Capo Čeljuskin era una zona di catastrofe ecologica, una parodia del degrado russo e della mancanza di qualsiasi forma di manutenzione. Non centinaia, bensì migliaia di barili arrugginiti erano accatastati alla rinfusa. Da alcuni fuoriuscivano rigagnoli di vecchio combustibile che arrivavano fino al mare. Carcasse di automobili, resti di aerei ed elicotteri, rottami metallici non identificabili e palazzi di cemento sventrati con finestre rotte e facciate solcate da squarci e crepe: l’intero insediamento era un’unica, enorme discarica in stile sovietico. (pag. 43)

La frontiera. Viaggio intorno alla Russia, di Erika Fatland, Marsilio editore 2019, traduzione di Sara Culeddu, Elena Putignano e Alessandra Scali, pagg.662

Il libro è candidato al Premio Terzani 2020.

Nell’immagine descritta nella citazione possiamo cogliere la metafora di cosa e come sia il lungo confine russo.

La storia del confine russo è la storia della Russia moderna e di tutti i giovani stati confinanti; al contempo è anche la storia di come la Russia si è formata e, di conseguenza, di che cos’è la Russia. Resta da vedere se è anche la storia della Russia di domani. (pag.55)

Anche questo lungo e intenso reportage storico-geografico – così come “Sovietistan” – nasce dalle due grandi passioni della Fatland: l’antropologia e la Russia. Fatland ha studiato il russo vivendo a lungo in Russia, conoscendo così, oltre alla lingua, anche la cultura e la storia, ma soprattutto la dusha, l’anima russa. Dopo il primo volume dedicato alle repubbliche ex-sovietiche, l’antropologa si è imbarcata in questo lungo viaggio intorno alla Russia, percorrendo i suoi sterminati confini con ogni mezzo di trasporto, per cercare di capire un così vasto paese osservandolo dall’esterno, dal punto di vista dei suoi vicini, al di là delle frontiere. Citando Fredrik Barth: “è sul confine e nell’incontro con ciò che è estraneo che prendono forma l’identità e le differenze culturali”.

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Quello russo non è solo un confine molto lungo, è il più lungo del mondo; si estende per 60.932 chilometri. Per capirsi: la circonferenza terrestre misura 40.075 chilometri. Quasi due terzi del confine russo corrono lungo la costa, da Vladivostok a est fino a Murmansk a ovest: un’area immensa, quasi disabitata, per lunghi periodi dell’anno ricoperta da ghiaccio e neve. (..) Oltre tre quarti della sconfinata terra russa si trovano a est, in Asia. (pag. 17)

Ma come è strutturato il lungo e affascinante viaggio?

Fatland inizia il suo racconto dall’ultimo tratto, dal Mare del Nord e dal confine che vi si affaccia, raccogliendo le sue impressioni mentre viaggia su un mercantile insieme ad un gruppo di attempati viaggiatori che fanno a gara, oltre a chi è più in là con gli anni, a chi ha visitato il maggior numero di paesi nel mondo. In questa parte racconta come i russi abbiano scoperto a poco a poco le terre che avevano annesso all’impero senza neanche sapere di preciso dove finivano. Esploratori e cacciatori di pelli, collezionisti di zanne di mammuth…. Una variegata torma di persone hanno percorso queste lande sperdute e ghiacciate quando ancora i cambiamenti climatici non ne avevano stravolto il volto. Ma il viaggio era iniziato due anni prima, in Corea del Nord, un paese di cui poco, che non sia ufficiale, trapela all’estero e che già da solo rivela molto dei rapporti con la Russia.

Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 portò (..) al collasso dell’economia nordcoreana. Negli anni Novanta il governo russo aveva già sin troppe faccende da gestire a livello domestico: la Corea del Nord era scivolata agli ultimi posti nella lista delle priorità. (pag. 79)

Fatland compie il viaggio insieme ad un gruppo, costantemente accompagnati e sorvegliati dalle guide. Arricchendo il racconto con molti particolari e descrizioni, analizza dettagliatamente gli sviluppi socio-economici e politici che hanno portato il paese a diventare una delle più oscure dittature mondiali.

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Dalla Corea del Nord alla Cina, il passaggio è non solo l’attraverso di un confine, ma l’incontro con un mondo totalmente diverso. Soprattutto arrivando alla “Mosca d’Oriente”:

In poche ore il treno ad alta velocità mi portò da Dalian ad Harbin, a più di ottocento chilometri a nord. Centinaia di agglomerati di palazzi moderni, tutti uguali, sfrecciavano davanti al mio finestrino per subito sparire. A tratti terreno coltivato e campi di granturco. Poi ancora palazzi. (..) Queste città funzionali e ordinate erano però anche anonime, piene di palazzi di cemento squadrati e fatiscenti o di moderni edifici dalle facciate di vetro e di un oceano di luci al neon. Era difficile distinguere una città dall’altra, si somigliavano tutte, con un’eccezione di tutto rispetto: Harbin. Harbin era qualcosa di così raro come una città cinese con una sua personalità. (pag. 139)

Harbin, fondata dai russi nel 1898, era anche conosciuta come la Parigi dell’estremo oriente. Quando i russi se ne andarono, vi si trasferirono persone da molti paesi, facendola diventare una città internazionale. Durante la rivoluzione russa, però, molti dissidenti politici – ed ebrei – vi si rifugiarono; dopo pochi anni però, a seguito dell’invasione giapponese, di loro non rimase nessuno. Come attesta un museo dedicato ad uno dei peggiori olocausti d’oriente. Il cerchio si chiuse, dopo il 1945, quando i russi vi fecero ritorno. Ecco dunque quanto lungo e forte sia il legame con la Russia.

Dalla Cina, Fatland si inoltra poi nella Mongolia, nella capitale Ulan Bator. E anche in questa tappa il racconto si arricchisce tornando indietro nel tempo e ripercorrendo la storia del paese, sia quella remota risalendo a Gengis Khan, che a quella in cui la dominazione russa ha stravolto l’identità del paese. Identità che, dopo l’indipendenza, si sta velocemente riaffermando. Dalla capitale, poi, Fatland si imbarca in un’avventurosa traversata della taiga, accompagnata da Esee, una guida che ha imparato l’inglese con un corso in cassetta. Una guida preziosa per conoscere questi territori impervi.

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Urumqi

Dalla Mongolia, Fatland varca il confine con la Regione autonoma uigura dello Xinjiang, per visitare la città di Urumqi, dove, durante la rivoluzione russa arrivarono così tanti russi che attorno al loro consolato sorse in modo spontaneo un loro quartiere. Ancora oggi, in città vi è una chiesa russo-ortodossa, ma per il resto l’influenza russa, un tempo così importante, è stata spazzata via. La regione dello Xinjiang è comunque una realtà multietnica: ciò è sicuramente legato al fatto che confina con ben otto stati.

Il viaggio prosegue verso il Kazakistan, un paese che Fatland aveva già conosciuto e di cui ha parlato in “Sovietistan”. Si era ripromessa di non tornarci ed invece eccola ancora qui e, anzi, con la sensazione quasi di familiarità, quasi come tornare a casa, in un luogo e tra persone che ha già imparato a conoscere e che spesso l’hanno scambiata per russa.

Attraversare un confine è una delle cose più affascinanti che esistano. Dal punto di vista geografico lo spostamento è minimo, quasi microscopico. Ti sposti appena di qualche metro, ma sei già in un altro universo. (..) La terra di nessuno tra la Cina e il Kazakistan è così vasta che per chi doveva attraversare il confine erano stati allestiti dei minibus.(pag. 236)

Ma questo secondo giro non rimane privo di interesse e di turbamenti.

Dal Kazakistan, il viaggio prosegue nel cuore del Caucaso. Prima tappa: Baku, capitale dell’Azerbaigian che si affaccia sul Mar Caspio. Capitale del petrolio, scoperto alla metà del Diciannovesimo secolo. Quando lo zar aprì la regione agli investitori stranieri, il business passò in mano agli svedesi Nobel, ai Rothschild e ai Rockfeller. Dopo la rivoluzione del 1917, l’Azerbaigian si dichiarò indipendente ma la libertà durò poco. Nel 1920 il paese fu brutalmente riconquistato dai bolscevichi: il controllo del petrolio era vitale per l’utopia comunista. Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi tentarono di conquistarla, senza riuscirci. In salde mani russe, la città e tutta la zona videro la costruzione delle prime piattaforme petrolifere. Il tempo, poi, è passato e anche le piattaforme sono state abbandonate alle intemperie… Dal 1991 l’Azerbaigian è uno stato indipendente, ma, a seguito della politica di glasnost’ varata da Gorbačev, è passata attraverso disordini economici, scontri etnici anche sanguinosi, in particolare con l’Armenia e nella regione del Nagorno Karabak. Regione che, dal 1994 è stata scorporata dall’Azerbaigian. Ma quanto ancora si percepisce la lunga convivenza con i russi?

Nagorno karabakh

Il viaggio prosegue in Georgia: Fatland vuole raggiungere il Nagorno Karabakh, ma per farlo bisogna passare dall’Armenia e per arrivare in Armenia, bisogna prima attraversare tutta la Georgia….

Il Caucaso si trova a metà strada tra tutto: tra l’Europa e l’Asia, tra l’est e l’ovest, tra il cristianesimo e il mondo islamico, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, tra i russi, i persiani e i turchi. Gli antichi arabi chiamavano il Caucaso djabal al-asun, “una montagna di lingue”. Da nessun altra parte del mondo si parlano così tante lingue in un’area così piccola, incluso beninteso quelle parlate dalle popolazioni che vivono a nord della catena montuosa. (pag. 316)

La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha fatto nascere conflitti e scontri armati finalizzati a ottenere la piena indipendenza. Nel Caucaso, oltre alla Georgia, all’Armenia e all’Azerbaigian, anche Abcasia, Ossezia e Cecenia chiedevano di diventare indipendenti, ma la comunità internazionale ha riconosciuto solo quindici paesi, perché per essere riconosciuti bisognava essere stati una repubblica sovietica. Tutti gli altri territori che storicamente avanzavano richieste di indipendenza, non sono stati riconosciuti. Altrimenti, anziché quindici, i nuovi stati indipendenti sarebbero stati ottanta.

A destare preoccupazione è la questione del Nagorno-Karabakh, che potrebbe far scattare la scintilla per una Terza guerra mondiale, a parere dell’ex ministro degli Esteri che Fatland incontra. E questo è la conseguenza diretta delle modalità con cui si è dissolta l’Unione Sovietica, creando tensioni e opposizioni che appaiono inconciliabili. E scatenando una corsa agli armamenti in tutto il Caucaso.

Al di là degli aspetti storici e di geo-politica, nel racconto di Fatland troviamo anche tante annotazioni relative alla vita spicciola delle persone: il cibo, le usanze, il modo di vestire, i dialetti, la religione. Dunque, una visione ampia e particolareggiata, che offre al lettore un assaggio molto diretto del contatto con queste popolazioni.

Fatland si rimette in viaggio verso la Georgia, che definisce uno dei suoi paesi preferiti. Nonostante le sue dimensioni modeste (più o meno l’Irlanda), tre degli uomini più importanti nella storia dell’Unione Sovietica erano georgiani: Shevardnadze, ministro degli Esteri sotto Gorbačev e poi secondo presidente della Georgia: Berjia, uno dei principali responsabili del terrore negli anni Trenta e a lungo capo del Nkvd, e infine Iosif Džugašvili, meglio noto come Stalin.

Abcasia

Ci racconta regioni di cui credo – almeno, parlo per me – sappiamo molto poco: Ossezia del Sud, Abcasia. Ecco cosa racconta di Sukhumi, capitale dell’Abcasia, o almeno di come appare dopo la guerra degli anni Novanta:

Se si escludono i relitti e le tracce della guerra vinta molto tempo addietro, Sukhumi è ancora una città, se non proprio bella, quantomeno affascinante. Le sue strade assonnate sono costeggiate da bassi edifici ottocenteschi color pastello, è piena di palme e di parchi, l’aria è fresca e profumata di mare e di sera si può seguire l’esempio della gente del posto e passeggiare sul lungomare godendosi il rasserenante rumore delle onde. (pag. 359)

Lasciata la Georgia, attraversato il confine, Fatland si dirige verso Batumi, tra i maggiori porti sul Mar Nero e capitale dell’Agiaria, una repubblica autonoma nel sud-ovest della Georgia. Non lontana dal confine turco, la città le restituisce immediatamente i profumi della Turchia, a partire dal kebab. Direzione: Odessa, Ucraina. Un piede dentro l’Europa.

Urss 1991

Nel 1991, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’Ucraina è diventata una repubblica indipendente, ma la Russia non ha mai messo da parte le sue mire sulla Crimea. Nel 1995, infatti, sotto la pressione russa, è stata concessa una parziale autonomia alla Repubblica autonoma di Crimea, abitata al 58% da russi. Dalla Russia l’Ucraina ha ereditato un sistema statalista, alimentato dalla corruzione; nonostante vari tentativi di estirparla, tuttora permangono molti lati oscuri della gestione pubblica.

Dalla Rivoluzione arancione del 2004, molte cose sono successe in Ucraina, divisa tra la maggioranza russofona a est e quella ucrainofona a ovest. Nel 2014, a seguito di un controverso referendum, screditato sia dall’Ucraina che dal blocco occidentale, la Russia si è annessa la Crimea, causando di fatto una guerra locale, che si è estesa nelle regioni orientali dell’Ucraina. La guerra del Donbass ha causato finora, più di diecimila morti. Lo scomodo vicino russo, ex padrone di casa, a quanto pare, non vuole mollare la presa sulla ex repubblica sovietica.

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Doneck

Il viaggio si avventura in una zona pericolosa, di guerra, tra i ribelli pro-Russia e i soldati ucraini. Dopo avere attraversato una frontiera minata, Fatland, insieme ad altri stranieri, entra nella Repubblica Popolare di Doneck, la più giovane repubblica secessionista del mondo.

Prima della guerra Doneck era una delle città più benestanti e ben tenute di tutta l’Ucraina e nel 2012 aveva ospitato il campionato di calcio europeo. Per l’occasione era stata dotata dell’aeroporto più moderno del paese e di uno stadio nuovo fiammante. (..) Quattro anni dopo che la febbre del calcio aveva investito le strade di Doneck, visitare il poco che era rimasto dell’aeroporto senza casco o giubbotto antiproiettili non era più consigliabile, mentre lo stadio era stato trasformato in mensa dei poveri e magazzino e gli investitori stranieri erano spariti da tempo. (pag. 412)

Ma niente è così semplice come appare, perché parlando con alcuni militari del posto, dicono che loro sono russi, e che è alla Russia che vogliono rimanere legati.

Fatland si spinge ancora più addentro alla zona dove la guerra è cosa vera: la Repubblica di Lugansk, un paesaggio che le ricorda immediatamente le scene viste nei Balcani negli anni Novanta. File di case incendiate e inabitabili. Il novanta percento della cittadina distrutto. La guerra tra russi e ucraini.

Lasciata la zona di guerra, Fatland sale su un treno per Kiev. Uno dei pochi che ancora collegano Doneck a Kiev. Da Kiev, prossima tappa la Zona di alienazione. I fantasmi di Černobyl’. La città operaia di Pryp’’jat. La catastrofe nucleare più devastante della storia.

La città fu costruita a partire dal 1970, lo stesso anno della centrale, e inaugurata nove anni dopo. Nel 1986 ci vivevano poco meno di cinquantamila persone, di cui diciassettemila bambini. Il pomeriggio del 27 aprile, un giorno e mezzo dopo l’incidente, tutta la città fu evacuata in meno di quattro ore. Agli abitanti dissero che sarebbero stati via tre giorni. Oggi Pryp’’yat è un monumento all’anno 1986 del regime sovietico, una capsula del tempo radioattiva. (pag. 446)

A trent’anni dall’esplosione, i medici dell’ospedale militare di Kiev sono ancora molto impegnati, e credono di dover continuare a trattare pazienti contaminati per almeno altri trent’anni.

Leopoli, Ucraina occidentale, vicino alla Polonia, la tappa successiva. Un altro mondo. Una delle poche città scampate ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, un centro storico intatto e tutelato dall’Unesco. Niente tristi edifici dell’era sovietica, niente guerra. Tutti parlano ucraino.

Dopo avere viaggiato per mesi lungo il confine con la Russia verso ovest, ora Fatland si dirige verso nord. Brest, Minsk, Vilnius, Varsavia, Danzica, Nida, Daugavpils, Riga, Tallin. Polonia e le Repubbliche baltiche, una storia comune di lotte, deportazioni e guerre che le ha viste opporsi all’occupante russo. Un’eredità che si preferisce dimenticare, una voglia di tagliare i ponti col passato del difficile rapporto con un vicino così ingombrante. Ma Putin sembra volere proseguire una politica di occupazione…

Sempre più a nord, il viaggio si spinge in Finlandia, con una toccata in Svezia. Alla fine, la Norvegia. Salendo sempre più a nord, Fatland non è più sola, ha un compagno di viaggio speciale: suo padre.

Quando mio padre aveva sentito che stavo pianificando una spedizione a piedi e in kayak lungo il confine russo-norvegese, si era immediatamente autoinvitato come assistente. (pag. 607)

Mentre il confine con la Finlandia e la Svezia è aperto e informale, la frontiera con la Russia è controllato da militari armati. A Kirkenes, una cittadina moderna, in cui si continua a costruire a pieno ritmo, i cartelli stradali sono scritti in norvegese e in russo. Il confine viene passato nei due sensi da norvegesi e russi. I primi interessati all’acquisto soprattutto di vodka; i secondi di articoli sportivi e pannolini.

A Oslo, millequattrocento chilometri più a sud, il linguaggio usato nei confronti della Russia è spesso offensivo, carico di pregiudizi e paure e generalmente influenzato dalla realpolitik e dall’atmosfera internazionale; a nord invece i rapporti tra russi e norvegesi sono in larga misura improntati al rispetto e alla comprensione reciproca. (pag. 611)

Kirkenes
Kirkenes

Quello di Fatland è stato un viaggio durato mesi, lungo il confine che costeggia il più esteso stato del mondo; ex impero, ex Unione Sovietica. Come tutti i grandi imperi del passato, ha visto sfaldarsi alcuni suoi territori: la spinta verso l’autonomia l’ha lambita su tutti i lati, e, dopo la dissoluzione iniziata nel 1991, almeno otto stati si sono resi indipendenti. Ma molti vorrebbero ancora farlo. Quanto ancora a lungo resisterà la Russia?

Un reportage davvero imperdibile, una profonda e accurata analisi geo-politica nella tradizione del grande reportage, che va da Kapuscinski a Tiziano Terzani; avvincente, pieno di informazioni storiche, etnologiche, ma mai pesante, grazie allo stile fluido e all’ironia con cui Fatland ci racconta i luoghi che attraversa. Un reportage reso vero e palpitante dall’incontro con centinaia di persone, dai racconti raccolti dalle voci dei cittadini dei paesi attraversati, le loro storie raccontate con sincerità e riportate con dovizia di particolari. Armata da una grande curiosità e, diciamolo, una buona dose di coraggio, questa donna ha compiuto un viaggio di duecentocinquantanove giorni, davvero unico. Chissà dove ci porterà la prossima volta….

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Erika Fatland a “I Boreali” 2019

Erika Fatland Scrittrice e antropologa, vive a Oslo. Nel 2015 è stata nominata tra i migliori autori norvegesi under 35, vincendo il premio per la migliore non-fiction dell’anno, e nel 2016 Literary Europe Live l’ha selezionata tra le dieci voci emergenti più interessanti d’Europa. Collabora con diverse testate e si è imposta sulla scena culturale internazionale con Sovietistan, premio dei librai in Norvegia, tradotto con successo in tredici paesi. La frontiera è stato selezionato tra i dieci migliori libri di non-fiction pubblicati in Scandinavia dal 2000 e nel 2018 ha vinto l’ambito premio dei bookblogger in Norvegia.