Pennellate di rosa freddo e arancione sporco stanno prendendo il sopravvento sulle nuvole di ieri sera. Sono andata a letto verso le cinque, solo perché non la smettevo di tremare, non perché volessi dormire. Sono rimasta seduta a bere whisky, proprio come quella sera a Dalkey, tanti anni fa. Ma allora la storia ha avuto un lieto fine. Stavolta, mi chiedo se riuscirò mai più ad addormentarmi. (pag 86)
Come cade la luce, di Catherine Dunne, Guanda editore 2018, traduzione di Ada Arduini, opera finalista al Premio Strega Europeo 2019
Qualche tempo fa avevo accennato a quei libri ben scritti, prodotti editoriali di tutto rispetto e che riscuotono grande favore di pubblico, ma che, a mio modestissimo parere, sembrano tutti uguali. Quei libri che si leggono anche piacevolmente, nel senso che in loro compagnia si trascorre qualche ora di svago, ma si rischia anche di morire di noia, o quantomeno, se qualcuno ci togliesse il libro di mano, che so, a metà, e ci chiedesse di provare ad ipotizzare come la storia potrebbe proseguire, non avremmo alcuna difficoltà ad azzardare un’ipotesi molto vicina alla reale stesura dell’opera. Certo, nessuno di noi è Catherine Dunne, e certo non le si può togliere alcun merito, però questo romanzo – gli altri suoi non li ho letti – è un po’ come quelle belle copertine calde da mettere sulle gambe nei pomeriggi invernali mentre si sta seduti sul divano a sorseggiare un tè: fanno piacere, ma niente di più.
Detto questo, è un libro che può piacere a molti lettori/lettrici perché racconta una storia familiare in modo convenzionale: si parla di contrasti tra figlie e genitori negli anni dell’adolescenza, della volontà di indipendenza delle figlie mentre i genitori cercano di trattenerle, del fatto che la sorella maggiore sfonda qualche tabù che poi faciliterà la vita alla seconda, di delusioni amorose, di perdite e di dolore, di matrimoni non riusciti, di grandi amori, di anelito all’indipendenza e all’autodeterminazione, insomma di quello che normalmente accade nelle famiglie. C’è anche molta nostalgia per la patria lontana, perché la famiglia in questione – i genitori e la prima figlia – sono scappati da Cipro dopo il colpo di stato del 1974 per trasferirsi in Irlanda, dove poi trascorrono la maggior parte delle loro vite e ci sono Dublino e la campagna irlandese.
Più di 350 pagine ineccepibili dal punto di vista della corretta costruzione romanzesca: si passa dal passato al presente, in un flusso narrativo che prende movimento attraverso il racconto in terza persona alternato a quello in prima persona che si manifesta nei capitoli costituiti dalle lunghe email che le due sorelle si scambiano e nelle quali si chiariscono episodi relativi alle loro vite e ai rapporti con genitori e fidanzati/mariti.
Quello che mi ha deluso è proprio questa “perfezione”, che sa tanto di compito ben svolto ma che non ha un respiro letterario: ci sono tanti cliché, i personaggi sono stereotipati, mancano le vere lacerazioni che derivano dalle grandi delusioni amorose (e qui ce ne sono) o dagli scontri generazionali. Alla fine prevalgono i buoni sentimenti e tutto si aggiusta sempre; la saggezza della mamma, la comprensione del papà, i conflitti annacquati tra sorelle che finiscono in un abbraccio risolutore, e tutti in cucina a bere tè al limone e a mangiare i dolci ciprioti che fanno sentire a casa.
Se volete leggere l’incipit, lo trovate qui.
ciao Pina. io questa K. Dunne non la conosco; conosco l’altra … Katherine Dunn che purtroppo per me ha scritto solo 3 libri, di cui solo uno in italiano in due edizioni simili.
Com’è questa ? Ne sento spesso parlare …..
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Non mi ha colpito; una scrittura pulita ma molto ordinaria. Magari il problema è solo che non si tratta del mio genere preferito…
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Non è il mio genere. 😉
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Di lei ho apprezzato molto Un terribile amore. Adesso (aspettavo la tue recensione per capire se valesse la pena di comprare questo romanzo) sto leggendo Quel che ora sappiamo: anche lì c’è il problema della scrittura troppo ordinaria, dei cliché e di una certa prevedibilità. Però, a tirarlo su, secondo me, c’è (mi baso su quello che hai scritto tu) una maggiore attenzione allo scontro generazionale e ai sentimenti scomodi. Capirò di più a fine lettura. Intanto ti auguro buone letture e ti ringrazio per l’onestà e la passione con cui recensisci ogni opera.
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La mia impressione è che ci siano tutti gli ingredienti giusti per costruire un ottimo romanzo, ma la scrittura appiattisce un po’ tutto. Aspetto di sentire l’esito della tua lettura attuale…. Buon weekend di letture
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L’esito è: meh. Nasconderò il file della recensione e lo riesumerò ad agosto XD!
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ah ah ah……
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Mi ci trovo, in quanto scrivi. Della Dunne ho letto e, pur con qualche difficoltà in corso di lettura, molto apprezzato “La metà di niente”. Un bel libro, sicuramente; ben scritto; interessante. Pure, mi ha lasciato la convinzione che, di questa autrice, probabilmente non avrei letto altro. Non ho creduto avesse altro da dire.
Ho assegnato la mia covinzione al fatto che, come si dice (e non vuol dire niente) “non è il mio genere”: non lo è perché, se posso dire, è sostenuto da ovvietà di tipo introspettivo scritte davvero bene, ma che restano tali (per me, giudizio sicuramente non fattuale).
Mi ero chiesta, inbattendomi in suoi altri lavori, se la causa del mio respingimento di una brava autrice non stesse in un mia incapacità/indisponibilità ai temi affrontati.
Vedi che strano. Nella loro totale diversità di scrittura, nella diversità dei temi, è lo stesso effetto che mi ha fatto chiudere, dopo essermi annoiata con il primo, il secondo libro della Ferrante.
Mi interrogo: una/uno scrive e poi, dopo tutta la fatica compiuta, il suo libro lo fa il lettore.
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Uno dei motivi che spesso mi frena nel formulare delle considerazioni negative, o almeno tiepide, nei confronti dei libri, è proprio il rispetto che provo e che sento doveroso verso gli autori. Perché, comunque, dietro c’è sempre un lavoro duro, e, nel caso di questa autrice, credo anche sincero e profondamente sentito. Esprimo la mia opinione, come facciamo tutti, ben consapevole che si tratti di un punto di vista, personale e particolare.
Mi viene da sorridere leggendo che anche tu ti sei annoiata con i libri della Ferrante…
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Ho letto un paio di libri della Dunne negli anni 90, mi pare. Uno è la metà di niente e dell’altro non ricordo il titolo. Il tema del primo è l’abbandono del marito per una donna più giovane e la fatica di ricostruirsi la vita della moglie abbandonata. Il secondo mi sembrava un seguito.
Una macerazione sentimentale che passa per introspezione!
Poi mi è capitato l’anno scorso di vedere la pubblicità della presentazione di questo suo ultimo libro a Verona. Il nome dell’autrice mi richiamava qualcosa ma non ricordavo bene chi era. Ero di giro e sono andata. L’evento, ho capito poi, era dentro il percorso organizzato da una scuola di scrittura creativa dove la Dunne era andata per qualche lezione. Be’! la cosa è stata molto molto deludente eppure… non so ancora perché, mi sono sentita in dovere di comprare il libro e farmelo anche autografare! Il libro è rimasto da qualche parte nella mia libreria e non l’ho più toccato. Dopo aver letto la tua recensione credo anche lo regalerò a chi, forse, lo apprezzerà più di me.
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Per la persona giusta, sarà sicuramente un regalo molto gradito!
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