Riallacciandomi a quanto detto nella recensione de “Il simpatizzante” di Viet Thanh Nguyen, vi propongo un’altra lettura che affronta il tema della guerra del Vietnam e del ruolo degli Stati Uniti, prima, durante e dopo il conflitto. Si tratta di “Terre al crepuscolo”  di J. M. Coetzee, uno dei maggiori autori sudafricani, vincitore del Nobel per la letteratura, nonché pluri-vincitore di premi letterari.

Terre al crepuscolo” è l’opera prima pubblicata da John Maxwell Coetzee nel 1974. È una critica della violenza della mentalità colonialista e imperialista della civiltà occidentale. È composta da due racconti: “Progetto Vietnam” e “Il racconto di Jacobus Coetzee“. Sviluppati su due epoche diverse (il 1900 e il 1700), sono entrambi focalizzati sul concetto di uso del potere e sulle responsabilità, singole e collettive. Vi consiglio la lettura di questo volumetto, ma oggi mi focalizzo sul primo racconto, per tornare ai temi toccati in post precedenti, a cui lo scritto di Coetzee aggiunge ulteriori spunti di riflessione.

Il protagonista del racconto, Eugene Dawn è uno studioso universitario – alquanto paranoico e maniacale – che lavora per una agenzia governativa americana (leggi Servizi). L’ente per cui lavora vuole condurre una campagna che migliori l’immagine degli Stati Uniti in merito alla guerra in Vietnam. Dawn parla in prima persona del saggio che ha scritto sulla mitografia della guerra del Vietnam e sulla propaganda americana; il rapporto-saggio è sottoposto al giudizio di Coetzee, un burocrate nominato responsabile del Progetto Nuova Vita.  Eugene sta lavorando da un anno a questo rapporto, che è diventato un’ossessione, e teme che non sia apprezzato da questo “uomo esuberante, di quelli che bevono caffè” (e qui scappa il sorriso, perché il Coetzee autore è esattamente il contrario) . Infatti, si sente rispondere che, per potere parlare al potere militare, deve cambiare lo stile del rapporto, deve abbandonare i toni di aggressione frontale e optare per una persuasione più discreta. Le critiche lo mandano in crisi, e il continuo rimuginare su di esse, lo conduce lentamente alla pazzia.

Seguiamo la sua discesa verso l’atto finale attraverso le sue riflessioni su di sé, sulle persone che gli stanno accanto – come la moglie – e su cosa si aspettino da lui. Andando avanti nella lettura, capiamo che questo lento scivolare nella pazzia è l’effetto della crisi profonda provocata dalla conoscenza dettagliata di cosa sia realmente successo in Vietnam, di quali siano state le atrocità commesse dai reparti americani coinvolti nelle azioni militari e di come invece essi debbano essere trasformati dalla propaganda. Le foto che vede, i rapporti che legge, rivelano la brutalità dell’intervento, le atrocità pianificate e commesse nel più barbaro dei modi e lo trascinano nell’annientamento di se stesso, nell’alienazione della sua personalità.