La montagna è un luogo dal fascino unico: incantevole sia in estate che in inverno, è una delle mete classiche del turismo. La montagna è anche uno stile di vita, forte di storia e tradizioni, e le persone che vivono alle sue pendici hanno un carattere forte, un po’ schivo, che tende all’essenziale, e sono accomunate da un grande rispetto per i giganti di pietra che sanno anche incutere timore. Per chi vive nelle città, la montagna è un luogo di relax e di rigenerazione: le passeggiate, l’aria pulita, il cibo genuino, ne fanno un antidoto allo stress. Le cime innevate sono anche il sogno degli sportivi che, armati di sci, le percorrono in lungo e in largo; così come, invece, gli scalatori – professionisti e non – le vivono come una sfida verso se stessi.

Comunque vi piaccia vivere questi maestosi scenari, la montagna saprà regalarvi emozioni irripetibili.

La letteratura legata alla vita in montagna è un filone molto amato dai lettori, sia che si tratti di romanzi, che di diari di avventura scritti da chi l’ha affrontata con rispetto e con la voglia di misurare le proprie capacità. Oggi vorrei darvi qualche spunto di lettura, soprattutto in ambito narrativo, per assaporarne il fascino. Prima di passare ad autori contemporanei, non possiamo tralasciare un classico, il capolavoro La montagna incantata, di Thomas Mann. Questo celebre Bildungsroman è ambientato in un sanatorio svizzero, il Berghof di Davos, e le montagne svizzere sono lo scenario in cui iniziare una ricerca lunga sette anni che sarà principalmente un’esperienza interiore generata dalla strana magia del luogo, dall’impalpabile e soggettiva percezione del tempo, ma soprattutto dall’esperienza della malattia e della morte, protagoniste assolute del sanatorio.

Tra i contemporanei, c’è un autore che amo e che scrive romanzi ambientati in montagna combinando in modo perfetto lo spirito montanaro con un pizzico di mistero, il valdostano Claudio Morandini.

Morandini neve cane piede copertina

Neve, cane, piede, edito da Exorma. Il romanzo è ambientato in vallone sperduto, in una montagna non definita – potrebbe trattarsi di qualsiasi località alpina, non importa -; al centro della storia c’è un anziano montanaro, eremita per scelta, scontroso e un po’ smemorato. Quei vecchietti burberi che capita di incontrare per le viuzze dei paesi con le case di pietra in alta valle, che non ti rivolgono la parola, semmai un grugnito, schivo e concentrato a perdersi nei suoi ragionamenti, nei quali si fa domande e si risponde e si convince di quello che vuol credere, che non sempre coincide con la realtà.
Un uomo che si è talmente isolato da sembrare sempre meno umano e quasi più parte dell’ambiente naturale, anch’egli terra, sasso, roccia e neve; a tal punto che quando il cane, spuntato fuori dal nulla, gli si attacca alle calcagna e comincia a parlare, ti viene da pensare che quello umano sia lui, invece del vecchio.
Morandini definisce il cane “un personaggio da commedia”, perché gli piace conversare, con buone maniere e garbo per non offendere l’uomo, con un filo di ironia a mantenere allegro un tono che potrebbe, se non ci fosse maestria, calare nel cupo compiacimento. Il cane è ragionevole, dice cose sensate e richiama l’uomo a prendere atto delle evidenze che si parano innanzi a loro e delle quali, Adelmo, confonde il prima e il dopo, la causa e l’effetto.
Una fuga dalla società, un allontanamento perseguito con ostinazione, rotto soltanto da brevi scappate al paese per approvvigionare le risorse per superare l’inverno. Un lungo inverno in cui l’uomo e il cane, rimangono isolati nella baita sotto metri di neve, e durante i quali l’uomo ripercorre i ricordi della sua vita, in un confuso orizzonte di presente e passato, di realtà ed immaginazione. Fino al disgelo, quando qualcosa di strano, e imprevisto, accade.
È un romanzo che si legge tutto di fila, di quelli che non riesci a mettere giù finché non arrivi all’ultima pagina. Una scrittura che va per sottrazione, uno stile asciutto e essenziale. Una montagna raccontata senza indulgenza, senza elementi bucolici, ma ripresa nella sua reale potenza, a volte feroce, un elemento che incute rispetto e talvolta paura.

morandini pietre foto mia

Le pietre, edito da Exorma. A raccontare cosa accade tra le frazioni di Sostigno, il villaggio a valle, e Testagno, il villaggio a monte, è la voce di un abitante che ha assistito a tutta la vicenda, fin dall’inizio, e che, per dirla con tutti i particolari, senza trascurare niente, chiama in causa tutti gli altri compaesani, trasformando la narrazione in una polifonia perfettamente armonizzata. La sua voce ci chiama a sederci in fianco al camino, come si fa nelle lunghe sere invernali in montagna, quando si tirano fuori vicende passate, protagonisti che magari oggi non ci sono più, perché per capire il presente, è dal passato che bisogna partire.
In questo romanzo, Morandini ci serve una storia gustosissima, un racconto che si muove tra il giallo, il soprannaturale, il reale e il faceto. Il suo stile ironico, ammiccante ci accompagna tra le pagine, in un crescendo di eventi strani che moltiplicano la curiosità e le ipotesi per spiegare gli strani fenomeni che accadono nella vallata impervia dove la storia si svolge. Gli abitanti hanno dovuto modificare il loro stile di vita da quando tutto ha iniziato a muoversi: pietre che rotolano in modi inspiegabili, vere e proprie frane, sussulti, tremori…
Morandini, nella sua storia un po’ fiabesca, ci fa molto riflettere, parlando anche della realtà di certe zone di montagna, in bilico tra le necessità di protezione degli abitanti, e la paura di essere sradicati dalle proprie tradizioni, dal proprio territorio.

Morandini oscillanti

Gli oscillanti, edito da Bompiani. La storia è ambientata in una anonima e scoscesa valle montana in cui due paesi, Crottarda e Autelor si trovano uno di fronte all’altro. Essendo la valle stretta e vertiginosamente verticale, il suo orientamento fa sì che Crottarda sia quasi sempre all’ombra, se non al buio, mentre Autelor gode della luce piena del sole per tutto il giorno. L’esposizione a cui i due versanti sono soggetti determina anche il carattere degli abitanti: quelli di Autelor sono più allegri, espansivi, amano cantare e ballare e vestirsi con abiti colorati; quelli di Crottarda sono scorbutici, un po’ cupi e lunatici, vestiti sempre di scuro e di poche parole.
L’antipatia tra le due comunità si manifesta a volte con scherzi di dubbio gusto, altre con comportamenti piuttosto violenti; segni tangibili di un odio di vecchia, vecchissima data, un odio che è andato crescendo perché, in un tempo remoto, invece, le due comunità andavano d’accordo, sfruttando tutti insieme il lato all’ombra d’estate e quello solatio d’inverno. Ma poi qualcosa è successo… Il romanzo prende il la quando arriva nella valle – siamo negli anni Ottanta – un’etnomusicologa, ricercatrice universitaria, che vuole registrare e studiare i canti dei pastori di Crottarda; viene accolta da scherzi di cattivo gusto che si trasformano in depistaggi, percorsi con una certa crudeltà. Sembra proprio che ci sia qualcosa da nascondere, qualcosa che ha a che fare col mistero… Lei stessa si trova coinvolta in fatti indecifrabili, al punto da non riuscire a discernere cosa sia reale e cosa no. Il romanzo che sembra partire sull’onda del thriller, mantiene fino alla fine una notevole tensione, con momenti di vera suspence; tutto è giocato sugli equivoci, sui misteri, sul lato nascosto della realtà.

Le elezioni si avvicinano e Franco Gavaglià, sindaco di un esteso comune di montagna, punta alla riconferma. Peccato che lui, dopo anni di sedentarietà e pranzi di lavoro, all’uomo di montagna non somigli più: mani callose, fisico asciutto e rughe scavate dalle intemperie sono stati soppiantati da un’obesità decisamente cittadina, che potrebbe respingere molti elettori. Per vincere, Gavaglià ha bisogno di essere affiancato da un eroe della vita alpina, una figura che incarni agli occhi della comunità il sacrificio, l’operosità, la tradizione. Suo padre, per esempio. Si dà il caso, però, che il padre di Franco sia un uomo odioso, egoista, feroce.
Così entra in gioco Leda, la figlia del sindaco, l’unica in grado di ammansire il patriarca: sia pure con riluttanza, la giovane si presta a seguire i due, per affetto, e per evitare che accada il peggio. Comincia così un’incredibile campagna elettorale, in cui l’opportunista Gavaglià si mostra disposto a tutto pur di vincere.
Una storia amara, ma condita di pungente e irresistibile ironia.

Con uno stile abbastanza simile, lo scrittore svizzero Arno Camenisch ha scritto dei romanzi che mi hanno affascinata e fatto riflettere. Ve ne segnalo due.

Camenisch cura copertina

La cura, edito da Keller. L’ambientazione è l’Engadina, il suo superbo contesto montano, le cime rilucenti, i boschi, i laghi quasi incantati e l’aria frizzante, splendente nel sereno e maestosa quando il cielo si rabbuia e geme nei tuoni fragorosi, amplificati dalle eco che rimbalzano sulle rocce. 
Protagonista del romanzo è una coppia di pensionati che vince alla tombola un soggiorno di quattro giorni in un prestigioso hotel in Engadina. Un hotel extra lusso di fronte al quale le reazioni dei due sono completamente diverse: affascinata ed eccitata lei, timoroso degli “extra” e di potenziali pericoli lui.
Il contesto in cui si ritrovano è così lontano dalla loro quotidianità, che, come una cartina al tornasole, scatena due reazioni totalmente diverse, ma assolutamente in linea con le due divergenti personalità. Per lei questa è l’occasione di tornare a sognare, ad immaginarsi di nuovo giovane e desiderosa di fare ciò che finora le è stato precluso, di ricominciare fare progetti per il futuro. È eccitata da tutto quello che vede, dentro e fuori l’hotel, ha voglia di fare passeggiate, di andare alla cena di gala, al concerto. Lui vede tutto come una potenziale minaccia e continua a ipotizzare tutte le possibili morti a cui andranno incontro.
Attraverso i quarantasette quadri che compongono il romanzo, intensi quanto coinvolgenti, con una scrittura ironica e sottile, leggera ma capace di spingere in profondità, di toccare i grandi quesiti della vita, Camenisch ci solletica, ci lascia intravedere come potremmo essere quando saremo in là con gli anni, e, con un filo di malinconia, ci suggerisce di non rinunciare ai sogni.

Camenisch scrive in romancio sursilvano, una lingua antica che ha diverse anime: il ladino, i dialetti friuliani e lombardi, il tedesco, i dialetti svizzeri. Un incrocio di idiomi e di genti che nelle valli come l’Engadina rappresenta un apparentamento di riconoscibilità e continuità culturale.

Camenisch ultima neve

Ultima neve, edito da Keller. Protagonisti del romanzo ci sono due esemplari di “montagnini”, di quelli nati lì e vissuti sempre lì, quelli che la amano e ne conoscono bellezze e minacce, quelli che farebbero di tutto per vederla rispettata e protetta, mentre invece sono costretti a vivere sulla pelle certe avvisaglie foriere di cambiamenti negativi. “il” Paul e “il” Georg, che gestiscono un impianto di risalita in una imprecisata località situata sui monti dei Grigioni, e che irretiscono il lettore in un lungo dialogo, spezzato nei giorni, mentre si preparano al meglio per accogliere turisti che sembrano scarseggiare, come la neve, che l’Onnipotente non manda più a cariolate come una volta.

Il loro sguardo è spesso puntato al cielo – scrutato col binocolo -, alle nubi che passano veloci o si fermano a fare da corona ai picchi, e dai loro movimenti sanno fare previsioni, come lo sa fare ogni abitante di quelle montagne; le nubi che una volta erano cariche di fiocchi e li scaricavo copiosi sulle piste e sui boschi, ora sembrano più sterili, e la temperatura è “un cicino” troppo alta per l’inverno; colpa del cambiamento climatico, affermano i due. C’è silenzio lassù, un silenzio sovrastato dai monti e dai ricordi, l’eco di un passato dove tutto era mitico: gli assi locali dello sci e del calcio, le avventure, le giornate passate a sciare senza pensieri. Ora non resta che raccontarli.
Un romanzo che tocca le corde del cuore, scritto in uno stile essenziale e colloquiale, dove i dialoghi non sono limitati da virgolette, ma filano tutti di seguito, armoniosi e perfetti. Parole che suscitano un po’ di malinconia, di senso di smarrimento di fronte alle apparentemente banali considerazioni di Paul, che invece fanno affiorare le amare verità del “cosa ne sarà”.

I romanzi di Arno Camenisch – un cronista di mondi in dissolvenza hanno in comune molti aspetti e, di fatto, si possono accostare fino a definire una sorta di epopea grigionese sul tempo che passa e su cosa si lascia indietroAnni d’oro è un viaggio a ritroso nel proprio tempo, condito di nostalgia ed emozioni, con tanta ironia e sagacia.
Margrit e Rosa-Maria gestiscono un chiosco a Tavanasa, nei Grigioni, il paese in fondovalle dove il sole non appare per mesi in inverno e dove Arno Camenisch è cresciuto. Dialogano tra loro – ormai di clienti ne passano pochi al chiosco, da quando hanno realizzato la circonvallazione intorno al paese – e ripercorrono i momenti vissuti sul loro posto di lavoro in un flusso di ricordi, pieno di umorismo, calore, modestia e orgoglio. Orgoglio che gonfia il cuore: la loro bella insegna, l’idea rivoluzionaria del chiosco insieme al distributore, le cortesie per i clienti, l’ordine e le vetrine pulite a specchio. Margrit e Rosa-Maria non hanno molti interlocutori, oggigiorno, e continuano a raccontarsi la loro storia, a rievocare le loro vite insieme, giorno dopo giorno, emozione dopo emozione.
Arno Camenisch parla di un mondo che cambia con molta arguzia e grande amore, ma finché Margrit e Rosa-Maria servono il loro chiosco con insegna al neon e pompe di benzina, il mondo rimane un posto meravigliosamente bello e luminoso. (leggi la mia recensione)

Brunoni silenzi

Silenzi, edito da Gabriele Capelli. Rimaniamo in Svizzera, col romanzo di Luca Brunoni, ambientato nella Svizzera rurale degli anni Cinquanta che coinvolge il lettore in una storia dolorosa e emblematica dello stile di vita di quella realtà. Ma l’ambientazione nel passato trasla solo temporalmente – creando il distacco necessario a vagliare certi argomenti – una serie di tematiche nient’affatto estranee al presente. Il romanzo è strutturato in due parti: nella prima, la voce narrante è una ragazzina di tredici anni a cui il destino ha riservato un cammino pieno di inciampi; nella seconda, è il narratore esterno a raccontare la vita e i segreti degli abitanti del villaggio in cui la ragazza viene trasferita a seguito del lutto che l’ha colpita.
Ida, sradicata dalla sua città, si trova catapultata in un villaggio in cui il silenzio della natura nasconde il chiacchiericcio che le persone alimentano focalizzando l’attenzione sui presunti peccati degli abitanti. La narrazione assume poi un aspetto corale, mostrando al lettore il paese e suoi abitanti colti nelle loro esistenze abitudinarie ma anche nei tanti segreti e misteri di cui è meglio tacere. I silenzi necessari a mantenere una quiete artificiosa, mentre al disotto ribollono umori, dissapori familiari, recriminazioni e voglia di riscatto.

Brunoni racconta un mondo, quello rurale di montagna, che spesso viene idealizzato ma che, andando a scavare, riserva non poche contraddizioni.

Cognetti otto montagne

Le otto montagne, edito da Einaudi, vincitore del Premio Strega 2017. La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.
Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ambienta questo potentissimo romanzo. Una storia di amicizia tra due ragazzi – e poi due uomini – così diversi da assomigliarsi, un viaggio avventuroso e spirituale fatto di fughe e tentativi di ritorno, alla continua ricerca di una strada per riconoscersi.
Il romanzo racconta estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero.
Bellissimo anche il film che si è ispirato al romanzo.

Cognetti ci ha abituato a seguirlo per pendii innevati, a scalare con lui sentieri e sentimenti sollecitati dalla montagna, cammini faticosi dove, alla fine, l’importante non è tanto arrivare fino alla vetta, quanto andare, percorrere col proprio passo quei sentieri e trarne felicità. Ce ne siamo resi conto leggendo Senza mai arrivare in cima, racconto del suo viaggio in Nepal, verso l’Himalaya.
Cognetti non compone il sogno della vita semplice e della natura che salva. Certo, traspare chiaramente che i suoi personaggi si trovano più a loro agio in questo tipo di ambiente, che favorisce una sintonia e una pace capace di lasciare spazio al pensiero. I suoi personaggi vivono la montagna come un luogo in cui concedersi il tempo di pensare, nei modi e con i ritmi che ciascuno sceglie, perché la felicità è una conquista da fare prima di tutto dentro di sé. (leggi la mia recensione)

Faggiani manutenzione sensi

La manutenzione dei sensi, edito da Fazi. Ambientato in mezzo ai boschi e ai prati d’alta quota, nelle Alpi piemontesi, a un incrocio tra casualità e destino si incontrano Leonardo Guerrieri, vedovo cinquantenne, un passato brillante e un futuro alla deriva, e Martino Rochard, un ragazzino taciturno che affronta in solitudine le proprie instabilità. Sarà proprio nel silenzio della montagna, osservando le nuvole in cielo e portando al pascolo gli animali, che il ragazzo troverà se stesso e l’uomo una nuova serenità. A contatto con le cose semplici e le persone genuine, anche grazie all’amicizia con il burbero Augusto, un anziano montanaro di antica saggezza, padre e figlio si riscopriranno più vivi, coltivando con forza le rispettive passioni e inclinazioni.

Con Fiore di roccia Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma forti nel desiderio di pace e pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale. Il romanzo di Ilaria Tuti, racconta il sacrificio delle portatrici carniche, che giornalmente sfidavano salite impervie per dare sostegno e rifornimenti ai soldati che combattevano tra le alture friulane.

Il sentiero ripido e impervio si snoda tra rocce e crepacci fino alla Cima delle Anime. Unisce due terre di confine, e a tracciarlo sono stati i passi di chi notte dopo notte lo percorre cercando un varco sui crinali. Da sempre protegge il cammino delle contrabbandiere che di nascosto lo solcano. Donne per le quali una scelta così difficile è l’unica possibilità di indipendenza. Anche se è pericolosa. Quando Luce scopre la loro esistenza, i suoi desideri prendono finalmente corpo. Suo padre e suo fratello le hanno insegnato che quelle montagne non sono adatte a una ragazza. Che il suo compito è aspettare a casa il loro ritorno. Ma ora è pronta a sfidare quel divieto. A darle forza è Thomas, un ragazzo senza un passato né un luogo a cui tornare, che ha imparato sulla propria pelle che la natura può elargire doni inaspettati, crudele quanto accogliente. Luce sente che con lui esiste un legame speciale, profondo come le radici di un albero. Quello che però non può sapere è che Thomas custodisce un segreto che proietta un’ombra cupa sulla sua vita. Un segreto che appartiene al passato ma che anni dopo, su quello stesso misterioso sentiero, intreccerà la vicenda di Luce e Thomas con quella di un bambino scomparso e di un uomo pronto a tutto per ritrovarlo.

Il breve romanzo della scrittrice austriaca Monika Helfer racconta la storia della sua famiglia, e lo fa con uno stile lineare, apparentemente semplice, ma incisivo, una lingua perfetta per raccontare una storia densa di significato. Sviluppato su un arco temporale che va dalla prima guerra mondiale ai giorni nostri, sembra volerci ammonire di quanto la bellezza, femminile soprattutto, possa risultare fatale e condizionare le vite di chi la possiede. Qui trovate la mia recensione.

Un’ambientazione completamente diversa, e uno stile altrettanto diverso da quelli che caratterizzano i romanzi visti sopra, è quella che Chris Offutt ha raccontato nei suoi libri: la cosiddetta «America profonda», le montagne degli Appalachi, fatta di paesaggi desolati e solitudini, di alcol e armi. Nei suoi romanzi e racconti troviamo le storie di camionisti, sceriffi, giocatori d’azzardo, pugili dilettanti, ex carceratiex combattenti.

I libri che raccontano esplorazioni, scalate e avventure in montagna sono davvero tanti e li potete facilmente rintracciare; da parte mia, concludo il post con due libri che mi hanno molto colpito:

Shepherd la montagna vivente 2

La montagna vivente, edito da Ponte alle Grazie, della scrittrice scozzese Nan Shepherd,  è un vero e proprio capolavoro della letteratura di alpinismo, che racconta il massiccio dei monti Cairngorm, nella Scozia nordorientale, chiamato anche “l’Artico della Gran Bretagna”. L’autrice lo ha esplorato per tutta la vita, percorrendolo in lungo e in largo in un eterno ritornare, scoprire, ricordare. Il volume è corredato da un’introduzione di Robert Macfarlane.

Mafarlane montagne della mente

Montagne della mente, ri-edito da Einaudi. Con questo libro, Robert Macfarlane ripercorre la storia dell’incontro fra gli uomini e le montagne. E lo fa attraverso il racconto delle mitiche esplorazioni alpinistiche, le grandi scoperte scientifiche, le opere di poeti e artisti che sono stati posseduti dalla vertigine delle vette, le imprevedibili avventure sulle cime di Samuel Coleridge. Perché il brivido dell’altitudine e lo stupore del panorama in quota, la ricerca della paura come limite da superare, l’incanto dei ghiacciai hanno reso le cime dei monti una nuova frontiera da esplorare e da cui venire conquistati.

Nel capitolo La ricerca della paura, descrive il piacere irrazionale di mettere a repentaglio la propria vita, “quell’inversione della gravità che avviene nell’alpinismo”, “la forza di attrazione che ci attira verso l’alto”. Non si addentra in interpretazioni psicologiche, racconta questa ossessione della mente, a volte fruttifera di conquiste memorabili, altre volte vana distruzione di vite umane.

Vi segnalo anche questo romanzo per i ragazzi dai dieci ai quindici anni:

Alcune estati sono indimenticabili. Succedono così tante cose che quando torni a scuola, a settembre, sei un’altra persona. Per Giorgio è l’estate dei suoi tredici anni, quella che si ritrova costretto a trascorrere in un rifugio vicino a La Thuile, in Valle d’Aosta, lontano dalle comodità di casa e da Torino. Il padre infatti ha deciso di abbandonare il lavoro in banca per dedicarsi alla gestione del rifugio, mentre sua madre se ne andrà a insegnare in una scuola francese. Giorgio non capisce: perché, di punto in bianco, i suoi genitori sembrano voler cambiare vita a tutti i costi? Perché non riesce a prenderla bene come suo fratello Luca? Ma soprattutto, come farà a sopravvivere per tre lunghissimi mesi senza amici e senza Margherita? Non tutte le domande troveranno una risposta al rifugio, ma in montagna lo attendono nuovi amici, panorami mozzafiato e avventure emozionanti. E poi c’è Katina, la misteriosa ragazza dai ricci color rame che farà crollare ogni sua certezza…

Infine, se cercate libri che raccontano esperienze vissute in montagna, vi segnalo la collana Passi della casa editrice Ponte alle Grazie. Ecco alcuni titoli:

Ora lascio a voi la parola: volete aggiungere i libri che più vi hanno colpito?