Annunciare la morte. È qualcosa che facciamo tutti. Uno muore e all’improvviso tutti lo sanno. È morto Raimundo, devono avere detto alla madre, e la catena di avvisi e chiamate non si era fermata. Forse anche oggi, da qualche parte, in un altro paese o in un altro tempo, qualcuno sta raccontando la storia di un incidente, la storia della morte di Raimundo, e la sta ripetendo a partire da una telefonata. (cit. da “La morte di Raimundo”)

Fratello cervo, di Juan Pablo Roncone, Edicola Edizioni 2019, traduzione di Giacomo Falconi, pagg. 113, copertina di Hernán Chavar

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photo by Silversea

Questa raccolta di racconti mi è stata presentata da Alice Rifelli, che insieme a Paolo Primavera sono Edicola Edizioni, durante Book Pride. L’autore è cileno e questo è il suo primo e per ora unico lavoro edito; un esordio di tutto rispetto, soprattutto in un genere, il racconto, dove è facile cadere nella banalità o nel vuoto di contenuti – devo mordermi la lingua per non fare citazioni…

Generalmente sono piuttosto restia a questa forma di narrazione, perché spesso mi lascia troppo in sospeso, provo una sensazione di vuoto – magari quello era proprio l’effetto voluto dall’autore – che mi crea frustrazione. Gli otto racconti presenti in questo volume sono brevi, alcuni brevissimi, ma riescono a rendere un’atmosfera, un vissuto, con grande maestria; niente di superfluo e tutto di necessario, tanto quanto basta a mettere lì una trama che, anche se non è sviluppata, è tutta condensata in quelle scene, in quelle azioni, parole e/o silenzi. Come accade ad esempio nel racconto che dà il titolo alla raccolta: poteva essere un romanzo, ma l’autore ha avuto la grande capacità di condensarlo in una ventina di pagine. Pagine che grazie alla loro intensità e alla giustapposizione di ogni dettaglio, rivelano un intero microcosmo: i rapporti familiari, il non detto, le incomprensioni e la capacità di amare, che non sempre si trova dove ce la aspettiamo.

Sembrano scritti da un consumato sceneggiatore, perché credo che qui molta dell’efficacia derivi dall’abilità nel montare le scene, nel modo in cui il passato e il presente sono alternati, ripescando i ricordi giusti ad avvalorare ciò che sta accadendo nel presente. Anzi, in certo modo, facendolo presagire, oppure, all’opposto, stabilendone l’inevitabilità.

La scrittura è asciutta ed essenziale, le descrizioni mirate a creare il ponte che unisce il paesaggio esteriore all’interiorità dei protagonisti: niente digressioni, tutto colto nella sua essenzialità, con incredibile efficacia. Un dettaglio che riporta indietro ad un fatto del passato; un’immagine colta in modo distratto che torna davanti agli occhi con una potenza insospettata.

Il minimo comune denominatore degli otto racconti è il ricordo: i protagonisti vivono nel presente ma tornano a ripescare immagini, dialoghi e luoghi che vengono rivisitati alla luce della distanza – temporale, emotiva – e che si innestano sul presente dandogli contorni nuovi, creando un superamento tangibile.

I protagonisti di questi racconti sono persone solitarie, malinconiche, assorbite nei propri pensieri. Sono un amico tradito, un fratello afflitto dal senso di colpa, un barbiere che chiede vendetta, un figlio abbandonato, un falso scrittore. Alcuni di loro hanno già perso la propria battaglia, altri continueranno a vivere con una tiepida speranza verso il futuro. (cit. editore)