L’America, e con questa espressione per antonomasia si intende il Nord America, ed esattamente gli Stati Uniti, mantiene il suo primato come potenza mondiale, anche se la Cina glielo sta contendendo a spron battuto. Il sogno americano è parte integrante della cultura della nazione, anzi forse ne è simbolicamente l’immagine più universalmente nota. Ma gli Stati Uniti sono una realtà complessa, lacerata da molte contraddizioni.

L’America è una nazione di nazioni, diceva il presidente Lyndon Johnson. Gli Stati Uniti sono ricchi di contraddizioni culturali e sociali: un paese in cui da un lato la pena di morte è in vigore, e dall’altro ci si fa bandiera dei diritti umani, ad esempio approvando i matrimoni gay. Nella costituzione si sancisce la parità ed opportunità degli individui, ma poi sanità ed istruzione sono a pagamento; di fatto è una società multiculturale e multietnica, ma non si è certo liberata dal razzismo. Se da un lato i patrimoni dei tycoon, accumulati attraverso un’imprenditoria aggressiva, fanno ancora sognare il mito del self-made man, dall’altro il progressivo impoverimento del ceto medio, la precarietà e la mancanza di una previdenza sociale che sostenga i cittadini, fanno cadere il velo di ipocrisia che ancora avvolge il concetto di benessere diffuso. E quando la povertà aumenta, le tensioni sociali la seguono di pari passo.

Per guardare a questi aspetti e provare a fare delle riflessioni, vi suggerisco alcune letture:

Isenberg white trash

“If slavery is America’s original sin, class may be its hidden one.” (Washington Post)

Nancy Isenberg, professoressa di storia alla Louisiana State University, ha creato un duro e vasto assalto a uno dei miti americani, quello per cui il destino delle persone non è predeterminato alla nascita, ma bensì è il frutto di una conquista personale. Quella statunitense è essenzialmente una società di classe, sostiene, esaminando gli emarginati rurali bianchi che i politici da Andrew Jackson a Donald Trump hanno cercato di radunare, ma che per il resto sono rimasti diffamati, evitati, presi di mira e tenuti separati, sia fisicamente – nelle case dei poveri e nei parcheggi per roulotte, attraverso la scienza eugenetica e una politica pubblica discriminatoria – sia nell’immaginario culturale della nazione, dove hanno ispirato derisioni, kitsch e smorfie incessanti.

“Waste people. Offscourings. Lubbers. Bogtrotters. Rascals. Rubbish. Squatters. Crackers. Clay-eaters. Tackies. Mudsills. Scalawags. Briar hoppers. Hillbillies. Low-downers. Degenerates. White trash. Rednecks. Trailer trash. Swamp people.”

La storia degli Stati Uniti, fin dalle origini, è segnata non solo dal tema della razza, ma anche dalle divisioni di classe. Accanto ai puritani del New England e al loro sogno di una «città sulla collina», o ai grandi proprietari schiavisti del Sud, la colonizzazione del Nordamerica è stata scandita sin dal Seicento dall’arrivo di masse di poveri e derelitti, servi a contratto chiamati a riconquistare la propria libertà attraverso il lavoro, ma destinati a rimanere senza terra o case di proprietà per tutta la vita, trasmettendo ai propri discendenti un retaggio di miseria e risentimento.
Spaziando dalla retorica alle azioni politiche, dalla letteratura popolare alle teorie scientifiche e ripercorrendo quattrocento anni di storia americana, Nancy Isenberg mette in discussione l’immagine degli Stati Uniti come società senza classi – nella quale la libertà e il duro lavoro garantirebbero la mobilità sociale – e racconta dalla prospettiva dei white trash i grandi eventi che hanno segnato l’America: dalla Guerra di Secessione alla segregazione razziale; dal New Deal a Donald Trump.

Haigh america sottosopra

Un ampio quadro dell’America rurale contemporanea, che spera sempre nel miracolo del sogno americano nonostante le ripetute delusioni.

Siamo in Pennsylvania, una terra che «più di qualunque altra è ciò che giace nel suo sottosuolo». Fino a una quarantina di anni fa gli abitanti di Bakerton hanno vissuto, anche se non proprio prosperato, sull’estrazione del carbon fossile. Chiuse le miniere, la città si è sciolta come neve al sole. Fino a quando una grossa società si accorge che sotto i campi coltivati si estende un enorme giacimento di gas naturale, estraibile con la nuovissima tecnica del fracking, e manda i suoi emissari a percorrere il territorio per convincere gli agricoltori, poveri e arrabbiati, a cedere i loro appezzamenti per cifre molto molto allettanti. Nessuno di chi vende si rende conto che gli scavi procureranno ogni sorta di guai alla comunità. Guai che cominciano subito, con l’arrivo delle squadre di operai incaricati di scavare. A loro volta poveri e arrabbiati per la vita grama nei dormitori, la lontananza dalle famiglie, i turni di lavoro disumani. E l’ostilità della popolazione. Si rischia la guerra dei poveri. Ma Haigh ha la mano leggera, e un grande talento nel raccontare storie di povera gente senza eccessivi realismi, e senza sentimentalismi, mantenendo una lodevole equidistanza dalle due «fazioni», e dando vita ad un romanzo corale. C’è una guardia carceraria con una famiglia difficile; un’altra piccola famiglia, gay, dedita all’agricoltura biologica, che vede sfumare anni di lavoro; il capo degli operai che si innamora della «pastora» di una neo-chiesa, vedova di una vittima dell’incidente nucleare di Three Mile Island, avvenuto decenni prima, sempre in Pennsylvania… È una storia che si potrebbe trasporre dovunque: inquinamento e distruzione del territorio e della salute dei suoi abitanti versus il benessere economico degli stessi abitanti

Vance elegia americana

J.D. Vance  ha scritto questo romanzo prima della vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane raccontando proprio quella “pancia” dell’America che ha visto in Trump il proprio paladino. La geografia del tycoon, popolarissimo proprio negli Stati della rust belt, nelle pianure del Midwest e tra le comunità dei Grandi Appalachi, coincide perfettamente con quella raccontata in Elegia americana, il cui successo, agli occhi dell’opinione pubblica, ha trasformato l’autore in un ricercatissimo esperto di ragioni sociali e politiche. J.D. Vance, avvocato, nato e cresciuto tra la contea povera e spopolata di Jackson, in Kentuky, e la problematica Middletown, in Ohio, logorata oggi dall’eroina che nel 2016 ha causato più vittime della morte per cause naturali. Come lui, i suoi personaggi sono tutti hillbilly, (burinimontanari): emarginati nel loro immobilismo sociale, “maledettamente tosti”, pervasi da valori culturali violenti, misogini e xenofobi ma fortemente solidali al loro interno. Sono gli americani di terza o quarta classe, depositari di un proprio senso dell’onore e alfieri di una giustizia che si fa da sé, a suon di cazzottate e schioppettate. Un cocktail esplosivo che ha riconosciuto in Trump il proprio linguaggio e la propria rabbia verso le élite di New York e Washington, ree di averli dimenticati.

J.D. Vance non fa un’analisi politica. Le responsabilità politiche ed economiche gli interessano meno di quelle sociali e culturali. In questa storia non ci sono buoni o cattivi. C’è solo una banda sgangherata di hillbilly che cercano la propria strada. È il crudo spaccato di una memoria familiare, di un’intima confessione autobiografica. “Per capirmi – scrive Vance – dovete rendervi conto che sono veramente un hillbilly di origine scozzese e irlandese, un autentico uomo delle colline”. La dimensione familiare, burrascosa e violenta, è il tratto distintivo del racconto. Una madre instabile, dipendente dai farmaci e dalle droghe. Figure paterne che vanno e che vengono, che scompaiono e che ritornano. Le speranze di una vita normale, per J.D., evaporano presto. Alla fine, però, il riscatto lo attende: non per fato, né per merito personale, ma per la perseveranza di mamaw e papaw, i nonni materni a cui va la dedica in apertura. Due vecchi hillbilly che tengono una pistola carica nella tasca del cappotto o sotto il sedile dell’auto. Sono loro che tengono a bada i mostri del piccolo J.D. e che offrono uno scoglio sicuro a cui aggrapparsi. Sono i veri eroi di un mondo, raccontato senza cinismo o indulgenza, che non prevede eroismi: quello del proletariato bianco d’America.

Cha la tua casa pagherà logo

Steph Cha col suo romanzo, un avvincente thriller psicologico, ci mostra l’America vittima del razzismo che quasi ogni giorno balza alle cronache con episodi cruenti. Cha scrive un racconto teso e romanzato dell’uccisione di Latasha Harlins nel 1991 a South Los Angeles. Il romanzo è ambientato a Los Angeles, nell’estate del 2019 dove le tensioni sono all’apice dai disordini del ’92. Tensioni mai sopite, a causa di episodi che si ripetono e che, questa volta, sono legati ad una sparatoria della polizia che ha coinvolto un adolescente nero di nome Alfonso Curiel e che ha infiammato la rabbia ribollente. Voi direte: ma questa è storia dei nostri giorni! Lo è, infatti, una lunga storia, una lunga scia di violenze e ingiustizie che rendono il clima infuocato. Nel romanzo, a seguito dell’omicidio del ragazzo e dell’assoluzione del poliziotto che l’ha ucciso, le proteste scoppiano in tutta la città. In questo contesto, i destini di due famiglie – una afroamericana e l’altra coreana americana – si scontrano nel racconto di una città sconvolta dal razzismo, dalla violenza e dall’ingiustizia sociale. Un uomo nero e una donna coreana, il passato che si insinua prepotente nelle loro vite, mentre i confini tra l’intimità della loro storia e la risonanza pubblica della vicenda si fondono, scatenando pericolose conseguenze. (la mia recensione)

Heartland logo

Combinando l’analisi sociale e ambientale a uno sguardo intimo, Heartland riflette sui concetti di classe e identità, e su cosa significhi possedere meno di niente in una nazione fondata sul valore dell’abbondanza a ogni costo.

Discendente da cinque generazioni di agricoltori, Sarah Smarsh ci introduce alle vicende della sua famiglia per tratteggiare una storia molto più condivisa. Attraverso il racconto della sua infanzia e della vita dei suoi parenti, l’autrice ci invita a comprendere le dinamiche sociali della classe media negli Stati rurali d’America, dove si produce il fabbisogno alimentare di un Paese intero, senza che i lavoratori possano di fatto goderne. Emancipatasi da questa terra di mestieri umili e dimessi, alla quale da troppo tempo gli Stati Uniti guardano con sufficienza, Smarsh si svincola anche dall’eventualità di una gravidanza adolescenziale, una consuetudine che da generazioni sconvolge la vita delle donne della sua famiglia. Rivolgendosi a questa figlia mai nata, trova finalmente la serenità necessaria per raccontare che cosa succede quando il sogno americano si inceppa.

L’ultimo libro che vi propongo è balzato alla notorietà grazie al film che ha ispirato, vincitore di numerosi premi e di cui vi ho parlato qualche giorno fa.

Bruder Nomadland logo

Nomadland è un “racconto d’inchiesta”, il lavoro accurato e accorato di una giornalista sugli americani in età matura, a basso reddito che si guadagnano da vivere guidando da un posto all’altro per un lavoro stagionale. Dall’inizio della sua immersione in una sottocultura per lo più invisibile, l’autrice chiarisce che i nomadi, molti dei quali anziani, rifiutano di considerarsi “senzatetto”. Piuttosto, si riferiscono a se stessi come “senza casa”, in quanto non sono più gravati da pagamenti ipotecari, riparazioni e altri inconvenienti, e discutono di “proprietà su ruote” invece di proprietà immobiliari. La maggior parte di loro non ha perso la casa volontariamente, essendo stata vittima di frode ipotecaria, perdita del lavoro, debito sanitario, divorzio, alcolismo o una combinazione di questi e altri fattori. Di conseguenza, dormono nelle loro auto o van o in camper acquistati a buon mercato e cercano di trarre il meglio dalla situazione.

Linda May e i suoi compagni di viaggio, dopo anni in cui hanno svolto svariati lavori, alcuni dei quali anche complessi, tendono a trovare lavori fisicamente impegnativi e a basso salario nei magazzini di Amazon, che cercano aggressivamente lavoratori stagionali attraverso il programma di reclutamento chiamato “CamperForce program”, o nei campeggi, o nei siti di raccolta delle barbabietole da zucchero o fragole e simili. Da una costa all’altra, fin negli stati più interni, si incontra questa forza lavoro.

Copertina, photo credits: A man walks by a vacant house in a once-vibrant neighborhood of Detroit. REUTERS/ Rebecca Cook