La giuria del Premio Terzani, riunitasi a Firenze a casa Terzani, ha selezionato i libri che andranno in votazione a partire da un elenco di quaranta titoli: «Anche quest’anno – ha commentato Angela Terzani, presidente della giuria – abbiamo cercato di candidare al premio opere che aiutino a far luce sui retroscena umani, storici o politici delle questioni di maggiore attualità nel mondo. Questo, per restare fedeli allo spirito di Tiziano – alla cui memoria il premio è dedicato – che ha sempre voluto tentare di capire, e far capire, ciò che avveniva di là dai nostri orizzonti».

Questi sono i cinque finalisti della sedicesima edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani, riconoscimento istituito e promosso dall’associazione culturale vicino/lontano di Udine insieme alla famiglia Terzani.

Behrouz Boochani per Nessun amico se non le montagne. Prigioniero nell’isola di Manus (add editore)

Erika Fatland per La frontiera. Viaggio intorno alla Russia (Marsilio)

Amin Maalouf per Il naufragio delle civiltà (La nave di Teseo)

Francesca Mannocchi per Io Khaled vendo uomini e sono innocente (Einaudi)

Ece Temelkuran per Come sfasciare un paese in sette mosse. La via che porta dal populismo alla dittatura (Bollati Boringhieri)

Il vincitore doveva essere annunciato in aprile e il premio consegnato il 23 maggio. A causa dell’emergenza nazionale e internazionale, il tutto è slittato in autunno. Nel frattempo, possiamo approfittarne per leggere questi cinque volumi di grande interesse.

Vediamo le schede dei libri:

boochani

Detenuto illegalmente dal governo australiano, Behrouz Boochani ha scritto il suo straordinario memoir attraverso migliaia di messaggi Whatsapp.

Ilam, Kurdistan iraniano. Dopo le intimidazioni e l’arresto di alcuni giornalisti, Behrouz Boochani raggiunge clandestinamente l’Indonesia e da lì l’Australia, dove vuole chiedere lo status di rifugiato politico. Intercettato dalle forze militari australiane, viene confinato nel centro di detenzione per immigrati irregolari di Manus Island in Papua Nuova Guinea. Qui ha iniziato un’intensa campagna di denuncia della politica anti-migratoria e delle umiliazioni cui vengono sottoposti i rifugiati: articoli, documentari e questo libro, digitato in farsi su un cellulare e mandato a Omid Tofighian che lo ha tradotto in inglese. 

Romanzo autobiografico, testimonianza e atto di resistenza, Nessun amico se non le montagne racconta cinque anni di carcere ed esilio, lottando per la sopravvivenza, la salute e la dignità in condizioni degradanti. Un intreccio di generi – giornalismo, commento politico, riflessione filosofica, miti, poesia e folclore – dà voce all’impatto fisico e psicologico della detenzione a tempo indefinito.

Questo Premio prova che le parole ancora hanno il potere di sfidare i sistemi e le organizzazioni disumane, che la letteratura ha il potenziale per provocare cambiamenti e per sfidare le strutture del potere. La letteratura ha il potere di darci la libertà. … Questo premio è una vittoria non solo per noi (prigionieri), ma per la letteratura e l’arte. Soprattutto è una vittoria per l’umanità, per gli esseri umani, per la dignità umana.
– dal discorso tenuto da Boochani per il Victorian Prize

Fatland la frontiera

La mia recensione

Cosa significa essere il vicino della più grande nazione del mondo? Da sempre attratta dalla cultura e dall’anima russe, Erika Fatland ha dedicato anni a cercare di capire quella terra smisuratamente vasta. Dopo aver sognato di camminare su una grande carta geografica, muovendosi lungo il sinuoso confine russo, decide di tentare un nuovo approccio: è possibile capire un paese e un popolo osservandoli dall’esterno? Comincia così la pianificazione di un itinerario favoloso che, dalla Corea del Nord alla Norvegia, abbraccia l’intera superficie di uno dei giganti della politica mondiale. Partendo da Pyongyang e spostandosi verso ovest a bordo dei mezzi più disparati – aerei a turboelica, treni, cavalli, traghetti, autobus e persino renne e kayak –, l’autrice percorre l’interminabile linea di confine tra la Russia e i paesi vicini. Dall’Oriente all’Asia centrale, e poi attraverso il mar Caspio fino al Caucaso. E ancora, al di là del mar Nero, l’Ucraina divisa dalla guerra, e poi l’Est dell’Europa e i Paesi baltici, fino a Grense Jakobselv, nell’estremo Nord. Da qui, l’esplorazione riprende lungo il gelido Passaggio a nord-est: dalla Cˇukotka, dove l’Asia finisce, fino a Murmansk. Per 259 giorni, Erika Fatland ha raccolto testimonianze e immagini, componendo un ritratto affascinante e vivido di paesaggi, culture, società e stati le cui differenze sbiadiscono di fronte all’unico elemento che li accomuna: l’essere confinanti della Russia. E le storie, ora pittoresche, ora tragiche, spesso incredibili, che le persone incontrate durante il cammino tra due continenti raccontano, trovano tutte una spiegazione in questa fondamentale condizione geopolitica, fornendo milioni di risposte. Una per ogni individuo che vive lungo la frontiera più lunga del mondo.

MAALOUF-1

Amin Maalouf ha intuizioni esatte quanto predizioni e sembra prevedere i grandi avvenimenti della storia e della società molto prima che affiorino alla coscienza comune. In questo libro, con la consueta lucidità, spiega perché è convinto che siamo arrivati alle soglie di un naufragio globale, che riguarda tutte le aree della civiltà.
L’America, per quanto resti una superpotenza, è sul punto di perdere ogni credibilità morale. L’Europa, che aveva promesso alla sua gente e a tutto il mondo il progetto più ambizioso e confortante della nostra epoca, sta per smembrarsi. Il mondo arabo-musulmano è sconfinato in una crisi profonda che lascia la sua popolazione nella disperazione e che ha ripercussioni spaventose su tutto il pianeta. Delle grandi nazioni emergenti o in via di rinascita, come la Cina, l’India e la Russia, fanno irruzione sulla scena mondiale in una atmosfera deleteria in cui ciascuno pensa per sé e in cui vige la legge del più forte. Una nuova corsa agli armamenti sembra inevitabile. Senza contare le minacce, gravissime, che pesano sul nostro pianeta – il clima, l’ambiente, la sanità – e alle quali non potremo far fronte senza quella solidarietà globale che, appunto, ci manca. Da più di mezzo secolo, l’autore osserva e percorre il mondo: da Saigon a Teheran, dal Vietnam a Parigi, in questo libro potente e grandioso, Maalouf descrive il mondo sia come spettatore impegnato che come intellettuale. Mescola la cronaca alla riflessione, racconta i grandi avvenimenti di cui si è trovato ad essere testimone privilegiato
e, al tempo stesso, porta avanti una riflessione profonda e intelligente sulla storia e il destino del mondo: per spiegare perché il mondo come lo conosciamo si trova oggi alle soglie della catastrofe.

Mannocchi

«Ci chiamano mercanti della morte, immigrazione clandestina, la chiamano. Io sono la sola cosa legale di questo Paese. Prendo ciò che è mio, pago a tutti la loro parte. E anche il mare, anche il mare si tiene una parte della mia mercanzia. Mi chiamo Khaled, il mio nome significa immortale. Mi chiamo Khaled e sono un trafficante».

Khaled è libico, ha poco piú di trent’anni, ha partecipato alla rivoluzione per deporre Gheddafi, ma la rivoluzione lo ha tradito. Cosí lui, che voleva fare l’ingegnere e costruire uno Stato nuovo, è diventato invece un anello della catena che gestisce il traffico di persone. Organizza le traversate del Mediterraneo, smista donne, uomini e bambini dai confini del Sud fino ai centri di detenzione: le carceri legali e quelle illegali, in cui i trafficanti rinchiudono i migranti in attesa delle partenze, e li torturano, stuprano, ricattano le loro famiglie. Khaled assiste, a volte partecipa. Lo fa per soldi, eppure non si sente un criminale. Perché abita un Paese dove sembra non esserci alternativa al malaffare. Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista che da molti anni si occupa di migrazioni e zone di conflitto, ci restituisce la sua voce. Le sue parole raccontano un mondo in cui la demarcazione tra il bene e il male si assottiglia.

Ece

Ece Temelkuran è una delle voci politiche europee più influenti del momento. Turca, vive in esilio dopo aver visto il suo paese sgretolarsi sotto l’onda d’urto del regime sanguinario di Erdoğan. Da questa sua traumatica esperienza ha deciso di partire per denunciare in che modo una nazione possa, in breve tempo, scivolare nel baratro della dittatura.

I passaggi salienti che hanno condotto la Turchia al suo deprecabile e sanguinoso stato attuale sono ben riconoscibili in tutto il mondo e sono una costante della politica contemporanea in moltissime nazioni, compresa la nostra. Le «mosse» per sfasciare un paese sono le stesse ovunque. 1. Crea un movimento (si badi bene, non un «partito», ma un «movimento», al limite una «lega»); 2. Disgrega la logica, spargi il terrore nella comunicazione; 3. Abolisci la vergogna: essere immorali è «figo» nel mondo della post-verità; 4. Smantella i meccanismi giudiziari e politici; 5. Progetta i tuoi cittadini e le tue cittadine ideali; 6. Lascia che ridano dell’orrore; 7. Costruisci il tuo paese. Dove siamo arrivati in Italia? Forse al punto 4? Siamo già al 5? A che punto è la Gran Bretagna della Brexit e di Nigel Farage? E la Russia di Putin? L’Ungheria di Orbán? Gli Stati Uniti di Trump? Perché una cosa si comprende amaramente bene, leggendo queste pagine appassionate: il percorso è sempre lo stesso, inizia senza allarmare, ma poi procede sempre, inesorabile, verso il punto nel quale ci si accorge che ormai la democrazia è svanita. I populisti, in crescita in tutto il mondo, fanno più o meno gli stessi discorsi ovunque. Li fanno a nome delle «persone perbene», del «popolo», sottintendendo così che chi non li appoggia non fa davvero parte del popolo, quindi è un «nemico interno». Come sfasciare un paese in sette mosse è un appassionato appello al mondo: fate attenzione – ci dice Temelkuran – il populismo e il nazionalismo non marciano trionfalmente verso il governo, ci strisciano dentro di nascosto. Bisogna essere vigili più che mai o ce li ritroveremo in casa senza accorgercene fino al punto d’arrivo finale: la dittatura.

Sono davvero tutti libri interessanti, su temi di attualità e su questioni centrali della nostra società. Vorrei leggerli tutti: per il momento, sto leggendo “La frontiera” di Erika Fatland (in realtà già iniziato da un po’, ma sono più di 600 pagine..). Avevo letto il suo “Sovietistan“, un reportage davvero illuminante su paesi che conosciamo molto poco. Ve lo consiglio.