È esattamente questo la letteratura. Nello scrivere sappiamo che c’è qualcosa di molto importante da dire rispetto alla realtà, e che abbiamo questo qualcosa alla nostra portata, è lì, molto vicino, sulla punta della lingua, e che non dobbiamo dimenticarlo. Ma sempre, innegabilmente, lo dimentichiamo.

Il pugile polacco, di Eduardo Halfon, Rubbettino editore 2014, traduzione di Maria Pina Iannuzzi, pagg 121

Lo scrittore guatemalteco Eduardo Halfon mi ha conquistato fin dal primo capitolo di questo libro originale e denso di pensieri che, data la brevità, ho letto senza interruzione, fino all’ultima pagina, e avrei voluto che i capitoli proseguissero, per seguire il filo delle sue riflessioni e incontrare ancora altri personaggi che sicuramente, nella sua vita, gli è capitato di conoscere. E come spesso accade, le persone sono ciò che incontrano sul cammino della vita, e ogni esistenza con cui vengono a contatto plasma il loro modo di stare nel mondo. Per definire questo libro, possiamo dire che è una raccolta di pensieri, stimolati dagli incontri, sostenuti dalle sue idee letterarie, saldamente appoggiati sulla sua storia personale e familiare. L’autore, nonché io narrante, è sì guatemalteco, ma così poco riconoscibile come tale che gli stessi guatemaltechi faticano a riconoscergli tale nazionalità. E ciò perché lui è piuttosto un patchwork di diversi paesi e culture, legati alla sua nascita e ai suoi viaggi.

Non so perché ma mi risulta sempre difficile convincere le persone, persino convincere me stesso, che sono guatemalteco. (..) E anche io non perdo occasione per prendere le distanze dal paese, sia letteralmente che letterariamente. Sono cresciuto fuori. Trascorro lunghi periodi fuori. Lo tratteggio e lo descrivo da fuori. Come se fossi un migrante perpetuo. (..) Non provo nostalgia, né lealtà, ne patriottismo anche se, secondo quello che piaceva raccontare al mio nonno polacco, la prima canzone che imparai a cantare, quando avevo due anni, fu l’inno nazionale. (..) Halfon è libanese, dissi, mentre il mio cognome materno Tenenbaum è polacco, di Lodz.

In questa citazione compare la figura chiave della sua vita e l’ispiratore di tante riflessioni, il nonno materno, quel polacco con un numero tatuato sul braccio su cui lui da bambino aveva tanto fantasticato, inventandosi storie ogni volta diverse, e che altro non era – lo scoprirà durante la confessione del nonno, quando ormai sarà un ragazzo – che il numero tatuato nel lager di Auschwitz, dove fu prigioniero, e da cui uscì miracolosamente salvo grazie alla generosità del pugile polacco. La figura del nonno, la sua storia e la memoria di una tragedia universale, ritornano in ogni racconto, perché questo tassello, ciò che rappresenta, è fondamentale. Così come il nonno non ha più pronunciato una parola in polacco, e ha portato per una vita intera il lutto, così Eduardo ha preso le distanze dall’ebraismo, dalla religione, ma non può fare a meno di essere ciò che è, di contenere in sé ciò che è stato prima di lui. E che affiora attraverso i luoghi, le persone, i ricordi.

auschwitz

I capitoli del libro sono racconti, perché stanno in piedi da soli, e si possono leggere seguendo l’ordine ma anche pescandoli a caso, perché ciascuno racconta una storia, un episodio, che seppur minimo o banale, comprende in sé quelle piccole verità, o possiamo definirle epifanie, che accompagnano i nostri pensieri e li indirizzano, dando forma ad uno sguardo sulla vita che cerca, e a volte trova, delle risposte, seppur effimere, o talvolta invece lapidarie, ma anche poetiche nella loro malinconica coscienza di quanto poco possiamo comprendere del mondo. Ed è il racconto la forma perfetta per dare una casa a tutto questo, e non a caso l’io narrante è un professore di letteratura che, già dal primo episodio, tiene un corso proprio sui racconti – citandone molti, e non casualmente – e che più avanti, così definisce:

Non è la banalità, forse, la materia prima dell’autore di racconti? Non sono gli aneddoti in apparenza sciocchi, ovvero insignificanti, l’argilla stessa con la quale il novellista lavora alla sua creazione e modella la sua arte? Penso che la vita intera sia codificata da quei dettagli insignificanti, minuscoli, trasparenti, da quei dettagli in cui non sembra esistere cosa più importante. (..) Il grande novellista (..) sa fare della brevità qualcosa di colossale, dell’insignificanza qualcosa di trascendente, del nulla un numero di pagine che contengono tutto.

Dettagli che sono racchiusi in uno sguardo, nei silenzi del non espresso, o nei pochi versi di una poesia scritta durante l’ora di lezione da uno studente, come accade nel primo capitolo con lo studente Juan Kalel, ritratto umano che va dritto al cuore del lettore e lì ci resta. O come le parole sconnesse, urlate, del ragazzo che trova pace chiuso in una gabbia di bambù; o nei concerti jazz organizzati in casa ogni domenica da una donna di Harlem che cerca così di sopravvivere alle domeniche senza il figlio che è morto. O ancora la serafica lentezza e le storielle del professore Krup. O la performance del pianista serbo, che cattura Eduardo perché «A volte, quando regna la confusione, una persona non riesce ad ascoltare nient’altro che la musica che ha già dentro.»

Ecco alcuni esempi di una galleria che l’autore tratteggia con poche parole, quelle sufficienti, né una in più né una in meno, per illuminare come con un riflettore uno squarcio di vite, di vissuti, universali e particolari allo stesso tempo. E alla fine tutto questo diventa un romanzo, una catena fatta di anelli che si concatenano, così come la vita e i suoi momenti, tutte quelle circostanze attraverso cui si passa e che si sommano, si mescolano, e alla fine formano un percorso coeso che prende forma da ogni singolo frammento.

Scritto con una prosa sciolta, forte di immagini create dalle sollecitazioni raccolte, attenta all’umanità incontrata o velocemente sfiorata, questo libro, breve ma intenso, vi farà una buona compagnia. E vi stimolerà con le sue citazioni letterarie, musicali e cinematografiche.

Eduardo Halfon è nato nel 1971 a Città del Guatemala. Alcune sue opere sono state tradotte in inglese, francese, serbo, portoghese, olandese. In Italia, nel 2012, è stato pubblicato L’angelo letterario. Nel 2007 Halfon è stato incluso tra i 39 migliori giovani scrittori latinoamericani dall’Hay Festival di Bogotá. Vincitore di numerosi premi internazionali, nel 2011 gli è stata conferita la prestigiosa Guggenheim Fellowship.

A questo link trovate una intervista all’autore:

 

Qui potete leggere l’incipit.