Il viso voltato del sacerdote, le dita alzate, il bisbiglio di una lingua morta, gli parvero a un tratto splendidi, infinitamente desiderabili e disperatamente perduti, come la giovinezza e il primo amore nell’angolo del muro di un viadotto. (..) La morte non dava riposo; il riposo non può esistere senza che se ne abbia coscienza. (..) Si sorprese a pregare: «Dio, perdonami». Ma rimaneva tagliato fuori da ogni certezza di perdono, se esisteva un potere che perdonava.

Il treno per Istanbul, di Graham Greene, Sellerio editore 2019, traduzione di Alessandro Carrera

orient-express-storiaIn questo romanzo Greene ci fa salire, insieme ai suoi personaggi, sull’Orient Express per viaggiare attraverso una geografia e un tempo storico che, inconsapevolmente, stanno per affacciarsi sul baratro della Seconda guerra mondiale. Alle spalle, un’Europa sconquassata in tutti i suoi equilibri dalla Prima, un mondo che ha perso riferimenti ed equilibri, che si è lasciato alle spalle milioni di morti e che, nel tentativo di ridisegnarsi, sta invece per precipitare in incubo ancora peggiore.

Greene scrive questo romanzo nel 1932, un anno prima che Agatha Christie, nella stanza 411 del Pera Palace a Istanbul scrivesse il suo “Assassinio sull’Orient Express”, consacrando questo treno nell’immaginario collettivo. E un anno prima che Adolf Hitler diventasse Cancelliere del Reich.

Greene lo definisce “Un divertimento” nel sottotitolo, e lo scrive con il chiaro proposito di creare un prodotto che piaccia al pubblico; vuole farsi conoscere, diventare famoso, e magari assicurarsi un po’ di stabilità economica. Meglio ancora, che ne venga tratto un film. E riesce nel suo intento, perché il successo arriva e anche la critica deve accettare che può accadere che un buon romanzo possa piacere al grande pubblico. Ma è davvero “solo” un divertimento? O forse Greene vuole così stuzzicare la curiosità mentre crea un’opera stratificata, con più livelli di lettura e un messaggio profondo e inquietante?

Perché questo romanzo ebbe successo, e continua ad averlo? Perché il suo autore possiede un grande talento? Basta leggerlo e inquadrarlo nel periodo storico in cui vide la luce, per comprenderlo? Sì e no; sì, perché chi lo leggeva in quegli anni sicuramente riconosceva l’atmosfera cupa, i timori, i caratteri, gli intrecci, così come è per un lettore di oggi che conosce gli sviluppi storici successivi. No, perché la durata del suo successo attuale, purtroppo, ci ricorda che non tutto è alle spalle, che certi fantasmi continuano a girare per l’Europa, che un certo sentore di pericolo strisciante, purtroppo, appartiene anche ai giorni nostri.

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Attraverso il gruppo di viaggiatori che salgono sul treno, Greene dipinge un campione dell’umanità rappresentativa dell’epoca, e i cui destini si intrecciano e definiscono il mood. Si percepisce il timore all’approssimarsi delle frontiere che il treno attraversa, perché sono sorvegliate e i controlli possono essere fonte di preoccupazione. Si respira un’aria densa di tensione, così come salta fuori l’odio verso gli ebrei, gli impeti rivoluzionari dettati dalle differenze tra le classi sociali, un certo atteggiamento distante dalla realtà da parte dei religiosi, un disincantato cinismo nei rapporti tra uomini e donne, dove sembrano prevalere più gli interessi che i sentimenti, anche se nascosti da un candore più perbenista che autentico.

Sul treno, tra gli altri passeggeri, salgono una ingenua ballerina che deve raggiungere la sua compagnia a Istanbul, un ricco commerciante ebreo, un rivoluzionario serbo, un sacerdote protestante, uno scrittore famoso, un ladro assassino, una giornalista d’assalto e la sua “dama di compagnia”. Questo è il campione che Greene pone sotto il suo riflettore e che mostra a noi lettori per raccontarci un’epoca e le sue inquietudini.

Mentre il treno corre attraverso l’Europa – un tragitto che da lì a pochi mesi sarà impossibile da percorrere -, i passeggeri entrano in contatto tra loro e, attraverso il loro comportamento, i dialoghi, i fatti che accadono lungo il percorso, Greene dà vita al suo scampolo di umanità sull’orlo del disastro bellico. La scelta del treno come ambientazione del romanzo racchiude in sé molti significati; primo tra tutti l’ineluttabilità, perché il treno, correndo sui binari, cioè su un percorso obbligato, non può che seguire il suo tracciato, continua la sua corsa verso un punto d’arrivo, così come l’umanità intera sembra avviata su una strada senza possibili deviazioni, senza alternative. La corsa del treno, nel suo dinamismo, è un perfetto vettore che si muove nello spazio, dilatando le sue prospettive, e creando l’impressione che non sia possibile allontanarsi da una realtà che, pur cambiando paese, rimane la stessa. Inoltre, gli spazi ristretti, la convivenza in essi, sono un banco di prova per chi li deve sperimentare e possono accrescere le insofferenze, distorcere i punti di vista, esasperare le relazioni.

Orient express interni

Da un punto di vista artistico, l’ambientazione sul treno è quanto di più vicino all’espressione cinematografica: il movimento del mezzo permette i continui cambi di paesaggio, di luce e ciò si riflette sui pensieri, sugli umori e le emozioni dei personaggi, intrappolati nella fissità degli scompartimenti, ma in movimento nello spazio esterno. Greene dimostra tutte le sue doti regalando superlative descrizioni dei paesaggi coniugate con gli stati d’animo, i pensieri dei protagonisti.

treno nella neve

La forza del romanzo sta nell’intreccio che a sua volta si poggia su una perfetta caratterizzazione dei personaggi e sui loro punti vista. Qualcuno ha mosso delle critiche, asserendo che i personaggi sono degli stereotipi, e che l’autore è solo un abile manovratore di destini. Che siano degli stereotipi, non lo condivido affatto: i personaggi hanno profondità, le loro personalità emergono in modo fluido e talora sorprendente. Certo, attraverso di loro, Greene voleva ritrarre un campione significativo della società del suo tempo; ecco, forse allora più che stereotipi sono dei caratteri, rappresentano un modo di pensare e di agire. E, certo, uno scrittore è un manovratore, è lui che crea i personaggi e li fa agire. Li fa esprimere e comportare, gli assegna dei connotati caratteriali, che altro dovrebbe fare?

Osservando il gruppo di viaggiatori diventa man mano chiaro che nessuno di loro è innocente, ognuno mostra una parte di sé – forse quella più vera – in cui albergano meschinità, odio, invidia, rancore, avidità … insomma, persino la dolce Coral Musker, la ballerina, con la iniziale ingenuità, andando avanti nella storia, lascia emergere la sua grettezza. Ognuno dei personaggi viene mostrato attraverso una lente di ingrandimento, che svela i particolari minimi, che mette in risalto il bene e il male, dunque non ci sono stereotipi – tutto bene versus tutto male – ma molta umanità. E facciamo allora un giro tra gli scompartimenti:

La giornalista cinica:

Miss Warren barcollava lungo il treno. (..) Si sentiva pesta, debole e ubriaca, e solo a stento riusciva a riordinare i pensieri, ma il suo naso continuava a fiutare l’autentico odore della caccia. Mai prima di allora, in dieci anni di giornalismo, in dieci anni di diritti della donna, di stupri e di omicidi, era arrivata così vicina a un servizio esclusivo da prima pagina.

Attraverso il personaggio di Miss Warren, Greene tocca il tema dell’omosessualità, in un’epoca in cui essa veniva tenuta nascosta, camuffata attraverso eufemismi, o nascosta dietro situazioni paravento. E affida alla giornalista il compito di esternare tutto il disagio di non potere vivere liberamente e alla luce del sole i suoi sentimenti, e, allo stesso tempo, di condensare nei suoi timori, una visione disincantata delle unioni, che siano etero o omo.

Il medico rivoluzionario che ha fallito la sua missione, il dottor Czinner:

La sua educazione cristiana si prese un’ironica vendetta, perché anche lui tentò di conciliare gli eventi degli ultimi giorni e si domandò in che cosa avesse errato e come mai altri fossero riusciti. Vide il rapido sul quale avevano viaggiato perforare il nero cielo come un razzo. Si avvinghiavano a quel treno tutti quanti, e con tutti gli stratagemmi in loro potere. (..) Bisognava essere molto vivi, molto flessibili, molto opportunisti.

Figura politicamente compromessa, emblematica delle tensioni sociali, delle sollevazioni represse nel sangue, e dei metodi sbrigativi con cui venivano liquidate.

Il ladro assassino, l’austriaco Joseph Grünlich:

Aveva passato lo stesso un brutto momento, pensò Joseph guardando la neve fuori dal finestrino, quando il medico si era accorto che qualcuno gli aveva spostato la valigia. Aveva il dito sullo spago. Se solo avesse provato a chiamare il controllore, gli avrei sparato al ventre prima che potesse pronunciare una parola. Joseph rise di nuovo, allegramente, sentendo la rivoltella sfiorargli con dolcezza il punto dolente sul lato interno del ginocchio. Gli avrei fatto esplodere le budella.

Spietato, furbo, opportunista e capace di qualsiasi cosa per salvarsi.

Intrufoliamoci nello scompartimento dove stanno parlando Coral, la ballerina, e Myatt, il commerciante ebreo. Lei si era sentita male e lui le aveva offerto il suo scompartimento e la sua pelliccia. Coral, per esperienza, sa che gli uomini, quando offrono doni, si aspettano qualcosa in cambio, e crede che anche lui non si comporterà diversamente. E sembra avere ragione, perché Myatt, dicendo che le sembra di conoscerla, non lo dice con sincera onestà; in realtà, le sta dicendo che gli sembra di conoscere quelle come lei ..  E l’atteggiamento di Coral verso l’ebreo, in realtà, pian piano assume una connotazione razzista …. Myatt si illude che certi pregiudizi siano ormai superati, che i pogrom siano acqua passata; siamo nel 1932, ricordiamocelo, perché sappiamo bene quanto ironica potrebbe essere questa affermazione, col senno di poi.

Sì, pensò, si conoscevano a vicenda; lo avevano ammesso entrambi, ed era stato come rimanere a corto di parole. Il mondo si spostava e mutava e passava accanto a loro.(..) Ma i loro pensieri non si mutavano e non c’era nulla di cui parlare, perché non c’era nulla da scoprire.

Il celebre scrittore Quin Savory – l’uomo da centomila copie, l’autore del best seller di quegli anni; Greene lo prende un po’ in giro, ne mostra il lato vanesio:

(..) non pensava a conti correnti, diritti d’autore e percentuali, né a lettori che faceva piangere con il suo pathos o ridere con il suo umorismo cockney, ma alle lunghe scalinate dei salotti di Londra, allo spalancarsi di porte a doppio battente, all’annuncio del suo nome, ai volti di donne che si volgevano verso di lui con interesse e rispetto.

Vi ricorca qualcosa? Forse qualche salotto televisivo in cui gli autori di best seller di oggi fanno la ruota del pavone??

Ma su di lui sparge qualche granello di sé, come quando gli attribuisce la frase: «Il romanziere è in certo qual modo una spia.» O come quando ne descrive le riflessioni sull’arte della scrittura:

Si domandò quali parole avrebbe dovuto scegliere per descrivere la notte. È tutta una questione di scelta e di disposizione; non devo porre in risalto tutto quello che vedo, ma solo alcuni particolari, i più vividi e ben selezionati della scena. Non devo accennare alle ombre sulla neve, perché i loro colori e le loro forme sono troppo indefiniti, ma posso scegliere il segnale luminoso e scarlatto che splende contro il suolo candido, la fiamma del fuoco acceso nella sala d’aspetto della stazioncina di campagna, la perla di luce della chiatta che risale il fiume controcorrente. (..) I film, pensò Savory, avevano insegnato una cosa all’occhio: la bellezza del paesaggio in  movimento (..) Bisognava comunicare con la prosa questo senso del movimento. 

E che dire di questo ammiccante scambio tra il religioso Opie, il dottor Czinner e Quin Savory?

(Czinner) «Volevo parlarle della confessione»

(Opie) «Non sono dogmatico al riguardo. Credo che ci sia molto da dire a favore dell’atteggiamento della Chiesa romana. La psicologia moderna agisce in direzione parallela. C’è un’analogia nel rapporto tra il confessore e il penitente e quello tra lo psicanalista e il paziente. Naturalmente, la differenza è che uno dei due afferma di poter assolvere i peccati.»

(Savory)«Posso introdurre una deviazione nel vostro colloquio? C’è un aspetto letterario che va considerato. (..) In un certo senso, io sono senz’altro il penitente. In quanto un romanzo si basa sull’esperienza dell’autore, il romanziere si confessa in pubblico. Ciò pone il pubblico nella stessa posizione del sacerdote e dello psicanalista.»

Che ne dite? Non vi sembra un bel campionario di umanità? Non vi viene voglia di salire immediatamente sull’Orient Express e viaggiare con loro, osservarli, origliare le loro conversazioni? Non siete curiosi di sapere cosa può accadere in un viaggio così avventuroso e pericoloso?

Qui trovate il biglietto…. ehm, volevo dire l’incipit….

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