Quando infine si sedette al suo posto, senza più fiato, e il treno per Irún si mise in moto, lo riprese quella sensazione che l’aveva colto a Ginevra: non era lui, ma il treno a decidere il proseguimento di quel viaggio così reale, intrapreso con tanta vigile consapevolezza, che di ora in ora, di stazione in stazione lo allontanava dalla sua vita usuale. Tre ore per arrivare a Bordeaux, nessuna fermata intermedia, nessuna possibilità di tornare indietro. (pag. 46)

Treno di notte per Lisbona, di Pascal Mercier, Oscar Mondadori 2008, traduzione di Elena Broseghini, pagg. 431

Ho iniziato la lettura di questo romanzo con molte aspettative. Forse troppe. Mi aveva incuriosito soprattutto per due aspetti: il lasciarsi alle spalle una vita vissuta salendo su un treno, l’ambientazione a Lisbona. Confesso che a volte mi lascio trasportare troppo facilmente e irrazionalmente da elementi che toccano dei tasti emotivi, ma che non sempre mantengono le promesse.

In realtà, devo essere onesta, il libro ha mantenuto diverse promesse, ma non mi ha soddisfatto del tutto. Non voglio, però, essere fraintesa. Si tratta di un romanzo che ha molti pregi, forse, semplicemente, non è del tutto nelle mie corde.

Veniamo alla trama. Il professor Raimond Gregorius – Mundus, per allievi e colleghi – è un professore di liceo di Berna sulla cinquantina; è un erudito e profondo conoscitore di lingue antiche, greco, latino ed ebraico, e dei testi afferenti a questi ambiti linguistici. Considerato pedante e abitudinario, conduce una vita piuttosto schiva, ha alle spalle un matrimonio fallito con una sua ex- allieva e un unico amico – l’oculista greco Doxiades.

Lo spunto iniziale che dà l’avvio alla storia mi è apparso un po’ pretestuoso: il professore una mattina, mentre si sta recando a scuola sotto una pioggia torrenziale, sta per attraversare il ponte sul fiume, quando si trova davanti una giovane donna, visibilmente scossa, che sta leggendo un foglio. Dopo averlo gettato dal ponte sembra in procinto di compiere un atto fatale; il professore si precipita per scongiurare il peggio e la donna, confusa e fradicia di pioggia, gli scrive un numero di telefono sulla fronte con un pennarello. Stupito e preoccupato, Mundus cerca di aiutarla e lei gli chiede di poterlo seguire. Ecco che fanno il loro ingresso nella scuola, e poi nell’aula, lasciando tutti a bocca aperta. Poi, dopo avere detto di essere portoghese – con un accento che strega il professore -,  la ragazza sparisce.

Questo incontro cambia le sorti della sua vita. Spinto dalla necessità di re-incontrarla, si reca nei pressi del ponte, fino a giungere in una libreria antiquaria nella quale, casualmente, si imbatte in uno strano libro portoghese; pubblicato nel 1975 da un medico, Amadeu Inácio de Almeida Prado. Mundus non conosce una parola di portoghese, ma quando il libraio gli traduce il titolo, “Un orafo delle parole” – lui che sulle parole ha costruito la sua erudizione -, è affascinato e curioso di saperne di più. Decide così di comprare un corso di lingua portoghese e si chiude in casa a studiare.

Dopo una notte insonne in cui riesce a tradurre alcune pagine del testo (non trovate sorprendente che ci riesca in così poco tempo?? Va bene che è un filologo, ma il libro di Amadeu si rivela carico di frasi articolate e complesse… mi è sembrata una forzatura), prende la fatidica decisione di lasciarsi alle spalle la vita fin lì condotta e, senza dire nulla a nessuno, parte con un treno diretto a Lisbona. Rapito dal suono musicale della lingua e intrigato dalle riflessioni di Amadeu, ad un tratto capisce che, se rimanesse a Berna, la sua banale vita avrebbe un finale piuttosto prevedibile; decide di cogliere al balzo ciò che la sorte, inaspettatamente, gli ha messo di fronte, e di dare così una svolta totale alla sua esistenza.

Lisbona guida Marco Polo
Foto by Guida Marco Polo

Sul treno fa amicizia con un uomo d’affari di Lisbona che si rivela molto utile per fornirgli una serie di contatti, che, nel proseguo dell’avventura, si riveleranno preziosi per seguire le tracce dell’esistenza di Amadeu Prado. Gregorius continua a impratichirsi nella lingua e a tradurre brani del libro, scoprendo molte affinità col misterioso medico e facendosi sempre più catturare dalla sua vita. I brani sono riportati per intero nel romanzo, diventando così un libro nel libro; sono riflessioni dolenti sulla vita, sui rapporti con i genitori, ma, onestamente, sono ridondanti e, spesso, mi sono fatta prendere dalla tentazione di saltare qualche passaggio.

A Lisbona, Gregorius si mette a cercare le persone, ancora in vita, che potrebbero avere conosciuto il medico. La ricerca lo porta a girare per la città, e questo è uno degli aspetti più belli del romanzo, secondo me. Le descrizioni delle vie, dei quartieri, del Tago e delle atmosfere, trasportano il lettore nella magica città; il fascino unico di Lisbona viene prepotentemente fuori e tiene vivo l’interesse per la storia. La narrazione, però, procede con lentezza, arrivando faticosamente a mettere insieme, tassello dopo tassello, il puzzle della tormentata vita dell’uomo.

L’altro aspetto positivo che emerge a questo punto è che, ricostruendo le vicende della vita di Amadeu, Gregorius ripercorre la storia del Portogallo durante gli anni della dittatura di Salazar, con le sue violenze, in un clima torbido e repressivo, e della Resistenza che cercò, coraggiosamente, di opporsi ad essa.

Di negativo, mi rimane la sensazione che il romanzo sia troppo artefatto, con forzature evidenti che potevano essere affrontate diversamente; che si dilunghi troppo sulle riflessioni – di Gregorius e di Amadeu – rallentando il ritmo di una narrazione che poteva essere più incalzante, una volta “asciugata” dal superfluo e dal ripetitivo. Ho avuto anche l’impressione di un certo compiacimento autoriale, uno sfoggio pedissequo che troppo si dilunga tra le riflessioni dei due alter ego, quando invece serviva accelerazione.

treno di notte locandina film

Queste le mie personali riflessioni; di contro, bisogna dire che il romanzo è stato molto apprezzato a livello di critica. Nel nostro paese, gli è stato conferito il Premio Grinzane Cavour, e, in generale, ha riscosso un grande successo di pubblico. Ne è stato tratto anche un film di successo. Personalmente non l’ho visto; mi viene da pensare che se il regista ha abilmente eluso la pesantezza e la lentezza che affossano molte parti, la storia potrebbe diventare accattivante, impreziosita, a livello di fotografia, dal meraviglioso contesto della città di Lisbona. Se volete, ecco una recensione.

Pascal Mercier, pseudonimo di Peter Bieri (Berna, 1944), è uno scrittore e filosofo svizzero. Docente di filosofia presso l’Università di Berlino, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, accademici e letterari. In Italia è stato pubblicato anche il romanzo “Partitura d’addio”.

Qui potete leggere l’incipit.