Dal mio letto sento l’acqua battere sui vetri e i tuoni scoppiare in lontananza, ma l’aria è calda e sotto le lenzuola mi sento soffocare. Dapprima tutti mi volevano e adesso nessuno. E se nessuno mai mi vorrà bene, mica potrò volermi bene da sola. Siedo in mezzo al letto con la faccia tra le mani. Se fossi nata maschio come Cosimino, avrei potuto restare con me stessa e non appartenere a un uomo. Invece sono nata al femminile e il femminile singolare non esiste, anche se la maestra Rosaria non ci credeva. (Pag. 132)

Oliva Denaro, di Viola Ardone, Einaudi collana Stile libero 2021, pagg. 303

Dopo Il treno dei bambini – romanzo che ha riscosso grande successo, in corso di traduzione in trentaquattro lingue e dal quale sarà tratto un film – e di cui vi ho parlato in questa recensione, esce ora il nuovo romanzo dell’autrice e, personalmente, credo che Viola Ardone abbia addirittura superato se stessa. Oliva Denaro è un romanzo di formazione e di denuncia bellissimo, di quelli che vanno dritti al cuore, raccontando un’Italia passata, forse non del tutto. Un’Italia che è riuscita a cambiare, grazie alla tenacia con cui certe battaglie – politiche, sociali e giuridiche – sono state portate avanti. E vinte. Nel 1981 è stato abrogato l’articolo 544 del codice penale che estingueva il reato per gli stupratori: infatti, per “riparare” la violenza bastava sposare la vittima e il reato veniva cancellato, anche se la vittima era una minorenne. Bisogna però ricordare che fino al 1996 la violenza sessuale era considerata un delitto contro la morale e non contro la persona e fino a quarant’anni fa vigeva ancora la legge del delitto d’onore che prevedeva uno sconto di pena in caso di femminicidio se l’assassino uccideva perché “ferito” nell’onore. Ora, se è vero che a livello di giurisprudenza sono stati fatti passi avanti, le cronache tutti i giorni ci dicono tutt’altro.

La lettura di questo romanzo, oltre a coinvolgere emotivamente, fa molto riflettere su queste tematiche e dunque lo consiglio a tutti.

«Le donne! Ma perché devono essere sempre declinate al plurale per ricevere considerazione? Agli uomini basta essere uno per valere qualcosa, con nome e cognome. Noi invece dobbiamo metterci in riga a formare una schiera, come fossimo una specie a parte. (..) Perché per noi è difficile, Maddalena? – chiesi, tenendo gli occhi chiusi per negare alle lacrime la via di uscita. – Perchè abbiamo bisogno di battaglie, di petizioni, di manifestazioni? Di bruciare i reggiseni, di mostrare mutande, di implorare di essere credute, di controllare la misura delle gonne, il colore del rossetto, la larghezza dei sorrisi, l’impellenza dei desideri? Che colpa ne ho io, se sono nata femmina? (Pag.260-261)

Il romanzo è suddiviso in quattro parti e prende inizio nel 1960, quando Oliva Denaro ha quindici anni, per terminare vent’anni dopo, quando nella quarta parte, attraverso le voci alternate di Oliva e di suo padre, scopriamo come la sua vita è proseguita.

Oliva Denaro vive con la famiglia in un paesino della Sicilia, di quelli dove tutti si conoscono e si parlano alle spalle, di quelli dove l’onore si misura in modo diverso tra maschi e femmine, e dove una ragnatela di regole imprigiona tutti in un gioco di ruoli già assegnati. La famiglia di Oliva è composta dal padre, un contadino siciliano di modeste condizioni e dalla madre, una calabrese che si è sposata contro la volontà della famiglia, con la classica fuitina. Con loro vive il fratello gemello Cosimino mentre la sorella più grande, Fortunata, è sposa infelice di un uomo che la tiene segregata in casa con le botte.

Fin da piccola conosce le regole di come si deve comportare una femmina, grazie a sua madre – custode e carceriera – che gliele ripete ossessivamente, soprattutto quelle riguardo ai rapporti con i maschi: «la femmina è una brocca, chi la rompe se la piglia». Il padre è uomo più di silenzi che di parole e senza pregiudizi; nella sua semplicità sa però piazzare le parole giuste al momento giusto. Oliva all’inizio fatica a decifrarle, sono più chiare quelle che, come sentenze, pronuncia sua madre, ma poco a poco ne comprenderà tutto il valore.

A quindici anni Oliva non ci pensa ai maschi; le piace studiare e imparare parole difficili, correre «a scattafiato», disegnare di nascosto su un quaderno i volti delle stelle del cinema (al cinema naturalmente le femmine non ci possono andare, perché i film «fanno venire i grilli per la testa»), cercare i babbaluci (le lumache) e le rane con il padre da vendere poi al mercato, tirare pietre con la fionda a chi schernisce il suo amico Saro. Non le piace invece sapere che le arriverà «il marchese», perché da quel momento in poi la sua vita cambierà, non potrà più fare le cose che le piacciono, e dovrà difendersi dai maschi affinché la brocca arrivi intatta al matrimonio.

Da quando sono diventata femmina, sto come sotto una tettoia durante un temporale: non mi allontano per non bagnarmi. A casa di Saro non ci posso andare. Al mercato non ci posso andare. Da Liliana non ci posso andare. (..) Cosimino mi segue fino a scuola ogni mattina e viene a prendermi all’uscita. Tra poco, con l’arrivo delle vacanze estive, resterò tutto il giorno in casa a ricamare i corredi delle altre e ad aspettare che qualcuno mi chieda. (Pag. 63)

Ad Oliva piacerebbe continuare a studiare, diventare maestra come la sua maestra Rosaria – cacciata dal paese perché ritenuta una sbrigugnata – e, assecondata dal padre, riesce a farsi iscrivere alle magistrali. Non le interessano i pettegolezzi delle comari, gli sguardi dei ragazzi, ma è turbata dagli occhi di un ragazzo molto più grande di lei – il bello del paese – che la seguono sempre, dalla pasticceria dove andava fin da bambina, per la via, fin sotto casa. Oliva non si vede ancora come una donna, il suo corpo secco, i suoi capelli un po’ arruffati, le danno l’impressione di essere brutta, come si vede in una foto che le ha scattato di nascosto Liliana, la sua unica vera amica, figlia del comunista del paese, che sua madre non vuole assolutamente che lei frequenti. Tuttavia le attenzioni insistenti di Paternò – figlio di una famiglia influente – le fanno provare sentimenti contrastanti: l’emozione che la coglie quando lui la osserva con malizia e insistenza, e l’istinto di stargli alla larga, poiché percepisce nel suo sguardo una volontà di sopraffazione. Oliva per lui non è altro che una preda da conquistare, e anche di fronte ai suoi tentativi di allontanarlo, non si arrende, perché essere rifiutato non rientra nella sua mentalità.

Così, di fronte all’opposizione di Oliva, sostenuta dal padre, Paternò organizza il rapimento della ragazza e, dopo averla ridotta in stato di prostrazione fisica e mentale, la stupra. Atto per lui del tutto naturale, in quanto deciso a porre rimedio sposando la ragazza, come la legge prevede e la consuetudine sancisce. Ma, contro ogni previsione, Oliva rifiuta il matrimonio riparatore e, appoggiata dai familiari, dall’amica Liliana e da suo padre, decide di affrontare la sua battaglia per esercitare la libertà di scegliere.

Una decisione sofferta la sua, inizialmente osteggiata dalla madre, criticata dalle comari, dalla perpetua e dal paese tutto, sconsigliata persino dall’amico di suo padre, comandante dei carabinieri; Olivia soffre e si sente in bilico tra sentimenti contrastanti, sostenuta però dalla presenza del padre, dalla sua resilienza e saggezza semplice, dal suo amore. Oliva è cosciente del fatto che la sua decisione avrà un impatto non solo sulla sua vita, ma anche sulle sorti della famiglia, presa di mira da quella dei Paternò che farà di tutto per ridurli sul lastrico e sprofondati nella vergogna. Al suo fianco si materializza una donna amica di partito di Calò, il padre di Liliana, Maddalena Criscuolo, che già avevamo conosciuto ne Il treno dei bambini.

Non dirò di più sugli sviluppi della storia che, vi assicuro, vi coinvolgerà e vi terrà incollati alle pagine a seguire le sorti di Oliva Denaro (nome e cognome sono l’anagramma di quelli dell’autrice..). Oltre ad essere un romanzo di denuncia rispetto alla violenza e ai condizionamenti che la società patriarcale esercitavano sulle donne, questo è un romanzo di attento approfondimento psicologico e di delicata attenzione ai sentimenti. Scritto in prima persona, dalla voce di Oliva, tranne nell’ultima parte dove la sua voce si alterna con quella del padre, il libro è intenso e riesce a dare voce ai sogni di una ragazzina, alla sua amarezza e al suo dolore, a tutto ciò che la sua scelta contraria alla morale comune può comportare. L’autrice riesce a rendere vera la voce di Oliva sia da ragazzina che da donna, così come il ritratto di una società dipinto a colori forti e precisi.

-Oliva, non provare timore: è come andare a babbaluci – dice mio padre, – ci vuole pazienza e intelligenza, perché pure i molluschi, così come certi individui privi della colonna vertebrale, hanno un talento: quello di nascondersi per non farsi pigliare. Però è talento da vigliacchi. (Pag. 244)

Come già si era visto ne Il treno dei bambini, anche in questa opera è evidente il grande lavoro di cesello che Ardone fa nell’uso della lingua; la scelta del linguaggio, preciso non solo per rendere inflessioni ed espressioni linguistiche a livello geografico, ma nell’adattarsi, come un abito su misura, alle personalità e alle età di protagonisti e comprimari. C’è un grande senso del ritmo nella sua scrittura, che scandisce i capitoli come un metronomo, rendendo scorrevole e avvolgente la lettura. Le scelte linguistiche che stanno alla base sono ciò che danno concretezza agli sguardi, agli ammiccamenti, al disagio di Oliva, al veleno delle malelingue, alla saggezza del padre, al conformismo timoroso della madre. Parole che pungono come vespe, che sporcano, che distorcono; ma che sanno anche lenire e indicare la strada. Bisogna essere veramente bravi ad usarle in questo modo.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.