Marion si alzò una mattina e si ritrovò davanti una donna nera, con i capelli grigi tagliati corti, un seno quasi inesistente e un girovita sottilissimo, che dirigeva un’orchestra di traslocatori con elaborati gesti delle mani. (..) Era un insulto, all’improvviso una donna nera si insediava nella casa che per decenni Marion aveva sognato di possedere; una casa che era sua di diritto e che altri continuavano a portarle via.

La signora della porta accanto, di Yewande Omotoso, 66th and 2nd editore 2018, traduzione di Natalia Stabilini, pagg 249

Il romanzo di cui vi parlo oggi è stato segnalato da Piero Dorfles nella trasmissione Per un pugno di libri. Mi aveva incuriosito e così ho cercato in rete alcune informazioni. Non ho letto altre recensioni – non lo faccio prima di leggere un libro, semmai dopo, per capire se ha suscitato le stesse impressioni che ha lasciato in me – ma ho preferito conoscere l’autrice grazie ad una lunga intervista che era apparsa su Il Manifesto. Nata a Barbados da madre barbadiana e padre nigeriano, Yewande Omotoso ha vissuto in Nigeria fino a dodici anni e poi in Sudafrica; il suo primo romanzo – non ancora tradotto in italiano – ha ricevuto ottime critiche, così come questo suo secondo lavoro. In effetti, dopo averlo letto, credo che siano del tutto meritate.

CapeTown
Cape Town

La storia è ambientata in Sudafrica, in una zona residenziale di Città del Capo, abitata da ricche e altere famiglie rigorosamente bianche. Una zona franca, dove tutti si conoscono e dove ogni questione viene discussa all’interno del Comitato, presieduto da Marion, una delle due protagoniste. Marion Agostino, figlia di immigrati ebrei fuggiti dalla Lituania, è un architetto affermato; si è fatta largo in una società in cui le donne raramente potevano emergere grazie alla sua determinazione, ha sposato un facoltoso italiano ed è madre di quattro figli, con i quali non è in buoni rapporti. Alla soglia degli ottant’anni, si ritrova in bancarotta a causa del marito da poco defunto; la paura di perdere i privilegi e l’autonomia dai figli, la rende instabile. L’unica cosa che sembra tenerla in vita è l’odio ventennale e ricambiato, per la vicina di casa Hortensia James. Vicina che, agli occhi di Marion, ha due gravi colpe: quella di essere l’unica proprietaria nera all’interno di Katterijn, e di esserlo proprio della casa al numero 10, che è stata il primo progetto di Marion, da lei amata visceralmente e che mai è riuscita a possedere. La rivalità tra le due donne è anche professionale, perché se una è architetto, l’altra è un guru del design: mestieri ritenuti reciprocamente inferiori l’uno all’altro. Hortensia è nata alle Barbados; grazie ad una borsa di studio si era trasferita in Inghilterra, seguita dopo qualche anno, dalla famiglia. Divenuta una designer apprezzata, si era sposata con Peter, un manager inglese bianco. La coppia si era trasferita in Nigeria per un’opportunità di lavoro di James. Risale a quegli anni la crisi cruciale del loro rapporto. A seguito della guerra civile nel paese, Hortensia e Peter, nel 1994, si erano trasferiti in Sudafrica, convinti dal clima e dalle ottime strutture sanitarie. La coppia non aveva avuto figli.

Il romanzo prende avvio quando le donne hanno superato gli ottanta e sono vedove entrambi, ma, grazie ad accurati flash back, perfettamente incastrati nel fluire del racconto, possiamo conoscere le loro vite, i loro successi e fallimenti, così come le tensioni che hanno alimentato il loro burrascoso rapporto.

A causa di un incidente che le coinvolge entrambi, si trovano a stretto contatto, in una vicinanza forzata, per niente gradita alle due donne, che diviene però un vicolo cieco in cui sono finalmente costrette a guardarsi negli occhi e a fare i conti con la loro avversione.

«Perciò vedi, Hortensia, qui non ti puoi giocare la carta del razzismo, il tuo argomento preferito. Per una volta siamo dalla stessa parte». Il sorriso di Marion sembrava pronto a esplodere e incendiare il mondo intero.

«Ti sbagli».

«Scusa?».

«Ti sbagli, Marion. Non siamo dalla stessa parte. Dovresti saperlo ormai. Qualunque cosa tu dica, io non sono d’accordo. Qualunque cosa provi, io provo l’opposto. Mai e poi mai io e te saremo dalla stessa parte. Non mi schiero con gli ipocriti».

Il terreno di scontro è ad ampio spettro: le accuse di razzismo e ipocrisia di Hortensia feriscono Marion, ma le danno anche l’opportunità di chiedersi se e quanto avrebbe potuto essere una persona diversa se fosse cresciuta in un’altra epoca e in un altro ambito sociale; Marion ripensa a molti episodi della sua vita, soprattutto al suo rapporto con la domestica Agnes, e sembra cercare una specie di perdono, un’assoluzione da parte di Hortensia, per la quale la questione centrale è il fallimento del proprio matrimonio e il “tiro mancino” in extremis del marito e quali siano state le sue responsabilità nel declino del loro rapporto.

Lo stile fluido, ironico e talvolta sarcastico, rende gradevolissimo il romanzo che spesso spinge il lettore a ridere degli episodi in cui il caratteraccio di entrambi le donne crea delle situazioni esilaranti. Stile che è perfettamente bilanciato quando, nei momenti più seri e riflessivi, la scrittura si fa più pacata e induce a fermarsi su considerazioni riguardanti la società sudafricana, traghettata verso una apparente pace sociale, con la fine dell’apartheid, ma ancora legata, in certi ceti sociali bianchi, alla visione colonialista.

Il romanzo di Yewande Omotoso, sorretto da una scrittura robusta, che riesce ad alternare diversi registri senza soluzione di continuità, indaga molti e cruciali nodi nelle vite delle due donne, scavando nella loro psicologia e mettendo sul piatto questioni come la maternità – vissuta o mancata, desiderata o avversata – l’emancipazione femminilel’amicizia, l’amore, il razzismo – anche nelle sue forme di condiscendenza e ipocrisia – e il modo in cui ciascuno può contribuire al superamento delle reciproche diffidenze.

Benjamin Chaud
photo by Viktor Dlamini

Nata nell’isola di Barbados nel 1980 e cresciuta in Nigeria, Yewande Omotoso si è trasferita in Sudafrica con la famiglia nel 1992. Scrittrice, architetto e designer, ha pubblicato il suo primo libro, Bom Boy, nel 2011, aggiudicandosi il South African Literary Award per la migliore opera d’esordio. Con La Signora della porta accanto (2016), è entrata nella longlist del Baileys Women’s Prize for Fiction 2017 ed è tra i finalisti dell’International Dublin Literary Award 2018.

Qui potete leggere l’incipit.