INCIPIT
I
Come alle origini di Roma,
alle origini dell’editoria libraria italiana del Novecento ci sono due gemelli, o quasi. Come può succedere, e a volte succede tra gemelli, si odiano cordialmente per tutta la vita. Il primo chiama il secondo «quel gangster», il secondo si rifiuta anche solo di pronunciare il nome del primo. Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori nascono a distanza di due giorni sul finire del 1889 e a distanza di otto mesi muoiono, entrambi ottantaduenni. Sempre per primo Rizzoli, in nascita e in morte.
Entrambi proletari, con le pezze sul sedere. Povero Mondadori, figlio di un contadino e calzolaio ambulante, analfabeta fino a cinquant’anni. Poverissimo Rizzoli che addirittura nasce già orfano perché suo padre, ciabattino e anche lui analfabeta, sconvolto da un licenziamento è andato mesi prima a uccidersi. Al cimitero di Musocco, per maggiore comodità, Le origini infime verranno più volte e orgogliosamente rivendicate da entrambi («una miseria nera, che non si può immaginare» dirà Rizzoli), secondo un cliché comune a molti capitani d’industria otto- e nove-centeschi. Ma non comune nel caso degli editori: è vero che Louis Hachette, il più ricco editore dell’Ottocento, era figlio di una lavandaia, ma lei lavorava per il liceo Louis-le-Grand, grande di nome e di fatto, cosa che permise al figlio di frequentarlo. E da questa solida base di avviarsi alla gloria editoriale.
I nostri invece sono entrambi incolti. Mondadori ha la quinta elementare e molti anni dopo se ne lamenterà di frequente, civettando, con il suo banchiere e amico Raffaele Mattioli. Il quale un bel giorno, di fronte all’ennesima replica. gli dice: «Ma senta, caro Mondadori, secondo me lei ha studiato troppo. Guardi Rizzoli, che ha solo la seconda, e veda un po’ la strada che ha fatto.» (Per la verità in altre occasioni Rizzoli rivendicherà di avere anche lui la quinta, presa però alle serali.)
Gian Arturo Ferrari