Nella vergogna c’è questo: la sensazione che possa accaderci qualsiasi cosa, che non ci sia scampo, che alla vergogna possa seguire soltanto una vergogna ancora maggiore.
La vergogna, di Annie Ernaux, L’orma editore 2018, traduzione di Lorenzo Flabbi, edizione originale 1997, pagg 125
In questo libro Annie Ernaux torna ad un episodio della sua vita che è stato uno spartiacque tra la sua innocenza di bambina vissuta in un mondo che per lei era l’unico possibile, e la presa di coscienza di un sentimento, la vergogna, che quel mondo lo ha messo totalmente in discussione. La memoria torna indietro all’estate del 1952, a quella domenica in cui «Mio padre ha voluto uccidere mia madre». Un episodio violento, uno scatto d’ira degenerato in violenza familiare, sotto gli occhi atterriti di una bambina di dodici anni a cui non serviranno le parole rassicuranti della madre, «Non è successo niente», per cancellarlo e che, anzi, porterà quella scena come una cicatrice viva fino da adulta. E che nelle pagine di questo intenso libro, sviscera con freddo distacco, col suo stile chirurgico e analitico.
Ernaux prova a ricostruire quell’anno andando a rivedere le poche e sbiadite fotografie di sé – una ragazzina goffa, con gli occhiali e la permanente -, ripensando alle riviste che leggeva, alle trasmissioni radiofoniche che ascoltava, alla scuola cattolica che frequentava, alla morfologia del paese, ma, soprattutto:
Ho riportato alla luce i codici e le regole degli ambienti in cui ero rinchiusa. Ho inventariato i linguaggi dei quali ero impregnata e che plasmavano la mia percezione di me stessa e del mondo circostante. Là dentro, non c’era alcuno spazio per la scena di quella domenica. In entrambe i mondi che sono stati i miei non poteva essere raccontata a nessuno.
La sua famiglia è costituita dai genitori, ex operai, e da lei; vivono in simbiosi con l’attività di bottega e bar per tutta la settimana, tranne la domenica pomeriggio, in cui si concedono qualche passeggiata. Il tipo di attività condotta dai genitori li espone ad essere sempre a contatto con la gente quindi, per la madre, è assolutamente indispensabile osservare delle regole di comportamento: si sorride a tutti, si saluta quando si entra, non si parla male di nessuno e soprattutto non si parla di se stessi. Non si discute davanti ai clienti, solo quando si è da soli. “Altrimenti cosa penseranno di noi”: la frase ricorrente pronunciata dalla madre, specchio del conformismo e del perbenismo che ammorbava quegli anni. In un paese dove tutti si conoscono e sanno vita morte e miracoli, bisogna mantenere una facciata di contegno inattaccabile, anche se, appunto, è solo apparenza, ma, si sa, i panni sporchi si lavano solo in famiglia. Ecco allora che Ernaux ricorda tutte le raccomandazioni che la madre propinava alla lei bambina prima e ragazzina poi; e ricorda anche quanto la buona educazione fosse solo una barriera di protezione tra la famiglia e l’esterno, ma non fosse mai praticata all’interno della sua famiglia:
Barriera di protezione nel mondo esterno, la buona educazione era inutile fra marito e moglie, fra genitori e figli, precipita anzi come una forma di ipocrisia o di meschinità. Battibecchi, recriminazioni e sfuriate costituivano le forme normali della comunicazione famigliare.
Anche se lei non frequentava le altre compagne di scuola, percepiva benissimo la distanza di status tra di loro; distanza che apparirà in modo ancora più marcato durante il viaggio a Lourdes, quando le cose che per gli altri sono normali – come lavarsi con acqua corrente fredda e calda – sono per loro dei lussi, facendo così accrescere le consapevolezze e il senso di inadeguatezza della ragazzina.
E poi la scuola cattolica, unico tentativo di elevazione e di arrivismo familiare praticato dalla madre, devota ma pronta a dare anche alla religione i connotati che più le fanno comodo. L’autrice mette a nudo in modo spietato non solo il clima nella sua famiglia, ma quello dell’intera società in cui viveva. Una società appena uscita dalla guerra che cercava di ricostruire una solidità non solo economica ma soprattutto sociale, fortemente dominata dal cattolicesimo più bigotto, chiuso all’interno dei precetti, delle regole, asfissiante e classista.
La piccola Annie di allora, non metteva nemmeno in discussione che così ci si dovesse comportare: l’aderenza ai precetti religiosi che scandiscono le stagioni, i rapporti con le insegnanti, le imposizioni della madre, tutto questo le sembrava tanto naturale quanto il paesaggio che la circondava.
Ma il terribile episodio accaduto quella domenica, le liti tra familiari per l’eredità della nonna, e soprattutto il viaggio a Lourdes che compie con il padre, le rivelano quanto lei e la sua famiglia siano inadeguati:
Ormai non somigliavo più alle altre ragazzine della classe. Avevo visto ciò che non andava visto. Sapevo quello che, nell’innocenza sociale della scuola privata, non avrei dovuto sapere e che mi situava in maniera indefinibile assieme a quanti, per la loro violenza, il loro alcolismo, la loro follia, alimentavano racconti che si concludevano sempre con ‘mette sempre tristezza vedere queste cose.
Ernaux consegna a noi lettori una lunga digressione che partendo dal suo contesto familiare e personale si allarga alla società in cui è vissuta; andando a ricostruire con un uso preciso ed efficace della lingua le dinamiche di esclusione e di spaesamento che ha vissuto sulla sua pelle, l’autrice mette a nudo tutta la drammaticità del difficile passaggio dalla fanciullezza all’età adulta.
Ho sempre avuto voglia di scrivere libri di cui poi mi fosse impossibile parlare, libri che rendessero insostenibile lo sguardo degli altri. Ma quale vergogna potrebbe arrecarmi la scrittura di un libro, che sia all’altezza di quella che ho provato a dodici anni?
Qui potete leggere l’incipit; qui trovate la recensione a “Memoria di ragazza”
“Avevo visto ciò che non andava visto. Sapevo quello che… non avrei dovuto sapere.”
Terribile, il problema del rispetto di confini imposti, anche a costo della nostra immagine di noi stessi. Paralizzante.
Un tema eroico.
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Credo che scavare nel profondo delle nostre paure sia uno degli atti più coraggiosi. Forse, ha ragione Ernaux, uno dei modi per superarle è proprio scriverne.
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L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.
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Grazie, lo leggerò. Della Ernaux ho letto Gli anni, bellissimo e terribile
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Sì, i suoi romanzi sono sempre dei pugni nello stomaco e fanno molto riflettere
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