È inutile. Questo libro è nato male. Non ci sarà mai niente che lo tiene insieme. Non diventerà mai un libro compiuto. È tutta una minutaglia di schegge scritte nell’arco di vent’anni che nessun editore pubblicherà mai. Passare dall’una all’altra è un’acrobazia. Eppure ogni frammento mi pare in sé compiuto. O perlomeno la maggior parte. Devo per forza buttarli via tutti, visto che non seguono un disegno d’insieme? Esiste ancora un lettore intermittente come io sono uno scrittore intermittente?

Acrobazie. Storie brevi e brevissime, di Alessandro Trasciatti, Il ramo e la foglia Edizioni 2021, pagg.87, con disegni dell’autore

Questo breve quanto acrobatico libro mi è capitato sotto gli occhi per una concatenazione di spunti: la bellissima recensione di Benny su Il verbo leggere, la segnalazione dell’uscita da parte dell’editore, e, last but not least, il fatto che l’autore sia nato a Lucca. Per le cronache, la mia città natale.

Ora, sebbene sia difficile misurarsi con testi di questa natura, voglio parlarvi di questo libro perché capita di rado di imbattersi in un’opera che esce dagli schemi e che solletica così tanto la nostra immaginazione. Dunque, se vi riconoscete nella definizione di lettore intermittente o se siete almeno incuriositi dalla domanda che apre le danze, non potete che avventurarvi tra le stanze di questo immaginario maniero, e aprire con cautela tutte le porte.

Il lettore intermittente è per sua natura portato a divagare, a perdersi nei suoi pensieri, e ricordi, e sogni, e…. insomma a rivoltare sé stesso dentro fuori, a cercarsi – come nelle tasche senza fondo di un vecchio cappotto – in ogni angolo recondito del proprio stare nel mondo. Legge e si immagina personaggio nella storia che un narratore sta raccontando. È giocoforza che s’intenda con l’autore intermittente che abita questo volume, che ci sia un gioco di specchi in cui i due – narratore e lettore – si osservano, che a braccetto si tirino ciascuno per la giacca dell’altro, aprendo le ante di quell’armadio-memoria che, a volte con soverchie fatiche, ci portiamo sulle spalle arrancando per le vie tortuose – e di solito in salita – delle nostre vite. Vite che lo scrittore abita sotto identità diverse: ora giovane in viaggio a Praga, nelle pagine successive compare una moglie, e poi ancora tornare bambino, mischiando queste identità che sono come le facce diverse dello stesso dado. E poi lo sguardo si fissa sullo spazio domestico in cui gli oggetti ci appaiono per la prima volta, ma erano proprio gli stessi su cui posavamo lo sguardo ieri? Sono diventati altro? E possiamo dialogare con loro?

Mi piace inoltre, nelle notti più fredde di questi inverni boreali, intavolare dispute accademiche coi termosifoni della casa, accanirmi contro la superficialità degli armadi, molestare le poltroncine imbottite, bere vin brûlé ed arringare i lampadari. (pag.21)

Come un semaforo lampeggiante, la penna (o il cursore, vedete voi) illumina a intervalli; è un fascio un po’ disomogeneo, come interrotto da qualche oggetto che si frappone nel cono di luce, che coglie una scena in apparente immobilità quando è illuminata (tipo un due e tre stella), ma che poi è tutto un sobbollire di movimento quando è al buio, per tornare sotto il fascio diversa e trasformata in qualcos’altro, eppure simile a ciò che era.

Alessandro Trasciatti accoglie il lettore con un ventaglio di storie che non seguono un ordine preciso, o almeno, così appare al lettore; come in quel gioco in cui ciascuno dice una parola che termina con una sillaba, che il giocatore successivo deve usare come inizio della sua parola. C’è una regola – la sillaba da rispettare – ma poi si va per associazione di idee, per rimandi e suggestioni. Così qui, in questo libro labirintico, un pensiero-sillaba si concatena con quello successivo, e via così, a perlustrare “segnali di vita”, pur sapendo, che è sempre “colpa dei pensieri associativi.

E come accade di fronte agli eteronimi di Pessoa, ecco una galleria di “io” che, in fogge diverse, ci riconducono sempre ad un – apparente – punto di partenza. E poi rimandi letterari, riflessioni, pensieri divaganti, a volte nostalgici, fughe oniriche e nel futuro e deja vu. Casi di “ipertrofismo onirico”, “asinini”, “d’amore”…. Fantabiografie…

Le mie notti non sono colorate. Nere come pece si allineano pesanti l’una accanto all’altra. Le ricordo tutte, anche quelle della prima infanzia. La mia memoria è carica di migliaia di sogni, tutti registrati e archiviati cronologicamente. Sono un prodigio, me lo hanno detto tutti: amici, medici che mi studiano come caso clinico, nipotini che incanto con i miei racconti onirici. Ma non me ne vanto, anzi, preferirei una condizione meno eccezionale che, però, mi consentisse di godermi la vita. Infatti, se non va perduto neanche un briciolo dei miei percorsi mentali notturni, non rammento quasi niente di ciò che vivo di giorno. (pag 50)

Insomma, le acrobazie spericolate di questo funambolo della parola tengono col fiato sospeso, fanno intravedere possibilità e assonanze, innescano cortocircuiti della memoria e, spesso, fanno pensare “vorrei avere scritto io queste parole”:

Recuperare l’arte dell’epistola (..) È anche bello questo sentirsi e non vedersi, o questo vedersi sul monitor di un computer o di un telefonino come in un film di fantascienza. Ma vergando la carta con l’inchiostro vengono alla luce cose che non si riescono o non si possono dire altrimenti. Il destinatario è lontano e allora capita di allentare i lacci inibitori e si parla un po’ a se stessi scoprendoci di più. Il foglio finisce per portare sulle spalle pesi estranei alla conversazione, sensi speciali, significati che sfuggirebbero con lo svanire della voce. C’è un che di assertivo e perentorio nel messaggio che deleghiamo alla grafia, un che d’irreversibile nel lasciare cadere la busta nella buca, una specie d’avventura che si accompagna sempre ad un rimorso. Eppure, della lettera, questo spazio viaggiante che usiamo ormai quasi per gioco, non avvertiamo più la necessità, la densità, l’urgenza. Vorrei che tornassimo a scriverci con lo spirito del naufrago che affida la sua sorte ad un messaggio in bottiglia. (pag. 21)

Alessandro_Trasciatti

Alessandro Trasciatti è nato a Lucca nel 1965. Francesista di formazione, ha lavorato prima come archivista e postino, poi come editore dei Libratti, collana di letteratura illustrata nata dal blog Il Trasciatti – lunario inattuale di letteratura e desueta umanità. Tra le sue pubblicazioni troviamo Prose per viaggiatori pendolari (Mobydick 2002), Il dottor Pistelli. Una vita in ritardo (Garfagnana 2013), Avevo costruito un sogno. Storie e fatiche di un postino artista (Ediesse 2014), Scampoli (Oèdipus 2017). Negli anni ha scritto per diverse riviste letterarie e non, tra cui Il Grandevetro, Sinopia, Poesia, Paragone, Gente Viaggi; suoi testi sono apparsi anche su spazi online come La Balena Bianca, Altri Animali, NiedernGasse. Attualmente collabora con Nuova Tèchne – rivista di bizzarie letterarie e non (Quodlibet).