Mai come quest’anno il mondo del lavoro si trova al centro di una crisi epocale. Le ripercussioni dell’epidemia sull’economia e sul lavoro sono e saranno enormi, con interi comparti che subiranno dei contraccolpi che potrebbero rivelarsi fatali. L’emergenza sociale e lavorativa rischia di diventare più drammatica di quella sanitaria.

In questa fase ci siamo appellati alla tecnologia, come unico salvagente per tenere a galla scuola e lavoro da remoto. Sicuramente ci ha aiutato, per superare la fase più buia, ma per mantenere attive in modo strutturale queste possibilità servono competenze, infrastrutture tecnologiche e strumenti diffusi in modo capillare. Servono investimenti per mettere in condizione tutti di poterne usufruire, in modo da non creare ulteriori divari tra aree geografiche e popolazione.

Fermo restando il fatto che le tecnologie non possono sostituirsi del tutto al rapporto frontale: sarebbe aberrante pensare che bambini e ragazzi debbano usufruire dell’offerta scolastica solo in modo virtuale. La scuola è anche un luogo di socialità, di aggregazione e di crescita insieme.

Altrettanto complessa è la questione rapportata al mondo del lavoro; necessita di molte riflessioni e valutazioni sui pro e i contro. Bisogna pensare a nuovi modelli e nuovi sistemi organizzativi. Serve un confronto con i lavoratori. E non dimentichiamo che queste soluzioni non possono essere risolutive per tutti i comparti lavorativi. L’ e-commerce ha registrato un’impennata in questi mesi di lock down, ma quali saranno le ripercussioni sul commercio, su piccole e medie imprese se andrà a erodere quote di mercato?

Un altro aspetto che creerà criticità è quello dei trasporti: le nostre città – grandi e piccole – e paesi disseminati sul territorio sono pronti per far sì che le persone possano spostarsi in modo sicuro per raggiungere il posto di lavoro?

Stiamo navigando nella più ardua tempesta, senza certezze, senza riferimenti e, purtroppo, senza prospettive e soluzioni a breve. In nome dell’emergenza, i diritti dei lavoratori rischiano di subire ulteriori erosioni; chi e come si sta occupando di tutelarli? Possiamo sperare, soprattutto per i giovani, in un futuro di tutele e dignità, anziché di sfruttamento?

Nella sezione “Tema lavoro” trovate tanti romanzi in cui il lavoro, e tutte le difficoltà che gli ruotano attorno, sono alla base delle storie narrate. A questi, possiamo aggiungere nuovi saggi e romanzi. Ecco alcune proposte:

 

Amianto

Amianto. Una storia operaia, di Valerio Evangelisti, Wu Ming 1 e Girolamo De Michele, Edizioni Alegre

Renato è un operaio cresciuto nel dopoguerra che ha iniziato a lavorare a quattordici anni. Un lavoratore che scioglie elettrodi in mille scintille di fuoco a pochi passi da gigantesche cisterne di petrolio. Un uomo che respira zinco, piombo e buona parte della tavola degli elementi di Mendeleev, fino a quando una fibra d’amianto trova la strada verso il torace. L’autore del libro è il figlio di Renato. Vive la sua infanzia tra il calcio di strada davanti all’Ilva dimenticata di Follonica e le risse sull’Aurelia, per poi passare dalle certezze del lavoro manuale del padre alla precarietà dei lavori cognitivi. Ricostruisce la storia lavorativa di Renato lottando in tribunale per il riconoscimento dell’amianto come causa della sua morte. E scopre di esser stato concepito nel luogo simbolo delle morti per la polvere bianca: Casale Monferrato. Una storia terribile, raccontata mescolando ricordi e documenti, misurando brillantemente le emozioni, con una voce narrativa vivissima, arricchita da divertenti espressioni dialettali. Esperimento di “oggetto narrativo non identificato” è il primo volume di una trilogia working class in corso d’opera. Questa nuova edizione, con un capitolo aggiuntivo, si chiude con un dialogo a tre tra l’autore, Wu Ming 1 e Girolamo De Michele, precari della conoscenza accomunati dall’essere “figli della classe operaia”.

 

Fana non è lavoro

Non è lavoro, è sfruttamento, di Marta Fana, Laterza 2019

Sottoccupazione da un lato e ritmi di lavoro mortali dall’altro. Diritti negati dentro e fuori le aziende per quanti non vogliono cedere al ricatto. Storie di ordinario sfruttamento, legalizzato da vent’anni di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Malgrado la retorica della flessibilità espansiva e del merito come ingredienti indispensabili alla crescita sia stata smentita dai fatti, il potere politico ha avallato le richieste delle imprese. Il risultato è stato una cornice legislativa e istituzionale che ha prodotto uno sfaldamento del mondo del lavoro: facchini, commesse, lavoratori dei call center, addetti alle pulizie in appalto procedono in ordine sparso, non sentono più di appartenere alla medesima comunità di destino. Dicevano: meno diritti, più crescita. Abbiamo solo meno diritti.

 

Ventura teoria della classe disagiata

Teoria della classe disagiata, di Raffaele Alberto Ventura, Minimum Fax 2017

E adesso che siamo quello che siamo , come possiamo essere altro da ciò che siamo? La classe disagiata è l’ avanguardia di un capitalismo in crisi permanente che ci parla con la retorica dell’ emancipazione per venderci stili di vita che non possiamo permetterci. Il debito che ci schiaccia non è altro che l’ immagine rovesciata delle nostre aspirazioni deluse , l’ altissimo costo che paghiamo per continuare a ostentare una ricchezza che non abbiamo.

 

Aboubakar umanità in rivolta

Umanità in rivolta, di  Aboubakar Soumahoro, Feltrinelli 2019

“Sapete cosa un buon pugile non deve mai fare? Non bisogna mai farsi stringere in un angolo. Se sei costretto all’angolo, finisci per prendere così tanti colpi che bastano pochi secondi per perdere un incontro. Non sono mai stato un pugile e non ho mai desiderato di esserlo. Però ho capito di essere su un ring. Non da solo. Insieme a me, prima di me, in tanti, al nostro arrivo in Italia, siamo stati messi in un angolo. Costretti a subire ingiustizie e discriminazioni, molte volte da chi, da figlio o nipote di emigranti, non andava solo contro di noi, ma contro il proprio passato e la propria memoria”. Aboubakar Soumahoro da molti anni difende i diritti dei lavoratori. Arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio, ha conosciuto da vicino le insidie di un tessuto civile che sembra sempre più logoro e incapace di garantire i diritti minimi che dovrebbero essere riconosciuti a ogni essere umano. Il suo è un avvertimento: siamo davvero sicuri che l’angolo del ring sia riservato ai migranti? Forse dietro “i mestieri che gli italiani non vogliono più fare” si nasconde il degrado delle condizioni generali di lavoro, che chi arriva in Italia sprovvisto di tutele e di diritti è costretto ad accettare per sopravvivere. È così che si spiega il gran ritorno della retorica del “prima gli italiani” e della “razza”: uno stratagemma per abbassare il costo del lavoro e per ridurre drasticamente la distanza legittima tra lavoro e sfruttamento. La domanda che dobbiamo porci è radicale: può esistere un capitalismo non razzista? Questo manifesto riempie un vuoto del dibattito politico italiano. Aboubakar Soumahoro sa cosa significa essere privati di un diritto e per questo sa anche cosa significa lottare per conquistarlo.

 

Sennett l'uomo flessibile

L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, di Richard Sennett, Feltrinelli 2016

Quanto influisce il “capitalismo flessibile” sulle concrete esperienze di vita delle persone? Flessibilità, mobilità, rischio sono le nuove categorie di vita contemporanee. Finisce l’assistenzialismo, la burocrazia si riduce, l’economia si fa più dinamica e spregiudicata, e la vita personale ne risente. Non esistono più stabilità e fedeltà all’azienda, forza del vecchio capitalismo; ora valgono incertezza, perenne innovazione e maggiori, seppur diverse, forme di potere e controllo e diseguaglianze. Tutto questo ha conseguenze importanti nell’autostima dei lavoratori: il senso di fallimento per l’incapacità di rispondere adeguatamente alle nuove sfide erode progressivamente l’integrità dell’io. Si manifesta una sempre crescente distorsione del carattere, i cui requisiti di stabilità, durata e permanenza sono in contrasto con la dinamicità, frammentarietà e mutevolezza del capitalismo flessibile. Lo si vede nei casi, narrati da Sennett, di Rico, figlio “arrivato” di immigrati italiani negli Stati Uniti, o di Rose, un’intelligente e insoddisfatta imprenditrice di mezza età… O dei fornai di un’ipertecnologica panetteria di Boston. E di molti altri come loro, protagonisti di questo drammatico affresco delle micro-realtà quotidiane che sono il prodotto del nuovo capitalismo.

 

Magnani fatti non foste

Fatti non foste a viver come robot. Crescita, lavoro, sostenibilità: sopravvivere alla rivoluzione tecnologica, di Marco Magnani, Utet 2020

Nell’estate 2019 Amazon ha presentato una flotta di droni autopilotati per consegnare gli ordini in mezz’ora. Nei due anni precedenti, il robot cinese Xiaoyi superava l’esame di abilitazione alla professione medica e l’androide Sophia otteneva la cittadinanza saudita dopo difficili test linguistici. Le professioni intellettuali sono a rischio quanto il lavoro di operai e impiegati: sofisticati algoritmi eseguono transazioni finanziarie senza trader, scrivono articoli al posto dei giornalisti, analizzano contratti più rapidamente dei legali, formulano diagnosi più accurate dei medici. Come sempre nella storia, le macchine sostituiscono l’uomo e le innovazioni aumentano la produttività. Ma stavolta, in un mondo globalizzato e iperconnesso, c’è il timore di una crescita senza lavoro e non rispettosa dei vincoli ambientali, sociali, demografici, alimentari, energetici. «Fatti non foste a viver come robot» è una profonda riflessione sul concetto di sostenibilità. L’economista Marco Magnani ritiene possibile una crescita più bilanciata e disinnesca l’allarmismo apocalittico sul destino del lavoro: identifica le mansioni a rischio ma anche i nuovi mestieri; analizza i modelli di crescita alternativi – economia circolare e civile, sharing economy, decrescita felice – e mette a confronto diverse strategie socioeconomiche, dalla riduzione dell’orario di lavoro alla robot tax, dal lavoro di cittadinanza al reddito universale; formula le innovative proposte di capitale di dotazione e dividendo sociale, che faranno molto discutere. Per evitare la crescita insostenibile e il lacerante conflitto uomo-macchina bisogna utilizzare le innovazioni per migliorare la vita dell’uomo, investire senza paura in scuola e formazione, riscoprire la valenza identitaria e sociale del lavoro, soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza gravare su quelle future, preservare la salute del pianeta, far sì che in molti possano beneficiare della ricchezza prodotta. Redistribuendola, ma ancor più creando meccanismi di pre-distribuzione dei mezzi che la generano. L’obiettivo è governare il cambiamento epocale instaurando una convivenza intelligente con le macchine. Fra i «nuovi mestieri» potrebbe essercene soprattutto uno, antichissimo: l’uomo-pastore. Dei robot.

 

Gawande con cura

Con cura. Diario di un medico deciso a fare meglio, di Atul Gawande, Einaudi 2019

Atul Gawande racconta la sua professione attraverso episodi minimi, come quello della vecchia signora ricoverata perché semplicemente “non si sentiva troppo bene” e che dovrà la vita solo alla coscienziosità del medico che la segue; o di massima gravità e urgenza, come quando si trova di fronte ai corpi dilaniati dalla guerra in Iraq. Ognuna delle tre parti del libro è dedicata alle condizioni fondamentali per il successo in medicina, in una professione nella quale si deve costantemente progredire, ci si deve affinare, perfezionare. Il primo requisito è la scrupolosità, la necessità di prestare sufficiente attenzione ai dettagli per evitare errori e superare gli ostacoli. Una virtù che sembra facile, ma che è in realtà diabolicamente difficile e Gawande lo dimostra con tre storie: una sullo sforzo di garantire che medici e infermieri semplicemente si lavino le mani (una regola che spesso non viene rispettata); una sullo sforzo erculeo di eliminare la poliomelite nel mondo; e una sulla cura dei soldati in Afghanistan e in Iraq. La seconda sfida è quella di fare la cosa giusta. Per spiegarlo racconta le storie di quattro medici e un’infermiera che sono andati contro il codice etico partecipando all’esecuzione di prigionieri; si interroga su come è possibile capire quando bisogna continuare a lottare per un malato e quando bisogna smettere. E poi, quanto devono essere pagati i medici? Quanto si deve ai pazienti in caso di errori? Il terzo requisito per il successo è l’ingegnosità.

 

Murgia il mondo deve sapere

Il mondo deve sapere, di Michela Murgia, Einaudi 2017

Nel gennaio 2006 Michela Murgia viene assunta nel call center della multinazionale americana Kirby, produttrice del “mostro”, l’oggetto di culto e devozione di una squadra di centinaia di telefoniste e venditori: un aspirapolvere da tremila euro, “brevettato dalla NASA”. Mentre, per trenta interminabili giorni, si specializza nelle tecniche del “telemarchètting” e della persuasione occulta della casalinga ignara, l’autrice apre un blog dove riporta quel che succede nel call center: metodi motivazionali, raggiri psicologici, castighi aziendali, dando vita alla grottesca rappresentazione di un modello lavorativo a metà tra berlusconismo e Scientology. Un racconto sul precariato in Italia, che fa riflettere, incazzare e, miracolosamente, ridere. Fino alle lacrime. Questo primo romanzo dell’autrice sarda ha ispirato il film di Paolo Virzì, “Tutta la vita davanti”.

 

Chang operaie

Operaie, di Leslie T, Chang, Adelphi 2010

Che cos’è Donguan? Una città, verrebbe da rispondere, se il termine non si applicasse solo per difetto a un enorme agglomerato di fabbriche, collegate da una rete di tangenziali che non contemplano il passaggio, o anche solo la presenza, di pedoni. Ma perché a Donguan arrivano ogni giorno, dalle sterminate campagne di tutto il paese, migliaia di ragazze? Qui la risposta è più semplice: intanto perché le braccia delle giovani donne sono le più ambite, nel mercato del lavoro cinese, e poi perché una ragazza, in un posto come Donguan, può realizzare il suo sogno, l’unico apparentemente concesso, in Cina, oggi: fare carriera. Certo le condizioni di partenza sono durissime: turni massacranti, paghe minime, il tempo che avanza al lavoro reinvestito nell’apprendimento coattivo di quei rudimenti di inglese senza il quale una carriera non può avere inizio. E come alternativa, una bella serata fra colleghe al karaoke aziendale. Ma le ragazze di Donguan – e in particolare le quattro che Leslie T. Chang, in questo suo reportage, ha seguito per anni sono disposte ad accettare tutto: un nomadismo incessante; relazioni personali fuggevoli, ma irrinunciabili; e una vita interamente costruita intorno al possesso di un unico bene primario, il cellulare. Sembra l’anticipazione di un incubo futuribile, ed è invece solo una scheggia di un presente parallelo al nostro, e molto più vicino di quanto vorremmo sperare.

 

Campetti ma come fanno gli operai

Ma come fanno gli operai. Precarietà, solitudine, sfruttamento. Reportage da una classe fantasma, di Loris Campetti, Mani 2018

Colpiti dalla crisi e dalle politiche liberiste, privi di rappresentanza partitica e con un sindacato inadeguato, gli operai sono soli. Ai loro occhi la sinistra è responsabile dell’attacco ai diritti: cancellazione dell’articolo 18, assalto alle pensioni, jobs act e precarietà. Nelle urne, sempre più deserte, arriva il loro voto di vendetta: gli operai tradiscono la sinistra. O è piuttosto vero il contrario? A questo quadro si aggiunge la crisi della solidarietà tra lavoratori, perché la perdita della speranza in un cambiamento apre la strada all’individualismo, che rischia di alimentare una guerra tra poveri: l’avversario non è più chi comanda, bensì chi sta più in basso ed è più debole. Ne sanno qualcosa gli immigrati. Questo libro è un reportage sul cambiamento culturale dei lavoratori, un viaggio nelle grandi fabbriche, quelle in crisi e quelle con il vento in poppa, dalla Luxottica alla Fincantieri, dalla Brembo alla Beretta, dall’Agusta all’Aermacchi, dalla Maserati all’ex Pininfarina, a cui si affiancano puntate nella logistica e nei servizi. Parlano i ragazzi di Foodora che ci portano la cena a casa, arruolati con un sms e pagati a cottimo, e i dipendenti delle Coop reggiane finite in tribunale. Campetti traccia una lucida analisi politica e conduce un’indagine nella classe tradizionalmente spina dorsale della sinistra e che ora – forse – non esiste più.

 

Revelli vinti

Il mondo dei vinti, di Nuto Revelli, Einaudi 

Racconta Nuto Revelli che la prima idea di questo libro risale addirittura ai mesi della sua guerra partigiana. D’altra parte il suo impegno umano e civile è stato sempre quello di dar voce al dramma degli incolpevoli, dei poveri che restano in guerra anche quando arriva la pace, sfruttati, dimenticati, e di nuovo strumentalizzati, mai soggetti attivi del loro destino. Revelli ha girato per anni pianure, colline e montagne con un magnetofono, forte soltanto della sua pazienza e della sua capacità di ascolto. Ha così raccolto centinaia di testimonianze, le ha ordinate e selezionate, sino ad offrire gli 85 “racconti” di questo libro: storie di guerre, di lavoro, di fatica, di solitudine, di emigrazione del mondo contadino di ieri e di oggi.