Lo so, l’ho capito che il capitano e Ibrahima Seck, il fuciliere cioccolatino croce di guerra, non volevano più che da noi ci fosse la rabbia guerriera. Per la verità di Dio, ho capito che, per loro, con le mie sette mani mozzate era come se avessi portato urla e grida in un luogo calmo. Vedendo la mano mozzata del nemico di fronte non ci si può impedire di dirsi: «E se fossi stato io?». Non ci si può impedire di dirsi: «Ne ho abbastanza di questa guerra». Per la verità di Dio, dopo la battaglia, per il nemico si ridiventa umani. Non ci si può rallegrare a lungo della paura del nemico di fronte perché si ha paura per se stessi. (pag. 45)

Fratelli d’anima, di David Diop, Neri Pozza editore 2019, traduzione di Giovanni Bogliolo, pagg. 122, vincitore del Prix Goncourt des Lycéens 2018, vincitore del Premio Strega Europeo 2019

David Diop, nato in Francia e cresciuto in Senegal, poi ritornato in Francia come docente universitario, consegna ai lettori un libro di quelli che sono il classico pugno nello stomaco. Quei libri disturbanti che obbligano a guardare una realtà straziante, dolorosa in modo lacerante per le coscienze; una realtà il cui orrore va al di là di qualsiasi pensabile dimensione, di cui, da lettori, se ne può solo fare un’esperienza mediata dalla scrittura. Un libro che come pochi riesce a farti odiare la guerra, non solo per gli orrori, per le morti, le sofferenze che causa; ma, soprattutto, per il fatto che essa è capace di togliere umanità all’uomo, di trasformarlo in un essere la cui dimensione esperienziale diventa un inferno dilatato, di cui sfuggono i confini etici, un trauma che corrompe da dentro la coscienza e fa commettere azioni che mai si sarebbe potuto pensare di potere compiere.

fucilieri senegalesi
fonte: wikipedia

Il contesto in cui è collocata la storia è la guerra di trincea; siamo nella Prima guerra mondiale, l’esercito francese si oppone a quello tedesco. Bisogna fare una premessa: la Francia arruolò tra le sue truppe – con la lusinga dell’ onore da conquistare, e, più spesso, con le minacce e la forza – circa duecentomila fucilieri senegalesi. La Francia aveva bisogno di rimpolpare i suoi ranghi e decise di utilizzare questi combattenti come carne da macello, da mandare in prima linea, con poche speranze di salvarsi; inoltre, mise in piedi una propaganda atta a generare terrore nelle fila tedesche, descrivendo i suoi combattenti senegalesi come “selvaggi cannibali”, che si lanciavano in combattimento tenendo in una mano il fucile e nell’altra il machete.

Il protagonista del romanzo, Alfa Ndiaye, è uno di loro. Si è arruolato insieme al suo “amico più che fraterno” Mademba Diop; in realtà, è stato Mademba a convincerlo ad arruolarsi, perché vedeva in questo la possibilità di ottenere una pensione – nel caso si fossero salvati – e di tornare in Senegal per vivere in modo più agiato. Ma la realtà è ben diversa. Mademba viene ferito gravemente, e nella notte della sua agonia, implora Alfa di finirlo. Alfa non trova il coraggio di farlo, l’educazione che ha ricevuto glielo impedisce, anche di fronte al disperato dolore del corpo straziato dell’amico. Ma questa morte – il modo in cui è avvenuta, il luogo in cui si trovano, tra le urla e il fragore delle armi – trasforma completamente Alfa. Per vendicare il suo amico fraterno, Alfa si trasforma nel selvaggio cattivo che i francesi tanto hanno descritto e sbandierato, decide di farlo, e diviene un feroce assassino, che non si accontenta di uccidere il nemico, ma ogni giorno ne cattura uno e, dopo averlo seviziato, gli taglia una mano, che riporta al campo come trofeo.

Il romanzo è costruito come una lunga confessione, dal tono colloquiale e intimo, espressa in un linguaggio semplice e diretto, con i suoi intercalari; un linguaggio che viene direttamente dalla matrice africana e che l’autore ha mediato attraverso il francese, come se l’avesse tradotto, mantenendo un equilibrio espressivo che arricchisce la narrazione. Alfa, parla a chi vuole ascoltare la sua storia, e racconta di sé, dell’uomo che è diventato e di quello che era prima. Racconta del suo villaggio, della famiglia, degli amici, del suo primo amore. Ed è una persona completamente diversa da quella che ora si aggira per la trincea. Il suo sguardo, le sue azioni efferate, incutono timore anche nei suoi stessi compagni e nel suo superiore; lui ne è pienamente cosciente, lo capisce da come lo evitano pur sorridendogli, da come evitano di incrociare il suo sguardo. Viene quindi mandato nelle retrovie, dove viene affidato alle cure mediche. Ma i fantasmi che si porta dentro, il trauma che ha subito, sono una voragine immensa, un baratro che può risucchiare la sua anima. Quando ad Alfa verrà chiesto chi è, qual è il suo nome, saprà solo rispondere che lui è la morte.

Qui potete leggere l’incipit.

David Diop

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