Io so che la tristezza, come il dolore, disturba, e che non è appropriato mostrarla in giro a voce troppo alta e troppo a lungo. Perlomeno non dove possono vederla tutti. Perlomeno non dove può portare inquietudine. E non dove significa sconfitta. La sconfitta di fronte all’illusione che, nonostante tutto, va tutto bene, e la sconfitta di fronte alla stessa morte. Perché quando piangiamo quelli che se ne sono già andati, la morte, esattamente come quando si dice “cancro”, ci colpisce con tutta la sua forza. E quando colpisce, tutte le nostre speranze si spengono nell’oscurità, attraverso cui non riusciamo a veder nulla. (pag. 233)

Il bianco si lava a novanta, di Bronja Žakelj, Bottega Errante Edizioni 2019, traduzione di Michele Obit, pagg. 272. vincitore del Premio Kresnik 2019

In questi giorni mi sono letteralmente rifugiata in questo romanzo trascinante e coinvolgente; mi sono lasciata trasportare dal racconto autobiografico, denso di vita vissuta della sua autrice e del suo entourage familiare. Un romanzo che mi aveva colpito col titolo – oltre che con la bella copertina; titolo che nasconde un significato toccante, legato ad uno dei momenti topici dell’opera. Scritto in prima persona, in forma diaristica, il romanzo è un lungo monologo in cui la protagonista si rivolge alla madre; una forma letteraria difficile da padroneggiare ma che, se ben condotta, permette di sviluppare una profonda introspezione sentimentale.

Lubiana
Lubiana

Il romanzo è ambientato in Slovenia, a Lubiana, in particolare nel popolare quartiere Vojkova, dove la bambina Bronja vive con i genitori, il fratellino e la nonna. La voce narrante è Bronja che conosciamo appunto bambina e che ci racconta il suo mondo col candore e l’ingenuità della sua età. Una voce che però, nel dipanarsi della storia e della vita, cambia continuamente registro, così come cambia la protagonista, che da bambina diventa adolescente, ragazza e donna. E questo è uno dei meriti dell’autrice, e cioè la capacità di fare scivolare il lettore lungo questa transizione quasi senza rendersene conto, in modo coerente, fluido e armonico.

Attorno al loro nucleo familiare c’è tutto un quartiere: parenti, amici, negozianti, compagni di scuola, una rete di relazioni che si traduce in una casa dove si ricevono sempre visite, dove si fuma molto e si beve slivovitz. C’è soprattutto la nonna Dada, una bussola nella vita della protagonista. Quella di Bronja è un’infanzia felice che purtroppo si interrompe con la malattia e la morte della madre avvenuta quando l’autrice era adolescente. Una perdita incolmabile, che stabilisce un prima e un dopo, che altera anche gli equilibri familiari. Un percorso che purtroppo anche Bronja si ritroverà a percorrere quando, studentessa universitaria, si ammala di linfoma, e dovrà affrontare da sola un percorso di sofferenza. C’è molto dolore in questo romanzo, perché la vita spesso riserva dure prove. Ci sono però anche tanta speranza, voglia di combattere, amore per la vita, raccontati con franchezza, ironia e delicatezza.

Perché l’amore è più di una semplice sommatoria di cose. È più di un elenco. È qualcosa che è, semplicemente è, ed è qualcosa per la quale puoi dire solo «per questo», quando ti chiedono «perché». Pag 248

Un romanzo intenso, che è diventato un caso editoriale in breve tempo in Slovenia, dove ha vinto il maggior riconoscimento letterario nazionale, e che Bottega Errante Edizioni ha portato in Italia.

Jugoslavia ( Monte Cragnisca ) anni 70
Photo credits Moretti Sergio: https://silvanastrina.blogspot.com/2017/02/cartoline-scritte-sul-retro-della-ex.html

I riferimenti storici e sociali che emergono dal racconto ci fanno conoscere Lubiana a partire dagli anni Settanta fino ad arrivare ai Novanta, e cioè dagli anni in cui era parte della Jugoslavia, fino al 1991, quando ottiene l’indipendenza, e al periodo successivo. Un territorio, la Slovenia, multiculturale: posizionata tra l’Europa asburgica e quella slava, influenzata dalla vicinanza della cultura mediterranea, è una regione in cui si sommano tante anime. Nella prima parte la figura del maresciallo Tito aleggia sugli anni dell’infanzia e dell’adolescenza della protagonista, suscitando in lei ammirazione. Dopo ci sarà la sua assenza, l’instabilità, l’incertezza, conclusasi brevemente – la Slovenia non fu coinvolta nelle guerre balcaniche.

Il 26 giugno diventiamo indipendenti. La cerimonia è davanti al Maksi. Papà è in delirio. Si è fatto la doccia. (..) Quando lasciamo la Jugoslavia è mercoledì. Ho una strana sensazione, non mi va di lasciare dietro di me delle cose mie. E la Jugoslavia è una cosa mia. Perché in essa c’eri tu, in essa c’eravamo noi e c’era la Vojkova (..) La Jugoslavia era mia ed era tua, e mi sentivo orgogliosa quando nell’aula scolastica durante la ricreazione guardavo i suoi rilievi. Tu mi hai insegnato a volerle bene, come si disegnano le rosse torce ardenti nel suo stemma e come devo tirare le linee della mia stella per avere il voto massimo. E adesso questa mia patria si sta disgregando e con la sua disgregazione mi sto disgregando anch’io, e con la sua disgregazione tu te ne vai ancora più lontano. (pag. 216/217)

Nel racconto di Bronja impariamo a conoscere lo stile di vita dei ragazzi: la scuola, lo sport seguito in tv e quello praticato – lo sci nel suo caso – la devozione ai valori della rivoluzione socialista. E poi gli oggetti desiderati: i jeans, i cioccolatini e i gelati consumati in vacanza a Rovigno. E le passeggiate al parco Tivoli o lungo le sponde del fiume Ljubljanica; un’atmosfera perfettamente resa che permette al lettore di sentirsi a casa in questa città.

Qui potete leggere l’incipit.