In quei primi anni le strade erano affollate di profughi imbacuccati dalla testa ai piedi. Protetti da maschere e occhialoni, seduti fra gli stracci sul bordo della strada come aviatori in rovina. Carriole piene di cianfrusaglie. Carri e carretti al seguito. Gli occhi spiritati in mezzo al cranio. Gusci di uomini senza fede che avanzavano barcollanti sul selciato come nomadi in una terra febbricitante. La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e spinose questioni si erano risolte in tenebre e nulla. L’ultimo esemplare di una data cosa si porta con sé la categoria. Spegne la luce e scompare. Guardati intorno. Mai è un sacco di tempo. Ma il bambino la sapeva lunga. E sapeva che mai è l’assenza di qualsiasi tempo. (pag 22)

La strada, di Cormac McCarthy, Einaudi 2007, traduzione di Martina Testa, vincitore del Premio Pulitzer 2007

 

McCarthy la-strada

 

In questi mesi in cui siamo precipitati in un incubo sanitario, sociale ed economico, poco si sono sentite le voci dei sociologi. Chi ha frequentato i media televisivi e giornalistici, ha assistito ad una lunga sfilata di esperti: epidemiologi, clinici, medici di sanità pubblica, infettivologi, pneumologi, e via declinando tutte le specializzazioni mediche afferenti alla questione. Naturalmente politici, con molto spazio e (a mio più che sindacabile giudizio) con poco da dire di concreto, economisti, esperti e non di vario titolo, fino a vedere interpellati anche coloro che non si è capito di che sanno.

I sociologi mi pare si siano sentiti poco, e forse qualcosa da dire potevano averlo. Forse saranno chiamati in causa ora che il disagio sociale sta cominciando a dare manifestazioni schizofreniche. Qualcuno dovrà domandarsi quale è stato e quale sarà l’impatto a livello sociale, e quali ne potranno essere gli sviluppi, nel prossimo futuro. Magari prima che le cose precipitino e si debba assistere ad un deja vu.

McCarthy la strada film

In questi giorni  mi sono riletta un romanzo che, oltre ad essere uno dei migliori libri mai letti, offre materia per molte riflessioni, soprattutto di questi tempi. La sua ambientazione apocalittica, l’atmosfera quasi claustrofobica e la desolazione che fanno da scenario alla peregrinazione di un uomo e un bambino, costringono a guardare in faccia un ipotetico (ma non improbabile) futuro a cui l’umanità potrebbe doversi preparare. Un romanzo in cui in mezzo a questo paesaggio desolato, si affacciano visioni di rara bellezza, attimi poetici che illuminano come scintille quei nuclei residui di umanità che potrebbero rappresentare la salvezza.

Nel romanzo di McCarthy ci troviamo di fronte ad un mondo che è vittima di un’imprecisata apocalisse, che ha spazzato via tutto quello che resta della civiltà. Rimane in vita solo una piccola parte di umanità; tutto intorno, devastazione e una densa cenere. Un uomo e un bambino sono in viaggio per raggiungere un ipotetico mare, lottando ogni giorno con la fame, scappando dai propri simili, “i cattivi”, e provando ogni giorno a procrastinare una fine che appare imminente. Hanno solo un carrello della spesa riempito con poche cose, un telo per coprirsi, qualche scatoletta di cibo e una pistola con due colpi, nel caso il destino dovesse farsi ancora più insopportabile di quello che già è.

Hanno anche i ricordi, ciò che si portano dentro di una vita che fu, un passato che non potrà essere di nuovo, ma che tiene accesa una piccola fiamma di speranza, perché ciò che si è riusciti ad imprimere nella propria coscienza, non potrà essere cancellato, ed è ciò che ci rende umani.

La strada è un romanzo “apocalittico”, uno sviluppo epico del disastro e del fallimento dell’umanità, senza toni retorici e senza “spettacolizzare” l’incubo realistico che propone; il romanzo rimane sempre centrato sul rapporto tra padre e figlio, riducendo così all’essenziale il concetto di genere umano, rendendolo il nucleo minimo, intimistico, quella piccola fiammella che sola può continuare a preservare l’impronta umana calcata su un suolo ricoperto di cenere.

Lo stile di McCarthy è scarno e incisivo; attraverso una prosa essenziale e tagliente, la narrazione procede per piccoli paragrafi, densi e efficaci, intervallati da dialoghi stringati, diretti e implacabili, come proiettili che centrano ogni volta un bersaglio. Uno stile che rende alla perfezione l’incubo apocalittico, le minacce esterne e quel rischio che aleggia sui due personaggi di perdersi per sempre nel buio dell’umanità sconfitta.

 

L’uomo si rivestì e si incamminarono su per la spiaggia con l’ultima parte del bottino. Secondo te dov’è andata a finire la gente?

Quella che stava sulla barca?

Eh.

Non lo so.

Secondo te sono tutti morti?

Non lo so.

Ma le probabilità non sono a loro favore.

L’uomo sorrise. Le probabilità non sono a loro favore?

Non lo sono, vero?

No. Probabilmente no.

La strada McCarthy blog

Qui potete leggere l’incipit.