In occasione dei 200 anni dalla scomparsa del poeta inglese – morto a a Roma, il 23 febbraio 1821 – Fazi porta in libreria una nuova edizione (precedente 2014) di:

A passeggio di John Keats, di Julio Cortázar, Fazi editore, collana Le strade 2021, pagg. 672

Cerco cose, ne ricordo altre, torno alle poesie, e inoltre vado e vengo, voglio, gioco, lavoro, spero, mi dispero, vaglio. E tutto fa parte di Keats, perché non scriverò su di lui ma camminerò al suo fianco e, finalmente, farò di ciò un diario. Un progetto istantaneo intitolato: Diario per John Keats.

Si tratta dell’opera più misteriosa di Julio Cortázar: scritto in solitudine a Buenos Aires all’inizio degli anni Cinquanta e pubblicato volutamente postumo come omaggio a un poeta che, scomparso giovanissimo, solo dopo la morte ottenne la sua consacrazione, è un libro talmente ricco da sfuggire a qualsiasi catalogazione.

È sia un saggio, un acutissimo esercizio di critica letteraria – perché solo un poeta può arrivare al cuore vivo e pulsante della poesia di un altro poeta e scriverne senza ridurlo a nozionismo da accademia – sia un romanzo, la storia di un personaggio di nome Julio Cortázar che, chiuso nella sua stanza, all’ultimo piano di un palazzo di calle Lavalle, a Buenos Aires, notte dopo notte, scrive di Keats, e intanto pensa, divaga, ricorda, compilando a margine del suo libro una sorta di zibaldone.

È un’opera-mondo: al centro c’è Keats, la sua vita, la sua poesia, ma ci sono anche Buenos Aires, i profumi e le luci della metropoli argentina e le vastità buie e sterminate della pampa oltre i suoi confini, e i poeti amici di Cortázar, i loro versi e le loro discussioni alle tre di notte.

C’è l’Italia, ci sono Roma, Siena, Venezia, ma anche Genova e Napoli, perché pochi sono riusciti a catturarne l’essenza – i silenzi delle campagne, perché «tutta l’Italia è silenziosa», i colori delle stagioni, l’odore dei vini – come fece Cortázar nei suoi viaggi giovanili, così simili a quelli di Keats attraverso la Scozia. E c’è l’amore, quello che Cortázar scopre quando comincia a leggere le lettere tra John e Fanny Brawn.

Il risultato è un’opera fondamentale su Keats ma anche un libro-rivelazione su Cortázar, perché la sensazione è che, scrivendo del poeta inglese, l’argentino stia anche delineando un proprio alter ego con il quale, al netto dell’oceano che divide Buenos Aires e Londra, condivide una certa idea della vita, della scrittura e della missione poetica.


Prendo sottobraccio Keats, atteggiamento più naturale per conoscerlo rispetto all’altro, così frequente, in base al quale issano il poveretto su una nuvola, mentre il critico riunisce sedie e tavoli per edificare una piattaforma di cui non c’era il benché minimo bisogno. Non sono un gran lettore di Maurois, ma mi è sempre piaciuto il suo approccio a Shelley quando parla di Ariel: secco, chiaro, cordiale, mai sdolcinato. Non c’è un libro così su Keats, forse perché, come Baudelaire (ma qualsiasi accostamento di nomi non si deve intendere a mo’ di collegamento estetico; se parlando della Contessa di Noailles mi ricordo da qualche parte di Damon Runyon, non bisogna perdere il sonno cercando delle corri­spondenze), la sua presenza è più letteraria (poesie e lettere) che personale, finché il contatto con questa letteratura restituisce l’uomo nella sua totalità, in quanto la totalità di un poeta è sottomettersi alla sua poesia, ridurlo tutto a essa, esserla (Dio mio, salvami dalla metafisica).

Il disordine non cercato ma neppure aborrito che ci sarà in questo libro deriva, da un lato, dal fatto che un materiale variegatissimo attende il suo turno, il ricordo o la casualità per infiltrarsi, e, dall’altro, dal fatto che mi diverte di più scrivere quando ho voglia di farlo e questo può accadere mentre sto mangiando un’arancia, ascoltando una suite di Bach o facendo una gita a Berisso. Poi mi succede che l’handling dei materiali da usare schedari (ricordo della Universidad Nacional de Cuyo, dove tenni un corso su Keats e Shelley, così felici entrambi sotto quel cielo brillante, quei pioppi italiani, quelle nuvole per le odi) quaderni (che confusione! azzurri, verdi, rotti, sporchi, spiegazzati) fogli sciolti libri libri libri. E io, petulante e desideroso di dire che questo è così e che tizio non ha ragione quando sostiene che Leigh Hunt – ma ci arriveremo! Che fretta c’è alla fin fine?