Sarebbe bello avere lo stesso occhio per la vita. Un volo d'uccello sulla propria storia, passata e presente, che ti permetta di fare anche una proiezione per il futuro, di capire le cose prima che accadano. O forse no. Ti condannerebbe a restare fuori dalle cose, come chi non trova mai le chiavi di casa.
Nina sull’argine, pag. 121

Nina sull’argine, di Veronica Galletta, Minimum fax 2021, pp. 223

Stavo leggendo il bel romanzo di Veronica Galletta quando è accaduto il disastro delle Marche, dove le forti piogge hanno fatto esondare un fiume, causando morte e distruzione. L’ennesima tragedia figlia della mala gestione del territorio. Quando ho appreso la notizia, oltre al dolore e alla rabbia, ho provato un sentimento di ammirazione letteraria per la protagonista del romanzo che rappresenta tutti coloro che cercano, con il loro lavoro, di prevenire proprio situazioni come queste. Persone che saprebbero come fare, e lo farebbero anche bene, se il malcostume, la corruzione e tutti i vari isterismi collettivi non gli mettessero i bastoni tra le ruote.

Veniamo al romanzo, che è stato anche finalista allo Strega di quest’anno.

La protagonista del romanzo è Caterina Formica – Nina, come la chiama Pietro -, siciliana, ingegnere civile; dipendente di un ente pubblico, dopo che il suo ufficio è stato decimato dagli arresti per corruzione, si libera da un capo che la maltratta e le affida solo beghe da ufficio, e finalmente ottiene il suo primo incarico importante. Un cantiere, un vero cantiere dove si devono realizzare i lavori di costruzione di un argine fluviale per la messa in sicurezza di un abitato. Siamo nella pianura padana verso le montagne, un territorio solcato da mille corsi d’acqua, nella frazione di Spina. Caterina rappresenta lo Stato e deve relazionarsi con il direttore dei lavori, con l’assessore ai lavori pubblici, con un funzionario della Provincia, col rappresentante del Comitato locale. E con alcuni cittadini che proprio non ne vogliono sapere di questa opera e si mettono di traverso.

Buongiorno, signora.
Ingegnere.
Signora mi sembrava più gentile.
Non siamo qui per scambiarci gentilezze.
Ha ragione sa? E' giusto tenere al proprio titolo.
Non è un titolo nobiliare. E' il lavoro che faccio. Ingegnere.
Nina sull’argine, pag.12

Appena mette piede sul luogo, Caterina incontra il geometra dell’Impresa che ha ottenuto i lavori e l’assessore del piccolo comune; dopo di loro incontrerà le maestranze, i tecnici e via discorrendo. Un universo tutto al maschile, che la vede quasi come un corpo estraneo, un manipolo di nostalgici che non la ritiene all’altezza di dirigere un cantiere così complesso, che preferirebbe confrontarsi con un uomo. Ma Caterina non si lascia intimidire. Anzi, ci tiene a che tutto vada secondo le regole ed è pronta ad affrontare tutti gli ostacoli che le si presentano.

Caterina si è preparata all’università, ha studiato tutto per filo e per segno ma ora deve mettere in pratica tutto ciò che prima era teoria. E deve farlo da sola, può fidarsi solo di se stessa anche laddove l’inesperienza pratica le pone mille dubbi. Questo è il suo primo incarico importante, è un cantiere grosso su cui, come è normale, si abbattono ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, le responsabilità per la sicurezza degli operai. E un contraddittorio che oscilla tra alti e bassi, tra momenti di scontro e attestati di stima, con il geometra Bernini e l’assessore.

Il cantiere inizia a fine estate, il che comporta per Caterina viaggi lunghi sotto la pioggia battente, immersi nelle nebbie autunnali, prima, su strade ghiacciate dopo; e poi il ritorno alla calura della pianura padana, in un alternarsi delle stagioni che imprime le sue leggi sui tempi di realizzazione del progetto. I viaggi, anche se estenuanti, le servono come momenti di decompressione, uno spazio-tempo solitario in cui riordinare le idee, ricapitolare gli avvenimenti, mettere un punto fermo alla giornata. Così come i paesaggi si dissolvono dietro la cortina nebbiosa, anche lei stessa, a volte, si sente svanire; lei che ha la responsabilità di costruire un argine contro le piene distruttive, avrebbe bisogno di un argine emotivo che la proteggesse contro le intemperie della vita.

Forse il suo posto è là, nel tempo a levare, in quel tempo inesistente del tragitto fra casa e cantiere, in quello spazio diffuso di quei chilometri che la portano da un mondo all'altro. Da un mondo all'altro, mentre lei cerca sempre la stessa cosa. Un posto dove stare.
Nina sull’argine, pag. 187

Anche Pietro, il compagno lungo tanti anni di vita, è sparito da un momento all’altro; come il mondo cancellato dalla nebbia, il loro rapporto si è dissolto, lasciandole un vuoto difficile da riempire. E infatti Pietro le si ripresenta in continuazione sotto forma di pensiero, di presenza volatile.

Il cantiere, con la sua concretezza che si materializza nelle lavorazioni, negli strumenti, nelle misurazioni, nelle difficoltà, nelle emozioni che le suscita, è un po’ come il correlativo oggettivo della sua vita, essa stessa un cantiere, fisico ed emotivo – un rapporto interrotto, una casa da svuotare e da risistemare, un ruolo lavorativo da consolidare, la ricerca di un luogo in cui sentirsi “a casa” -, un corpus in fieri da cui ci si aspetta nasca qualcosa di definito.

Costruire un argine è una cosa complessa. Bisogna calibrare bene la quantità di terra fin dall'inizio, evitare le corde molli, prevenire i dilavamenti. Perché se si forma una breccia, puoi anche riparare, ma qualcosa rimane. Perché non basta ridipingere la casa e spostare tutti i mobili. Chiudere le fotografie di prima in un cassetto. Anche con la casa tinta e bianca come la sua vita adesso. Pulita, ordinata, lineare. Una traccia rimane. L'argine lo sa. La memoria rimane. 
Nina sull’argine, pag. 137

L’argine come una metafora della vita, quella di Caterina/Nina che cerca di rimettere insieme i pezzi, anche quando non combaciano più e non formano un disegno armonioso. Eppure è ostinata, anche se sa che nulla tornerà come prima, prova ad andare avanti, ad accettare le crepe che rimangono sotto la vernice, le cicatrici che anche se si cicatrizzano restano lì, a ricordo di ciò che è accaduto. Bisogna imparare a lasciare andare il passato, per costruire il futuro.

E se le difficoltà non bastano a farla quasi desistere, ecco che ci si mette il nuovo capo, che non vede l’ora di toglierle il cantiere e di affidarlo ad uomo, magari meno competente, ma più duttile, più malleabile e pronto a capire quando fare un passo indietro. Proprio questo atteggiamento fa scattare in Caterina la voglia di rivalsa, una resistenza che si concretizza nella determinatezza a portare a termine il lavoro secondo le regole. E ce la fa, grazie a se stessa e alla sua capacità di mettersi in sintonia con le persone che le stanno intorno, anche le più ostiche – come la signora Bola – ma da cui comunque c’è sempre da imparare.

Alla fine l’argine viene realizzato, e Caterina, dopo una notte in cui fa i conti con tutti i suoi fantasmi, e lascia andare il passato, affronta il collaudo e si congeda da quel mondo, pronta a fare ripartire la sua vita, questa volta da sola.

Forse è questo, crescere: capire che i fenomeni non sono reversibili, che ogni traccia lascia un'impronta. Che esiste una fatica, come nei materiali, e la fatica è un fenomeno pericoloso, dal quale bisogna preservarsi. Lo stesso materiale, sottoposto a carichi variabili nel tempo può arrivare a rottura, a cedimento per fatica, pur restando all'interno del suo limite di elasticità.
Nina sull’argine, pag. 212

Veronica Galletta, ingegnera e scrittrice, ci regala un racconto di vita che prende spunto dalla sua formazione e dal suo mestiere per raccontare il mondo del lavoro, nello specifico quello dei lavori pubblici, in cui spesso bisogna scendere a compromessi, cercando un equilibrio tra le pressioni esterne e i propri ideali. Un ambiente lavorativo in cui conta l’esperienza ma soprattutto conta la sicurezza e le centinaia di morti sul lavoro nei cantieri sono lì a dimostrarlo. Veronica Galletta dà voce a questi morti attraverso il fantasma di un operaio che Caterina incontra sul cantiere e con il quale si confida, cercando consigli pratici per affrontare le sue incertezze e la poca esperienza. Un fantasma che è metafora delle nostre insicurezze e del bisogno di certezze.

Un cantiere vero, il compromesso fra quanto ha studiato e quanto ora si può realizzare.

Un ambiente lavorativo in cui anche essere donna crea difficoltà e definisce una specie di confine, oltre il quale avventurarsi è un rischio, una sfida. Dunque Caterina deve confrontarsi e combattere contro i pregiudizi, ma anche contro il malaffare, contro la superficialità; assumendosi grandi responsabilità verso i lavoratori impiegati nel cantiere, e verso la comunità che beneficerà dell’opera, Caterina impara a conoscere i suoi limiti e a superarli.

I confini sono sempre labili, vorrebbe rispondere Caterina. Labili i confini, mutevoli le geometrie. Visti dalla giusta distanza, sono irrilevanti.
Nina sull’argine, pag. 189

Dunque un romanzo che contiene tanti temi: la condizione femminile sui luoghi di lavoro, la sicurezza sul lavoro, la tutela del territorio, le fragilità umane, le relazioni sentimentali che finiscono.

Qui potete leggere l’incipit.

Veronica Galletta è nata a Siracusa e vive a Livorno. Da ingegnere ha lavorato quasi vent’anni per un ente pubblico. Con il romanzo Le isole di Norman (Italo Svevo Edizioni 2020) ha vinto il Premio Campiello Opera Prima.