Tutti questi racconti sono frutto della fantasia; e tutti, a parte uno, ricreano, con maggiore o minore fedeltà, scene e situazioni da me vissute o raccontatemi da qualcuno a me vicino, successe in luoghi dove sono stato. So che basarsi su fatti reali non rende più verace né più impressionante una storia (..) giacché si può distorcere maggiormente la verità raccontando fatti reali che inventando avvenimenti immaginari.

Donne che viaggiano da sole, di José Ovejero, Voland edizioni 2006-2018, traduzione di Barbara Bertoni, pagg 198

Così commenta l’autore la sua raccolta di racconti, undici in totale, che Voland ha deciso di rimettere in circolo, a distanza di più di dieci anni dalla loro prima pubblicazione. Mi sono decisa a leggerli dopo avere molto apprezzato il romanzo “L’invenzione dell’amore”, di cui mi ha colpito, oltre all’intreccio, lo stile dell’autore. E, ora che li ho letti e che ho gustato una prova diversa, imperniata sulla brevità e sulla capacità di andare dritti al punto, sono ancora più convinta del valore di Ovejero. Il racconto, rispetto al romanzo, è un terreno ancora più insidioso, a mio parere, ed è facile cadere nella banalità o confezionare involucri criptici col sospetto che racchiudano il vuoto di idee. Così non accade in questa raccolta.

Questi racconti di viaggio sono più reali del reale; sono a volte un pugno nello stomaco, altre fonte di amarezza per ciò che mettono a nudo, altre ancora generatori di un turbamento che farebbe venire voglia di voltare la testa dall’altra parte, altre disincantati approdi della voglia d’evasione.

La raccolta prende il titolo da uno dei racconti, in cui effettivamente ci sono due donne che viaggiano da sole; molti racconti sono imperniati su personaggi femminili, ma, attraverso queste finestre affacciate sulla realtà vediamo muoversi sia uomini che donne, laddove, credo, ciò che li accomuna è la solitudine, persino quando non si è fisicamente soli, ma lo si è interiormente, vittime di una incomunicabilità che isola.

Si entra nei racconti in medias res, in una situazione che, anche se non è definita da mille parole, è tutta immediatamente comprensibile grazie alla capacità dell’autore di utilizzare quanto basta e in modo efficace. Sono sufficienti pochi indizi per intuire il quadro completo e soprattutto per indirizzare l’attenzione sul focus di quel preciso episodio.

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foto by mymadagascar.it

 

Sono ambientati in luoghi geografici diversi: dal Madagascar, all’America centrale, all’Asia, all’Europa; luoghi di cui l’atmosfera è resa in modo preciso e vivido, così come sono immediatamente percepiti i contrasti e i pericoli.

Personalmente, mi sono piaciuti tutti e tutti mi hanno regalato un’emozione forte. In particolare: “I compagni di viaggio”, assolutamente imprevedibile e scioccante nella sua evoluzione; tristemente amaro e realistico “Paradisi artificiali”. “Ultima chiamata” e “Lei ballava il tango” esplorano conflitti interiori dell’universo femminile con delicata profondità, mentre “L’uomo di casa” ci offre una storia molto attuale, nella quale si mischiano dolore e speranza. “Donne in lutto” esplora la complessità e le varie facce del lutto. L’ultimo, “Cobalto 60”, mette a confronto due scienziate, una tedesca e una pakistana, con il loro modo diverso di fare fronte alle incognite della realtà.

Nel complesso, una bella prova d’autore che fa viaggiare il lettore a fianco dei suoi personaggi, alla ricerca di realtà diverse fino a scoprire che, in fondo, ogni viaggio è un viaggio dentro se stessi.

(Nella foto di copertina, alcune delle mie Pigotte Unicef