Il sapere è pericoloso. – Se lo è veramente, perché vuoi mettermi in pericolo? – gli chiedo io. Perché una vita senza il sapere è come un albero senza rami e foglie, non offre frutti, non fa ombra, è solo un semplice e insignificante pezzo di legno. È come la vita di un pesce che gira in tondo dentro uno stagno tutto il giorno ed è convinto che il mondo sia tutto lì. (pag. 105)

Salam, Maman, di Hamid Ziarati, Einaudi 2006, pagg. 217

Salam, maman è un romanzo di formazione, che racconta la storia di una famiglia iraniana composta dai genitori e quattro figli. Vivono a Teheran, la Teheran degli anni ’70 che vive il regime dispotico dell’ultimo Scia, Reza Pahlavi e che poi, dopo la Rivoluzione, diviene la repubblica teocratica di Khomeini, ayatollah e pasdaran.

Il romanzo è articolato in cinque capitoli di diversa lunghezza; i primi quattro caratterizzati da un incipit-sogno fatto dai membri della famiglia (Alì, la madre, il padre, la sorella Parì), che si conclude con la frase-mantra: “Chiudo forte gli occhi. Li riapro di colpo. Il quinto si apre con la citazione di una sura del Corano e si conclude con la stessa frase, laddove il protagonista Alì vorrebbe che tutto quello che sta accadendo fosse un sogno, mentre è la dura realtà.

La narrazione viene portata avanti con uno stile che utilizza molto i dialoghi – soprattutto nei primi due capitoli -; in questo modo l’impressione che arriva al lettore è di entrare nella quotidianità familiare dei protagonisti, di potere cogliere l’atmosfera e il legame affettivo che tiene uniti tutti i membri di quella che è una tipica famiglia iraniana.

Tutto il romanzo è narrato in prima persona da Alì – il terzo dei quattro figli – e si compone di vari episodi intervallati nel tempo.

Alì è un bambino curioso e attento a tutto ciò che gli succede intorno. Cresce in una famiglia in cui si sente circondato da affetto e attenzioni. Fa mille domande a tutti, ricevendo spesso risposte che non lo soddisfano, per cui tende a mettere in moto la sua fantasia. Il suo punto di osservazione è una precisa scelta dell’autore che conferisce al romanzo l’innocenza necessaria a guardare agli eventi che segnano la storia dell’Iran senza un metro di giudizio formato, ma piuttosto con lo stupore e la voglia di capire di un bambino. Al suo fianco spicca la mamma Parvaneh, una donna di casa dolce ma anche risoluta, guida per tutta la famiglia; poi il padre, Parviz, che fa il tassista e mette la famiglia al primo posto nelle sue scelte. Insieme ad Alì – l’unico ad avere un nome che non inizia con la P – ci sono i gemelli, Puyan e Parì, e la piccola Parvin.

A scandire il trascorrere del tempo è la festa di Nowruz – il capodanno iraniano -, che richiede molti preparativi per organizzare un banchetto degno. Ognuna di queste ricorrenze viene festeggiata in un’atmosfera diversa che, dalla gioia dei primi anni, passa alla tristezza e alla nostalgia causate dalla lontananza degli affetti degli anni successivi.

La prima festa che viene descritta si celebra all’interno di una famiglia felice, regnano allegria e gioia e il forte legame affettivo che unisce i membri della famiglia si palesa fin nei minimi gesti che si rivolgono, negli scherzi e nelle battute. Nel secondo capodanno la famiglia si è allargata, è nata la piccola Parvin, ma la felicità non può essere vissuta appieno perché su di loro incombe una separazione: Parì, la figlia gemella, sta per lasciare il paese per recarsi negli Stati Uniti. Anche il terzo Nowruz viene festeggiato con poca letizia, un po’ in sordina, in assenza delle due sorelle, Parì e Parvin; Puyan, il gemello, che si era trasferito a Londra, è tornato in Iran in qualità di reporter accompagnando l’ayatollah Khomeini nel suo trionfale ritorno in patria, e potendo così presenziare all’arrivo del nuovo anno con la famiglia.

L’ultimo Nowruz è uno dei momenti più tristi e malinconici: non ci sono le figlie, né Puyan. Parì può avere un futuro solo studiando all’estero e Puyan deve lasciare il paese per evitare la leva obbligatoria, in un paese in guerra. E la piccola Parvin non gode di buona salute e in patria le cure potrebbero non garantirle la sicurezza. L’atmosfera casalinga è pervasa dalla mestizia e da un forte sentimento di nostalgia per la lontananza di figli e fratelli.

L’incontenibile curiosità di Alì – prima bambino e poi adolescente -, con le sue domande sparate a raffica che esasperano tutti, funziona come elemento chiave per guardare cosa accade intorno a lui, nel bene e nel male. Le descrizioni del quartiere in cui vivono, della festa del capodanno, delle tradizioni, il viaggio a Isfahan passando per le città sante, rendono molto reale l’ambiente in cui cresce e aiutano a mettere a fuoco questa famiglia in cui i genitori, pur essendo di origini umili, desiderano con tutta la loro volontà un futuro migliore per i figli, la cui chiave d’accesso è l’istruzione.

Attraverso gli occhi di Alì vediamo passare sullo schermo la storia recente dell’Iran. La Rivoluzione del 1979 entra con prepotenza nella loro casa. Il fratello Puyan viene arrestato perché legge libri proibiti e fa parte di un gruppo di attivisti che si oppone alla monarchia. Appartiene ad una generazione di giovani idealisti, sensibili alle ingiustizie e diseguaglianze sociali che segnano il paese, in contrasto con l’opulenza della dinastia regnante. L’esperienza del carcere lo segna nel profondo e a salvarlo è il suo interesse per la fotografia, che diverrà proprio il suo mestiere, una volta raggiunta l’Inghilterra. Sua sorella Parì parte invece alla volta degli Stati Uniti perché vuole proseguire i suoi studi universitari e là sarà raggiunta dalla piccola Parvin.

Alì e i genitori restano invece a Teheran dove saranno testimoni degli eventi: manifestazioni di piazza continue, violenze, arresti in massa e uccisioni, fino alla cacciata dello Scià e alla presa del potere dell’ayatollah Khomeini, e poi ancora violenze e arresti, in una spirale continua. Alì è testimone di eventi così più grandi di lui da riuscire a fatica a comprenderli: non può fare altro che essere uno spettatore.

Salam, maman è un bel romanzo, capace di emozionare e di incuriosire; lo stile di Ziarati mette il lettore in condizione di sentirsi all’interno delle vicende, di partecipare alle sorti dei protagonisti e di venire a conoscenza di cosa significasse vivere quegli anni in Iran. Il succedersi degli eventi che hanno segnato la storia di quel paese fluisce in modo chiaro, e ciascuno può farsi una sua opinione.

Cercando in rete, mi sono imbattuta in un saggio molto interessante, a firma di Alice Miggiano, che vi consiglio di leggere, e dal quale riporto questa illuminante spiegazione sulla diaspora iraniana:

Il romanzo di Hamid Ziarati riprende alcuni dei temi che ricorrono nella maggior parte delle opere della diaspora iraniana: la ricostruzione degli avvenimenti chiave della recente storia dellʼIran contemporaneo, lʼemergere del sentimento di nostalgia causato dalla lontananza, la tendenza ad inserire alcuni tratti autobiografici attribuendoli ai protagonisti delle narrazioni, lʼutilizzo di vari persianismi e i riferimenti ad elementi della attuale cultura persiana come il cinema, la letteratura e la cucina tradizionale, grandi passioni dellʼautore. Ciò che rende originale la produzione narrativa di Ziarati è la sua scelta di raccontare le vicende da un punto di vista perlopiù adolescenziale e dunque volutamente privo di qualsiasi giudizio. Le vicende storiche dell’Iran inserite nella narrazione, ad esempio, non vengono riferite con un intento didascalico, come invece tendono di solito a fare altri autori iraniani della diaspora. Hamid Ziarati ha infatti dichiarato che uno dei principali intenti da lui perseguiti nella stesura dei suoi romanzi, ed in particolare di Salam, maman e di Quasi Due, era raccontare la storia e gli avvenimenti iraniani attraverso gli occhi innocenti di bambini e ragazzi i quali, invece di giudicare come farebbero gli adulti, elaborano gli avvenimenti esterni così come li percepiscono con la loro sensibilità. Questo, secondo Ziarati, è l’unico sguardo che permette di non cadere nella classica retorica contro il regime teocratico giunto al potere con la Rivoluzione Islamica.

La contemporanea diaspora iraniana viene comunemente suddivisa dagli studiosi in due principali ondate migratorie: una precedente e una successiva alla Rivoluzione islamica del 1979. Il primo gruppo di immigrati, partiti dall’Iran tra lʼinizio degli anni Sessanta e la seconda metà degli anni Settanta, era essenzialmente costituito da studenti provenienti da famiglie benestanti che decidevano di intraprendere gli studi universitari allʼestero per una questione di prestigio ma anche incentivati dal governo dello scià che aveva come obbiettivo quello di occidentalizzare e modernizzare il Paese. La seconda ondata migratoria è invece maggiormente legata a questioni politiche: moltissimi iraniani decisero di fuggire perché in dissenso prima con la monarchia Pahlavi e poi con il governo teocratico instauratosi con la Rivoluzione Islamica. Mentre la prima ondata migratoria era composta principalmente da giovani in cerca di buone università, il secondo gruppo, numericamente molto maggiore, era costituito da intellettuali dissidenti, da attivisti politici in fuga per le loro idee contrarie al regime, da singole donne o intere famiglie che sceglievano di non voler sottostare alle nuove regole imposte dal governo teocratico, da membri di minoranze religiose perseguitate, da ragazzi e giovani adulti che decidevano di trasferirsi per evitare di dover andare al fronte durante la guerra tra Iran e Iraq (1980-1988), ma anche da studenti universitari che a tutt’oggi continuano a costituire un gruppo consistente di iraniani residenti allʼestero.

Ziarati

Hamid Ziarati è nato a Tehran il 26 dicembre 1966. Nel 1981, all’età di quindici anni, si è trasferito in Italia ‒ dove già vivevano il fratello e la sorella, entrambi studenti di medicina a Torino ‒ per ragioni mediche, doveva essere operato a causa di una necrosi alla testa del femore della gamba sinistra. Ha fatto ritorno una sola volta in Iran, nel 1991, dopo quasi dieci anni dal trasferimento, ma vi è rimasto solamente per un periodo complessivo di circa cinque settimane. A Torino ha frequentato il Liceo Scientifico Albert Einstein per poi iscriversi, dopo il diploma, al Politecnico, conseguendo la laurea in ingegneria meccanica nel 1994. Appena laureato si è iscritto alla Scuola Holden di Storytelling & Performing Arts a Torino, aperta in quell’anno. È stato proprio uno dei suoi insegnanti della Scuola Holden a proporre, anni dopo, il suo romanzo d’esordio alla casa editrice Einaudi.

Acquisita la cittadinanza italiana nel 2000, ha sposato una italiana dalla quale ha avuto due figli, Dario e Emma, nati rispettivamente nel 2003 e nel 2007. Nel 2006 ha aperto con la moglie un negozio di gastronomia iraniana nel quale si dedica tuttʼora alla preparazione di tipici piatti persiani, alternando questa passione alla professione di ingegnere. Alla passione per la cucina e per la scrittura Ziarati ha da sempre accostato quella per il cinema e per il teatro.

Hamid Ziarati, che definisce la sua una famiglia metà italiana e metà iraniana, alla nascita del suo primogenito dichiarò di aver sentito la necessità di scrivere un libro che parlasse del ricordo e dell’appartenenza alla sua terra: così nacque Salam, Maman (Einaudi, 2006), vincitore dei premi Giuseppe Berto, Marisa Rusconi, Fortunato Seminara e Rhegium Julii, a cui hanno fatto seguito Il meccanico delle rose (Einaudi, 2009), vincitore dei premi Alziator e Paralup della Fondazione Nuto Revelli, e Quasi Due (Einaudi, 2012).