel 1996 dà alle stampe una prima raccolta e quindi quattro romanzi, di cui Come un uccello in volo è il primo tradotto in italiano. Attualmente vive con la famiglia a Tehran.