Negli otto mesi successivi avrei visitato cinque fra i paesi più nuovi del mondo: il Turkmenistan, il Kazakistan, il Tagikistan, il Kirghizistan e l’Uzbekistan. Nel 1991, quando crollò l’Unione Sovietica, per la prima volta nella storia questi paesi divennero stati indipendenti. (..) «Stan» deriva dal persiano e significa «luogo» o «paese». (..) Nonostante il suffisso comune, i cinque Stan quasi non potrebbero essere più diversi gli uni dagli altri. (..) Tuttavia, anche se differiscono tra loro sotto molti aspetti, questi cinque paesi condividono lo stesso destino e la stessa origine. Per quasi settant’anni, dal 1922 al 1991, hanno fatto parte dell’Unione Sovietica, un immenso esperimento sociale senza precedenti nella storia.
Sovietistan, di Erika Fatland, Marsilio editore 2017, traduzione di Eva Kampmann, pagg. 534
Ho divorato l’interessantissimo libro di Erika Fatland in pochi giorni: un volume che è il suo diario di viaggio risalente al 2014, nonché un reportage unico e dettagliato dei cinque paesi, gli Stan di cui sopra, di cui, non so voi, ma io conoscevo poco o nulla, a parte il comico personaggio kazako Borat.
Fatland mi aveva già convinta della validità del suo reportage durante la presentazione al Festival I Boreali, recentemente svoltosi a Milano. Devo dire che, dopo averlo letto, il suo libro ha superato di gran lunga qualsiasi aspettativa mi fossi fatta. Il reportage descrive in modo diretto e partecipato il suo incredibile viaggio nei cinque paesi dell’Asia centrale, le contraddizioni e i paradossi, le diverse identità che li compongono e la storia millenaria che li ha formati, trovandosi tra est e ovest, sulla via della seta. Paesi che fino a vent’anni fa costituivano la periferia dell’Unione Sovietica e che oggi hanno un volto completamente diverso. Il libro è scritto con un taglio giornalistico molto accattivante perché alla sua autrice di certo non mancano il sense of humor, solide conoscenze storico-archeologiche e geo-politiche, nonché la capacità di stimolare il desiderio di conoscere del lettore. La sua grande curiosità, l’abnegazione con cui non si tira indietro ad assaggiare i cibi del posto (ben conscia che questo sia il miglior modo per stabilire un contatto con la popolazione locale), lo spirito di adattamento alle condizioni più spartane e la simpatia innata che emana (percepita di persona all’incontro, ve lo assicuro) sono i suoi punti di forza: quelli che hanno reso possibile l’avventura e la testimonianza che ne è seguita. Essendo un diario di viaggio personale è anche impreziosito da molti racconti di incontri con le persone del posto, donne e uomini, di cui l’autrice ci restituisce dei ritratti dettagliati, spesso carichi di affetto; trattamento diverso – ma sempre con grande ironia – ovviamente viene riservato agli autocrati che stanno, o sono stati, al potere in quelle lande.
Fatland, che è un’antropologa, si addentra in questi paesi oggi saldamente chiusi entro confini che, sia durante il periodo sovietico, sia nel corso della loro storia millenaria, non esistevano o avevano una connotazione molto labile e fluida, legata all’esito di conquiste e domini.
La sezione dedicata al Turkmenistan (o Dittatorstan, come lo ha soprannominato l’autrice) racconta in presa diretta cosa significhi vivere in una dittatura totalitaria mono-partitica, dove il culto della persona del presidente raggiunge delle vette che, ai nostri occhi, appaiono addirittura comiche, se non fossero una tragica realtà. Paese dove i cavalli – insieme ai tappeti – sono la grande passione nazionale, al punto da avere un suo ministero! Lascio intatta tutta la vostra sorpresa se avrete la buona idea di leggere questo libro.
Una realtà molto diversa è quella che Fatland si trova di fronte in Kazakistan, dove internet non è un tabù come in Turkmenistan, e dove è facile imbattersi in centri commerciali che espongono marchi ben noti nei paesi europei, tutto strettamente made in China. Come nell’altro stato, l’economia è sorretta dalla enorme disponibilità di risorse energetiche. Ma anche qui il potere è in mano allo stesso uomo dal giorno dell’indipendenza…. Il Kazakistan è uno stato immenso, nono al mondo per estensione, caratterizzato dall’enorme estensione delle sue steppe, dalla presenza dell’ex installazione nucleare di Sempipalatinsk e da ciò che resta del lago di Aral. La capitale Astana, così come Ashgabat in Turkmenistan, colpisce per la sua architettura futuristica, così in contraddizione col resto del paese.
Completamente diversa la situazione del Tagikistan, che ha dovuto affrontare, dopo l’indipendenza, una sanguinosa guerra civile tra i fedeli al governo indipendente e le forze islamiste talebane. Governo che, anche in questo caso, è retto dalla stessa persona che, passando da leader del soviet supremo, è diventata il primo (e per ora unico) presidente di uno stato povero, a ridosso della catena montuosa del Pamir.
Nel Kirghizistan, Fatland percepisce il clima di tensione tra kirghisi, la maggioranza, e uzbeki, presenti nel paese con una minoranza tenuta ai margini della società. Di tutti gli Stan, questo è caratterizzato da un sistema democratico nel quale non incombono presenze dittatoriali – non ci sono statue e foto in abbondanza come in altre realtà – ma dove si percepisce un certo disorientamento.
Infine, tappa in Uzbekistan, altro stato totalitario, dalla millenaria storia, sulla via della seta, dove si trovano città mitiche come Samarcanda e Bukhara, empori di tappeti e spezie, nonché la capitale Tashkent, “fortezza di pietra”, ricostruita dopo il disastroso terremoto del 1966. Lo stato è scosso da fermenti radicali e la valle del Fergana è nota per ospitare i peggiori terroristi islamici internazionali. Per arginare queste pericolose presenze, il governo ha attuato una politica di forte repressione, i cui effetti sono però molto critici.
Insomma, come potete intuire (ma vi assicuro che ciò che ho riportato non rende minimamente la grandezza del libro), Sovietistan è un reportage davvero interessante, colmo di informazioni, riflessioni e ritratti – di luoghi e di persone – che vi faranno viaggiare nelle immense vastità di questa area geografica per cercare di avvicinarsi e capire in modo più approfondito le specificità di ogni paese. Ciascuno è uscito dal dominio sovietico con una base comune, ma ha diversamente declinato le contraddizioni e le differenze sociali e culturali, le risorse economiche a disposizione, la storia millenaria che ha alle spalle. Tutti hanno grandi contraddizioni al loro interno e le ricchezze di alcuni di loro fanno gola a molti stati più potenti, come la Russia, la Cina o l’Iran. Riusciranno a portare avanti il loro autonomo e distintivo percorso di crescita?
Qui potete leggere l’incipit.
Pur essendo usciti dalla dominazione sovietica, quattro di questi paesi sono quindi rimasti in mano ad esponenti della vecchia classe dirigente, riciclati all’occasione per conservare poteri/privilegi conquistati in tanti anni. E la gente, purtroppo, è ancora ben lontana dalla possibilità di ottenere diritti civili e politici in piena regola. Grazie per l’interessante proposta, utile per rimanere al corrente di ciò che succede anche nei posti più lontani e meno conosciuti, quelli di cui non parla quasi mai nessuno.
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Infatti; inoltre l’assurdo è che alcuni di questi paesi possiedono grandi ricchezze energetiche, i cui proventi potrebbero essere utilizzati per migliorare servizi e condizioni di vita di popolazioni che, nella stragrande maggioranza, vivono in condizioni misere.
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L’ha ribloggato su Alessandria today @ Pier Carlo Lava.
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Grazie Pina, questo lo compro!
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Erika è una grande viaggiatrice e ha il dono di scrivere in modo preciso e documentato ma anche con una sottile ironia che alleggerisce anche le situazioni più grottesche o assurde. Ciao!
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