Quando si pensa alle migliori raccolte di racconti di sempre ricorrono una serie di nomi che credo siano ormai conosciuti e letti: Gogol’, Čechov, Kafka, Hemingway, Mansfield, Oates, Salinger, Barthelme, Cheever, Carver, Poe, Borges, Saki, Munro, Cortázar, Flannery O’Connor, Malamud e così via.

Allora oggi, in questo post, vi vorrei proporre delle raccolte di racconti recenti, scritte da autori contemporanei, e facendo un po’ un ideale giro del mondo, pescando in tutti i continenti….

indirani_racconti

Non è mica la Vergine Maria è il titolo della raccolta di racconti della scrittrice indonesiana Feby Indirani (Add editore 2019, traduzione di Antonia Soriente e illustrazioni di Marie Cécile). Nata nel 1979 a Giacarta, ha scritto cinque libri (questo è il primo tradotto in italiano) e lavora anche per magazine e quotidiani indonesiani occupandosi di religione e minoranze. Dal giornalismo, Indirani porta con sé la capacità di tracciare, attraverso le parole, scenari quotidiani e famigliari, che ben presto, però, prendono una piega surreale. Come nel racconto da cui prende il titolo la raccolta: in cui una donna, di nome Maria, è sicura di essere incinta per miracolo, proprio come la Vergine Maria delle Sacre Scritture. La religione è il fil rouge che lega tutti i racconti del volume. L’Indonesia, infatti, è il più grande stato musulmano al mondo, con oltre l’80% della popolazione che si riconosce di fede islamica. E negli ultimi anni non sono mancati i casi di violenza e intolleranza per le fedi minoritarie. A smorzare il crescendo di intolleranza e ortodossia, l’ironia che subentra in ogni racconto, generando situazioni che fanno tirare un sospiro di sollievo al lettore.

Adjei-Brenyah_FridayBlack

Lo scrittore Nana Kwame Adjei-Brenyah, nato a New York da genitori ghanesi, nel suo esordio raccoglie una serie di racconti in cui mette a nudo le ipocrisie della società statunitense e disegna possibili, raccapriccianti, scenari futuri. Friday black, edito nella collana BigSur, 2019, traduzione di Martina Testa. Attualità e ingiustizie nei confronti  della comunità afroamericana si fondono, creando scenari come quello narrato ne I 5 della Finkelstein, dove gruppi di picchiatori colpiscono a morte vittime bianche per vendicare l’uccisione di cinque bambini afroamericani. O ancora, visioni di un futuro governato dalla tecnologia e dalla ricerca spasmodica della verità, ma con il rischio di cancellare il passato e la storia. Scenari di violenza, in cui la disparità, sociale ed economica, la fa da padrone, ma in cui si trovano anche momenti di comicità, perché “a volte quello di cui si ride è la nostra civiltà malata, e a volte quello di cui si ride è che non c’è proprio niente da ridere”.

Oltre alla violenza e all’impatto della tecnologia sulla vita degli uomini, nei racconti c’è spazio per le ironie sul consumismo della società contemporanea: “Ho scritto questo libro perché qualcuno che lavora dalla mattina alla sera il giorno del Black Friday possa magari sentir confermati i suoi sospetti sul fatto che c’è qualcosa di malato se i prezzi ribassati portano gli esseri umani a calpestarsi a vicenda”, spiega a questo proposito l’autore.

Watkins Nevada

Nata nel 1984, Claire Vaye Watkins è cresciuta nel deserto del Mojave, tra California e Nevada esordisce con questa serie di racconti. Il deserto, i bordelli legalizzati e il fiume Sacramento, che corre attraverso la Sierra Nevada fino alla California e che è stato l’ambientazione della corsa all’oro (oltre che dell’unico racconto della raccolta ambientato nell’Ottocento) sono il fondale in cui si svolgono le storie scritte da Watkins.

Mio padre non ha ucciso nessuno. E non è un eroe. Non è quel genere di storia”, scrive Claire Vaye Watkins nel primo dei racconti che compongono Nevada, il suo primo libro, pubblicato negli USA nel 2012 e ora anche in Italia da Neri Pozza, nella traduzione di Serena Prina. La precisazione è quasi d’obbligo per una “figlia di” come lei. Suo padre era Paul Watkins, uno dei seguaci di Charles Manson, e nel racconto ripercorre – anche – la storia del genitore, a partire dall’arrivo della setta al Ranch di George Spahn, sulle colline di Los Angeles, il luogo che diviene il quartier generale della Family di Manson.

I rapporti familiari in Nevada sono monchi, si basano su non detti e su un passato che si vorrebbe dimenticare o almeno non replicare. La solitudine del deserto entra nelle ossa di chi lo abita, rendendolo solitario fino al limite dell’alienazione. Non a caso il titolo originale del libro è Battleborn. Termine che si ritrova sulla bandiera del Nevada a ricordare che lo stato è nato durante la guerra di secessione. Ma che in inglese colloquiale viene anche usato per indicare qualcuno formato e indurito da un conflitto, proprio come molti dei personaggi nati dalla penna di Watkins. Lo stile dei racconti è asciutto, minimale, come la forma mentis di chi porta avanti la narrazione, spesso condotta in prima persona dalle protagoniste femminili, altre volte da un narratore esterno che non fa trasparire alcuna pietà per gli esseri che vede.

Bergman paradisi minori

Rimaniamo negli Stati Uniti ma con un genere molto diverso. Paradisi minori, di Megan Mayhew Bergman, NNEditore, 2017, traduzione di Gioia Guerzoni, illustrazione in copertina “Jewel” di Anita Inverarity

Chi sono i protagonisti di questa raccolta di racconti? Sono di due tipi: essere umani e animali ed entrambi riempiono le storie con la loro presenza, spesso compenetrandosi a tal punto da umanizzare gli animali o da tirare fuori l’animale che abita in ciascuno degli esseri umani.

Ci sono le domande sulla sopravvivenza su questo pianeta, il rapporto dell’uomo con l’ambiente, gli stili di vita. C’è la natura selvaggia appena fuori dal cancello di casa che spaventa e al tempo stesso protegge, facendoti sentire parte integrante di essa. Ci sono quesiti etici sulla conservazione delle specie minacciate e l’impegno dei volontari dei rifugi per gli animali che fanno di questa attività una missione. C’è tanto amore, raccontato con gentilezza e onestà, senza cercare grandi storie ma sezionando la vita ordinaria di esseri imperfetti, indecisi, ma al tempo stesso capaci di fare delle scelte quando in gioco ci sono i valori in cui credono e per i quali lottano, anche a costo di rimanere da soli. (la mia recensione è qui)

Lahiri l'interprete dei malanni

Jhumpa Lahiri, L’interprete dei malanni, traduzione di Claudia Tarolo, Guanda, tascabili Guanda, 2014. Introduzione di Domenico Starnone. A Boston, complice un blackout, una giovane coppia indiana in crisi riesce a dirsi cose a lungo taciute. In India, il signor Kapasi, «interprete» alle dipendenze di un medico, accompagna in un giro turistico una famiglia di indiani ormai americanizzati; l’interesse della donna per la strana professione di Kapasi susciterà in lui un sogno romantico che dovrà presto abbandonare. Un bengalese ricorda la giovinezza a Londra e la prima casa a Boston, e insegna al figlio che, se lui è riuscito a sopravvivere in tre continenti, non ci sono ostacoli che non possano essere superati… Attraverso nove storie di vita quotidiana, Jhumpa Lahiri ci consegna un’India variegata, assumendo ora lo sguardo di chi sta ancora affrontando l’urto della diversità, ora quello di chi dall’India, con la sua civiltà millenaria ormai aperta agli echi dell’Occidente, non se n’è mai andato.

barret_amore_

Dalla Nigeria arriva questa raccolta: L’amore è potere, o almeno gli somiglia molto, di A. Igoni Barrett, 66thand2nd 2018, traduzione dall’inglese di Michele Martino, pagg. 245. (la mia recensione è qui)

I nove racconti di questo volume raccontano l’amore nelle sue sfaccettature, nelle sue miserie, nella sua capacità di tenere insieme le persone anche quando si fanno del male. Perché è vero che l’amore è potere; il potere di far sì che una madre anziana abbandonata dai suoi figli trovi la forza di perdonarli e di capire che ormai hanno la loro vita ed altri affetti a cui dedicarsi, o l’amore di un figlio adolescente per la madre alcolizzata e disperata che lo picchia e non si preoccupa di sfamarlo. È un potere forte, che può essere esercitato in forma ricattatoria, che può scaturire in un gesto non dovuto, o che riesce a difendere dalle miserie della vita. È qualcosa di vitale, di estremamente resistente, eppure delicato come una piuma d’uccello. È l’amore ai tempi di un’umanità precaria, che vive ai margini, che cerca di rimanere umana anche laddove la spinta alla crudeltà sembra prevalere.

Quella cosa intorno al collo

Rimaniamo in Nigeria, con la raccolta “Quella cosa intorno al collo“. In questi racconti Chimamanda Ngozi Adichie delinea lucidamente e senza reticenze patriottiche gli aspetti piú problematici della società nigeriana, attraversata da scontri religiosi, omicidi politici, corruzione, brutalità nelle carceri e maschilismo. Tra senso di smarrimento e piú concreti problemi di soldi e di documenti, risulta però altrettanto chiaro che neppure l’emigrazione assicura una vita felice, nello specifico in quell’America che, seppure tanto vagheggiata, vista da vicino è ben diversa dal paradiso di ordinate villette unifamiliari dipinto in certi film. Gli affetti, i sapori e le usanze di casa continuano infatti a tormentare le protagoniste dei racconti di Adichie, che siano arrivate negli Stati Uniti quasi per caso, sposando un uomo ricco che poi le ha parcheggiate nell’agio di una terra straniera con figli e domestica, oppure dopo aver atteso per anni il ricongiungimento con il compagno. A dare il titolo alla raccolta è la storia di Akunna, una ragazza che vince la Green Card e che, dopo essersi scontrata con la dura filosofia del «dare per avere », ha quello che nell’opinione di molti sarebbe un incredibile colpo di fortuna. Ma liberarsi di «quella cosa intorno al collo», un soffocante senso di solitudine e non appartenenza, è tutt’altra cosa. Particolarmente toccanti sono i racconti L’ambasciata americana e Domani è troppo lontano. Nel primo la protagonista, che all’improvviso si è ritrovata in un incubo, attende in fila sotto un sole cocente l’apertura dei cancelli dell’ambasciata americana, dove si appresta a fare domanda di asilo politico. Insensibile alla folla, riesce a pensare solo al figlio e alla macchia, rossa come olio di palma fresco, che ha visto allargarsi sul suo petto. Nel secondo, invece, sullo sfondo di un afoso e lussureggiante giardino pieno di ricordi, una ragazza è costretta dalla morte della nonna a rivivere la tragica sera dell’infanzia in cui ha perso l’amato fratello maggiore.

Viet Thanh Nguyen i rifugiati

I rifugiati, di Viet Thanh Nguyen, Neri Pozza editore 2017, traduzione di Luca Briasco. Protagonisti degli otto racconti che formano “I rifugiati” sono uomini, donne e bambini fuggiti dal Vietnam durante la guerra o dopo la caduta di Saigon in mano ai Viet Cong , o che, per altri motivi, hanno a che fare con il Vietnam. Sono scritti con uno stile pulito, scorrevole, con i giusti tempi per creare sospensione e curiosità di andare avanti; uno stile che coinvolge, che trascina nella storia, che tocca i tasti dei sentimenti e che suscita emozioni. Mentre leggi senti l’angoscia, a volte il terrore, provato in una certa situazione dal protagonista; se ne esperimenta lo spaesamento, il non sentirsi all’altezza, la paura di non capire cosa ti viene detto perché non hai una sufficiente conoscenza della lingua. (la mia recensione è qui)

Costamagna passero

Con questa raccolta andiamo in Cile. C’era una volta un passero, di Alejandra Costamagna, Edicola Edizioni 2016, traduzione di Maria Nicola, pagg 75

Nei tre racconti che compongono questo breve volume, la presenza che aleggia sulle vite delle protagoniste adolescenti è l’assenza; un vuoto avvolto in misteriose allusioni, in verità tenute nascoste, in codici di comunicazione arcani. Assenze che riguardano gli affetti: padri, madri che d’un tratto svaniscono e bisogna tacerne i motivi. Adolescenti che si interrogano, che hanno in testa tanti perché a cui non corrispondono risposte chiare, solo mezze verità, indizi disseminati in frasi carpite, in comportamenti spiati, in vecchi album di fotografie che ritraggono scene non facilmente collocabili, agli occhi di una ragazzina. Assenza legata alla perdita, come già preannuncia il titolo, in quel suo “c’era una volta”, che rimanda appunto a ciò che non è più. (la mia recensione è qui)

Yoon feste_in_lacrime

Facciamo un salto in Thailandia per leggere: Feste in lacrime, di Prabda Yoon, add editore 2018, traduzione dall’inglese di Luca Fusari; la traduzione dal thailandese all’inglese è di Mui Poopoksakul. Ciò che mi ha maggiormente colpito di questi racconti è lo stile dell’autore: un’altalena che si spinge ora verso il realismo, ora verso l’immaginario, espresso con fine ironia, con uno humor a volte nero, a volte metafisico, virando continuamente, come una risalita di bolina, tra assurdo e reale. Proponendo dei fermi immagine, che restano sospesi, e lasciano il lettore a cullarsi nella propria immaginazione per dare un finale. Esprimendosi con un linguaggio molto attuale, vicino al parlato, illuminato da voli poetici che vanno dritti al cuore. E con un mood tutto orientale, buddhista, di fatalismo e di stoica convivenza con le prove a cui la vita ci sottopone. (la mia recensione è qui)

Barnet le regine dell'avana

Ci spostiamo a Cuba, per leggere “Le regine dell’Avana” di , Einaudi editore. Questo volume di racconti mette in scena una indimenticabile galleria di figure femminili del presente e del passato dell’Avana: Fátima, il travestito, filosofo a modo suo; la misteriosa Miosvatis; la corista Rachel; l’anarchica zia Sunsita; la domestica di colore Patrona; Ágata, amante della poesia; la triste Milagros; la vecchia Elvira, un po’ santa e un po’ strega…

Danticat la vita dentro

E poi vi porto ad Haiti. Al centro degli otto racconti haitiani di Edwidge Danticat ci sono donne che affrontano la perdita e il dolore, e che spesso danno più di quello che dovrebbero: la loro risposta agli eventi è sempre un atto di amore e di compassione, estremamente umano, e realmente universale. Ne La vita dentro. Racconti haitiani (SEM, traduzione di Velia FebruariHaiti e Miami sono due mondi che si guardano e si affrontano negli opposti, uno intriso di bellezza e atrocità, l’altro agognato come una terra promessa che poi si rivela tristemente nella sua miseria come tutte le altre patrie degli ultimi. Otto storie di grande intensità sull’amore, l’amicizia, l’abbandono, la nostalgia.

Qiufan chen l'eterno addio

E adesso un salto in Cina: la casa editrice Future Fiction propone otto racconti usciti tra il 2004 e il 2012 di Chen Qiufan, “L’eterno addio“, nella traduzione di Cristallini e Secci. I protagonisti dei suoi racconti sono molto diversi tra loro, ma accomunati dal fatto di essere immersi in una realtà dalla connotazione fortemente tecnologica, che ci proietta in quello che potrebbe essere un futuro non poi così lontano. Cosa succederebbe a un consulente di marketing se trovasse la strategia per lanciare l’app di maggior successo di sempre, la fantomatica “Buddhagram”? E cosa si cela dietro i movimenti sinuosi dei pesci di Lijiang, il paese dove tanti professionisti finiscono per disintossicarsi dai ritmi lavorativi disumani? E ancora cosa resterà dei ricordi di Xiaochu – dell’ultimo addio dato a sua moglie – quando si sottoporrà a un esperimento di fusione mentale con una forma di vita sottomarina, un verme misterioso dall’esistenza straordinaria?

Capponi cover

E per ritornare in Italia vi propongo una raccolta che ho letto recentemente e che mi è sembrata particolarmente originale e ben scritta. Gli effetti invisibili del nuoto, di Alessandro Capponi, Hacca Edizioni 2020.

I protagonisti di questi dieci racconti, arrivati ad un certo punto delle loro vite, dopo avere accumulato un pesante bagaglio di esperienze-amori-delusioni-segreti capiscono capiscono che è arrivato il momento fatidico, quello in cui si può e si deve voltare pagina, fare un salto per interrompere un flusso che rischia di travolgerli o di anestetizzare le loro anime per sempre.

E il turning point si concretizza nel fluire delle acqua di una piscina perché ciò che li accomuna è la pratica del nuoto. L’immersione in quel mondo fluido, i suoi ritmi, il suo rigore, sono la molla che, dapprima compressa, nel momento in cui si distende, li catapulta verso un cambio totale, verso una metamorfosi che li trasforma e li trasporta in un futuro diverso. Una scelta presa nella consapevolezza liquida dell’elemento acqua, che li catapulta in una dimensione diversa, che acquisisce la solidità di un punto di non ritorno. (la mia recensione è qui).