Come ogni anno, il mio mantra che accompagna il mese di dicembre, è: a Natale, regaliamo libri.

Un libro è il regalo che vorrei ricevere ed è anche il regalo che di solito faccio ad amici e parenti. Monotona? Assolutamente no, perché ogni libro è una novità, un universo unico e irripetibile. Con un libro si va sul sicuro, basta calibrarlo sui gusti di chi lo riceverà e magari sorprendere, divertire …. Di libri ce ne sono per ogni gusto e tema – fotografia, arte, cucina, sport, animali … – ma, qui sul mio blog, vi parlerò di romanzi. In questo periodo dell’anno si affacciano in libreria molte novità, ma ci sono anche tanti libri già editi che vale la pena di prendere in considerazione. Metterò in vetrina quelli che mi attirano e incuriosiscono, con l’augurio che possano stimolare anche la vostra curiosità. E …. spero di trovarne qualcuno sotto l’albero!!!

Questa vetrina piacerà sicuramente a coloro che amano viaggiare con un libro in mano; quelle persone che, come me, amano immergersi in una ambientazione diversa, magari viaggiando in un assolato paese dell’America latina, o in un freddo paese del nord Europa. Insomma, tutti quelli che, quando iniziano a leggere un romanzo, ci si buttano dentro come tuffarsi in un mare invitante! Allora, partiamo.

 

Stefansson storia di asta

Storia di Ásta, di Jón Kalman Stefánsson, Iperborea settembre 2018, traduzione di Silvia Cosimini, pagg 480

Reykjavík, primi anni Cinquanta. In un piccolo appartamento seminterrato Sigvaldi e Helga toccano il cielo con un dito abbandonandosi alla loro giovane e travolgente passione e decidono di chiamare la figlia Ásta. Ásta come una grande eroina della letteratura nordica, Ásta perché ást in islandese vuol dire amore. Sedici anni dopo Ásta scopre il sentimento di cui porta il nome in una fattoria negli aspri Fiordi Occidentali dove trascorre l’estate. Lo impara a conoscere dalla storia tormentata tra un uomo e una donna uniti dalla solitudine e divisi dalla dura vita contadina; lo impara a capire dalla vecchia Kristín che ogni tanto, al mattino, si sveglia in un’altra epoca del suo passato e può così rimediare ai rimpianti che le ha lasciato la vita; lo vive sulla propria pelle insieme a Jósef, il ragazzo che le cambierà l’esistenza. Eppure sono tutte promesse di felicità non mantenute ad avvicendarsi in questa impetuosa storia famigliare, segnata per sempre dal giorno in cui Helga si rivela uno spirito troppo libero e assetato di emozioni per non ribellarsi alla soffocante routine domestica e abbandonare marito e figlie, lasciando Ásta con un’inquietudine, un’ansia di fuga, una paura di seguire fino in fondo i propri sogni. In un romanzo lirico, sensuale e corale, che si compone a puzzle seguendo i ricordi dei personaggi e le associazioni poetiche dei loro sentimenti, Stefánsson racconta l’urgenza e l’incapacità di amare, la ricerca di se stessi nell’eterna e insidiosa corsa alla felicità, e quel fiume di desideri e nostalgia che accompagna il destino di ognuno, sempre pronto a rompere gli argini e a scompaginare un’esistenza. 

La mia recensione

 

Jin Lee la moglie coreana

 

La moglie coreana, di Min Jin Lee, edizioni Piemme, novembre 2018, traduzione di F. Merani, pagg 600

Corea, anni Trenta.Quando Sunja sale sul battello che la porterà a Osaka, in Giappone, verso una vita di cui non sa nulla, non immagina di star cambiando per sempre il destino del figlio che porta in grembo e delle generazioni a venire. Sa solo che non dimenticherà mai il suo Paese, la Corea colpita a morte dall’occupazione giapponese, e in cui tuttavia la vita era lenta, semplice, e dolce come le torte di riso di sua madre. Dolce come gli appuntamenti fugaci sulla spiaggia con l’uomo che l’ha fatta innamorare per poi tradirla, rivelandosi già sposato. Per non coprire di vergogna la locanda che dà da vivere a sua madre, e il ricordo ancora vivo dell’amatissimo padre morto troppo presto, Sunja lascia così la sua casa, al seguito di un giovane pastore che si offre di sposarla. Ma anche il Giappone si rivelerà un tradimento: quello di un Paese dove non c’è posto per chi, come lei, viene dalla penisola occupata. Perché essere coreani nel Giappone del XX secolo, attraverso tutte le tempeste che la Storia riserverà a quegli anni densi e implacabili, è come giocare al gioco giapponese proibito, il pachinko: un azzardo, una battaglia contro forze più grandi che solo uno sfacciato, imprevedibile colpo di fortuna può ribaltare.

La moglie coreana, rivelazione letteraria dell’anno, è una grande saga, intima e al tempo stesso universale, che attraversa quattro generazioni di una famiglia regalandoci personaggi appassionati che vivono, amano, lottano sotto un cielo indifferente come la Storia stessa. In cerca di un posto da chiamare, finalmente, casa.

 

Jones Tayari un matrimonio americano

Un matrimonio americano, di Tayari Jones, Neri Pozza editore novembre 2018, traduzione di A. Arduini, pagg 362

Roy e Celestial sono sposati da piú di un anno. Sono neri di Atalanta, convinti di avere tutta la vita davanti, regni sconfinati di pagine bianche ancora da scrivere. Roy non è certo un magnate, ma ha un lavoro tale da permettergli di accarezzare l’idea di comprare casa. Celestial è «un’artista da tenere d’occhio», come recita il titolo di un articolo a lei dedicato. Gran cespuglio di capelli neri e un sorriso malizioso, Celestial fabbrica bambole considerate vere e proprie opere d’arte. Il loro matrimonio è come un arazzo finissimo. Spesso lo strappano, soprattutto perché Roy ama piacere alle donne, ma altrettanto spesso lo rammendano, sempre con un filo di seta, bellissimo. Una sera, dopo aver fatto visita ai genitori di lui, a mamma Olive, che ha trascorso una vita intera a riempire vassoi in un self service per permettere al figlio di andare all’università, e a Big Roy, tuttofare per la medesima ragione, Roy e Celestial decidono di trascorrere la notte al Piney Woods, l’unico hotel a Eloe, la città dei genitori. È il week-end del Labor Day e una meteora distruggerà la loro vita. Una volta in camera, Roy si lascia andare a una rivelazione che fa infuriare Celestial. Per ritrovare in qualche modo il filo di seta capace di rammendare quello strappo, prende poi il secchiello di ghiaccio ed esce dalla stanza con l’intenzione di andarlo a riempire. In corridoio incrocia una donna all’incirca dell’età di sua madre, con una faccia simpatica e il braccio stretto dentro una benda appesa al collo. Siccome è un gentiluomo, Roy l’accompagna in camera, l’aiuta ad aprire la finestra e le sistema anche il water che perde come le cascate del Niagara. Infine rientra nella sua stanza, dove Celestial allunga il bellissimo braccio nella sua direzione e gli porge i cocktail che ha preparato. Quella sarà, per Roy, l’ultima serata felice che trascorrerà per molto, molto tempo. Accolto al suo apparire negli Stati Uniti da un enorme successo di pubblico e dall’entusiasmo della critica, Un matrimonio americano è uno di quei rari romanzi in cui la narrativa illumina davvero la condizione umana, una condizione, nelle sue pagine, in cui i pregiudizi razziali, l’ineguaglianza della legge e la crudeltà stessa, che è sempre in agguato in ogni relazione davvero profonda, sono in grado di distruggere l’amore e mettere alla prova ogni sentimento morale.

La  mia recensione

Bilkau i felici

I felici, di Kristine Bilkau, Keller editore 2018, traduzione di F. Cambi, pagg 320

Isabell e Georg sono una coppia felice, lei suona il violoncello in un’orchestra e lui è un giornalista.
Quando tornano a casa, la sera, osservano insieme gli appartamenti dei vicini così luminosi, con gli eleganti lampadari, gli scaffali pieni di libri e le tende colorate là dove dormono i bambini. Sognano, sognano un futuro a portata di mano, una promessa di cui già si sentono parte.
Eppure quando nasce il piccolo Matti le loro esistenze si fanno d’improvviso più incerte e tremanti, come la mano di Isabel quando ora imbraccia il violoncello. Per Georg le cose non vanno meglio con le insistenti voci di vendita del giornale, e pure l’affitto di casa aumenta. Ciò che sembrava scontato − i caffè, i negozi, i parchi − di punto in bianco appare inaccessibile. Una lenta deriva segnata da tante domande, calcoli, paure, solitudine ma anche da voglia di farcela e di capovolgere il proprio mondo.
In questo romanzo d’esordio, accolto da un grande successo di critica e pubblico, Kristine Bilkau ci propone un ritratto magnifico e rigoroso delle giovani generazioni, così schiacciate tra l’aspirazione a una vita di successo e la costante paura di poter perdere da un momento all’altro quanto raggiunto. Una condizione “precaria” che può mettere in pericolo qualunque cosa, anche i legami più forti, raccontata con una lingua sobria e cautamente elegiaca, segnata da una grande bellezza e malinconia.
Ogni generazione, si sa, trova la propria strada per la felicità. Accadrà anche questa volta?

Che ne dite? Io li ho già messi nella mia wish-list…. speriamo che qualcuno venga a prenderne ispirazione….

Ciao, alla prossima vetrina!!!