Dobbiamo temere e amare Dio, diceva Lutero. Ma altrettanto intensamente amiamo e temiamo i nostri simili, e più di ogni altra cosa abbiamo paura di perderli. Di ritrovarci soli, isolati dal branco che ci protegge. Il pastore però era diverso. Sembrava appartenere a un’altra specie. Quando tutti intorno a lui urlavano, lui stava zitto. Quando tutti indicavano davanti a sé, lui imboccava un’altra strada. Lo scherno e le minacce non facevano che rinsaldare le sue convinzioni. Vedeva ciò che vedeva, ne prendeva nota e lo immagazzinava nella sua mente. Mettersi contro le autorità non lo spaventava.

Cucinare un orso, di Mikael Niemi, Iperborea editore 2018, traduzione di Alessandra Albertari e Alessandra Scali, pagg 507

Il pastore che incontriamo in questo romanzo è un pastore di anime, un personaggio realmente esistito: Lars Levi Læstadius. È stato un pastore luterano vissuto tra il 1800 e il 1861, così come uno scrittore e un botanico che, durante svariate spedizioni, studiò le specie botaniche che crescono in Svezia e nei territori lapponi, dando il suo nome ad alcune da lui scoperte. Era di origini sami per parte di madre, e fu fondatore di un movimento religioso, che qui nel romanzo troviamo come forte presenza spirituale, sotto il nome di “Risveglio”. È uno dei due personaggi principali di questo romanzo: un giallo nella sua vena principale, ma non solo. Sono varie, infatti, le declinazioni con cui l’autore ci fa conoscere un mondo e un tempo lontani da noi. Siamo a metà dell’Ottocento, nell’estremo nord della Svezia, nel Norrland, al confine con la Finlandia ad est, e con la Norvegia ad ovest, nei cui territori si trova la Lapponia svedese, una delle zone in cui vive la popolazione sami. Più precisamente, la storia è ambientata nella contea di Norrbotten, a Kengis, piccola comunità contadina.

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foto: tpi.it

La descrizione che abbiamo letto in apertura ci viene fornita dall’altro personaggio principale, Jussi, un giovane sami, che il pastore trova lungo il bordo di una strada, malconcio, affamato e impaurito. Il pastore, commosso di fronte alla condizione di questo essere indifeso e preso dal ricordo del figlioletto morto a causa del morbillo, lo raccoglie e accoglie nella sua famiglia. Tra loro si svilupperà un forte legame di amore e di ammirazione, da parte di Jussi, che dal pastore riceverà cure, cibo e istruzione.

Spesso penso a quanto sono in debito con il pastore. Gli devo la vita. Fu lui a crearmi. Ad ancorarmi al tempo. E in quel modo alla fine diventai una persona. Da allora esisto, sono registrato nel libro delle nascite. Ormai il mio nome non potrà più cadere nell’oblio.

Ma non tutti, nella comunità la pensano come il pastore. L’origine sami di Jussi lo mette nella scomoda posizione di diverso, rispetto alla popolazione locale, con una accezione negativa e, infatti, nel prosieguo della storia, ciò giocherà a suo sfavore. Eppure, per il lettore, è assolutamente naturale affezionarsi a questo personaggio, alla sua diversità, ma anche alla sua sensibilità; la sua terribile esperienza di vita e la svolta impressa dall’intervento del pastore, appassionano chi legge. Almeno, per me, così è stato, e Jussi mi ha conquistato. Mi bastano queste sue parole per dirlo:

Il fiume porta con sé ogni bruttura. In equilibrio sulle pietre faccio scorrere via la mia angoscia. Mi abbandono, lascio che i miei pensieri più intimi vengano trascinati lontano, fino a scomparire. Forse il fiume è l’immagine più bella della vita. Un’anima che non nasce né muore mai, esiste e basta. Il fiume pensa al posto mio. Mi aiuta a resistere. Se qualcosa mi paralizza, lui mi risponde che tutto è in movimento, che niente è immutabile. Se rimango a osservarlo abbastanza a lungo mi trasformo in acqua. È un’esperienza potente. Quando divento fiume sono io ad acquietarmi, mentre le rive cominciano a muoversi. (..) È questa l’immagine che cerco di evocare la sera, quando mi sento attanagliare dall’angoscia. (..) È il sonno buono del fiume, un sonno che guarisce e ristora.

Niemi orso 2Dicevamo che la trama principale è un giallo: la sparizione di una giovane serva, successivamente ritrovata morta, è il primo delitto misterioso che dà l’avvio alla storia. Sulla scena della sparizione convergono le autorità locali, nella persona del giudice distrettuale Brahe e del suo tirapiedi Michelsson, ma anche il pastore e il suo pupillo Jussi. Mentre il giudice liquida l’uccisione della giovane donna come opera di un orso che l’avrebbe attaccata, il pastore indaga con un metodo diverso, giungendo a conclusioni ben diverse. Egli infatti, pur essendo un uomo di chiesa, ha un occhio molto allenato al metodo scientifico, quello che gli ha permesso di studiare e catalogare le specie botaniche. È un acuto osservatore, attento al minimo dettaglio, che procede secondo deduzioni logiche, analizzando ogni evidenza senza arrendersi alla conclusione più banale e meno probabile. Ricorda un po’ Guglielmo da Baskerville, l’erudito frate francescano protagonista de “Il nome della rosa” che indaga sulle morti misteriose dei frati, e Jussi potrebbe in qualche modo avvicinarsi a Adso. Come nel capolavoro di Eco, anche qui ci troviamo di fronte a un movimento religioso contestato dalle autorità religiose luterane, e se non si parla di eresia, poco ci manca, se non altro perché è passato qualche secolo.

A breve distanza di tempo, un’altra ragazza viene aggredita e anche se si salva per un pelo, il suo destino sarà segnato. Mentre il rappresentante della legge, Brahe, non pago di avere fatto trucidare un’orsa in virtù della taglia che aveva stabilito per chi l’avesse catturata, continua sulla strada dell’ottusità, Læstadius prosegue la sua personale indagine, raccogliendo sempre più indizi che lo conducono verso un probabile responsabile. E questo è solo l’inizio. Dell’intreccio ovviamente non voglio dire altro per non rovinare il piacere della lettura. Posso solo aggiungere, sul piano della tensione narrativa, che la trama gialla è ben costruita, intricata e per niente banale, ma se imparerete a seguire i ragionamenti del pastore, pian piano intuirete i possibili sviluppi.

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Foto credits: Giulia Cimarosti

Come dicevo sopra, però, questo non è solo un bel romanzo giallo; Niemi ha messo molto di più nella sua opera. L’autore conosce bene sia il territorio che il personaggio di Læstadius, essendo nato a Pajala, dove tuttora vive, in una casa a centocinquanta metri da quella in cui visse il pastore. In alcune interviste, Niemi ha spiegato di essere sempre stato affascinato dalla figura del carismatico pastore – tra l’altro sua madre lo aveva studiato e gli ha lasciato molti libri che ne parlano – e di avere pensato di scrivere su di lui; non una vera biografia, ma piuttosto una storia che lo veda protagonista e ne riveli le caratteristiche e doti. Generalmente il pastore è descritto come un uomo severo, strettamente legato alle sue credenze religiose, poco disponibile ad aperture. Niemi ha voluto mettere in risalto anche l’altra faccia della medaglia, quella che restituisce l’uomo, più che il religioso. Una persona poliedrica, con molti dubbi e qualche debolezza, profondamente legato alla moglie, appassionato del metodo di indagine scientifico, convinto assertore dell’educazione delle masse, oppositore delle ingiustizie sociali, avverso al malcostume dell’abuso dell’alcol, sia per l’impatto sulla vita delle persone, sia per gli interessi economici ad esso legati, portati avanti da persone senza scrupoli. È questo il ritratto che il lettore trova tra le pagine.

In questo libro uno dei temi centrali è la potenza della cultura: la parola, scritta e letta, così come quella pronunciata, sono uno strumento possente, che può illuminare le persone attraverso il passaggio di un pensiero, ma che se messa al servizio del male, può portare ad atti terribili. Lo sanno bene tutti coloro che di essa si servono, chi per promuovere l’elevazione delle persone, chi per strumentalizzarle al servizio dei propri scopi. Ed è questo che ci dicono il pastore e Jussi: il primo dal bagaglio di vita ed esperienza che si è costruito negli anni, il secondo, in seguito alla sua nascita come persona grazie al pastore. Ecco come il pastore lo spiega a Jussi:

«Ma parlare, Jussi, parlare è la cosa più difficile. (..) Io penso che le difficoltà siano legate alla voce. Alla sua natura. La voce ci viene da dentro, nasce nel profondo del nostro cuore. (..) Pensare non basta. Le parole non pronunciate diventano briciole, ci saziano per un istante ma si dimenticano altrettanto in fretta. Solo quando escono dalla bocca rivelano il loro valore.» «Però possiamo scriverle.» «Sì, ma allora occorre qualcuno che sappia leggerle

E Jussi, che intanto si è appassionato alla lettura, e ha continuato a maturare nella sua presa di coscienza di quale strumento sia, desidera addirittura scrivere un libro, nel quale dare voce alla sua vita, alle sue sofferenze e a ciò che ha imparato, affinché altri che lo leggeranno ne possano a loro volta trarre insegnamento. Il pensiero reso parola e la sua potenza: a Jussi appare sempre più chiaro quali possano essere le implicazioni e le conseguenze e, nell’esprimere il suo pensiero al pastore, mette a nudo la questione centrale:

Pastore: «Forse è proprio per questo che esistono le biblioteche, perché possiamo toccare con mano la grandezza di Dio

Jussi: «Ma se esistono le biblioteche … abbiamo davvero bisogno di chiese?»

Il pastore rimase in silenzio. Temetti di averlo fatto arrabbiare. Ma quando si voltò verso di me, nel suo sguardo c’era qualcos’altro. Qualcosa di vago, di fuggevole. Qualcosa che somigliava alla paura.

Un altro aspetto che affascina in questa opera è la resa dell’ambiente naturale: il paesaggio nordico, la vita contadina ottocentesca regolata dal ritmo delle stagioni, legata alle colture e all’allevamento degli animali necessari al sostentamento delle persone. Un mondo reso con cruda aderenza alla realtà, senza omettere le difficoltà e anche gli aspetti più truci, colto, però, anche nelle sue più poetiche e toccanti atmosfere.

Lapponia
foto web

Dunque, un romanzo con diverse chiavi di lettura, capace di catturare il lettore grazie alla tensione narrativa legata alla risoluzione della trama gialla, ispiratore di molte riflessioni sulla natura umana e sui valori che la possono elevare, propenso a esaltare sia la razionalità di un approccio scientifico al mondo, sia la sensibilità dello sguardo amorevole verso l’Uomo e l’ambiente che lo circonda. Un romanzo che introduce il lettore in un territorio affascinante e duro allo stesso tempo, un ottimo modo per approfondire le proprie conoscenze sulle popolazioni lapponi, sulle loro tradizioni, lingua e cultura.

Mikael Niemi Bokm‰ssan i Gˆteborg Sep 2004 (c) Lizzie Larsson / IBL

Nato nel 1959 a Pajala, cittadina svedese al confine con la Finlandia, Mikael Niemi ha raggiunto il successo con Musica rock da Vittula. Il romanzo, vincitore del Premio August nel 2000, ha superato le 700.000 copie ed è diventato uno dei romanzi più amati e letti in Svezia negli ultimi anni. Iperborea ha pubblicato anche Il manifesto dei cosmonisti, L’uomo che morì come un salmone e La piena. 

Potete leggere l’incipit qui.