Domingo il favoloso, di Giovanni Arpino, minimum fax 2019, pp.228
Domingo il favoloso, ispirandosi ai romanzi d’appendice, fu edito in 13 puntate col titolo Correva l’anno felice sulla Domenica del Corriere tra dicembre 1973 e marzo 1974, corredato dagli acquerelli realizzati per La Domenica del Corriere da Italo Cremona, pittore e scrittore di ascendenza surrealista. Fu poi pubblicato nel 1975 da Einaudi nella collana Narratori.
Nel 2019 l’editore minimum fax ripropone il romanzo, in una nuova edizione molto curata, corredata da un esaustivo profilo bio-bibliografico e un’interessante postfazione a cura di Darwin Pastorin. E non è l’unico titolo. Fa piacere vedere che un editore indipendente si sia impegnato a riproporre Giovanni Arpino, uno dei più talentuosi e prolifici scrittori del Novecento italiano, di cui oggi si fatica quasi a ricordare il nome, nonostante all’epoca vendesse anche centinaia di migliaia di copie con i suoi libri e fosse ben noto al mondo del calcio.

Giovanni Arpino nasce a Pola (all’epoca ancora italiana), dove il padre, ufficiale di carriera, era di guarnigione. Si trasferisce prima a Bra, città d’origine di sua madre, dove sposa Caterina Brero, e poi a Torino, dove rimane per il resto della sua vita. Laureatosi in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi su Sergej Aleksandrovič Esenin nel 1951, nell’anno successivo esordisce nella letteratura con il romanzo Sei stato felice, Giovanni, pubblicato da Einaudi, a cura di Vittorini. Nel Pioniere del 1961 al nº 1 venne pubblicato il racconto Mille e una luna.
Arpino ha ottenuto molti riconoscimenti: vince il Premio Strega nel 1964 con L’ombra delle colline, il Premio Moretti d’oro nel 1969 con Il buio e il miele, il Premio Selezione Campiello nel 1972 con Randagio è l’eroe e il Premio Campiello nel 1980 con Il fratello italiano. Scrive anche drammi, racconti, epigrammi e novelle per l’infanzia. Nel 1982 vince il Premio Cento per Il contadino Genè.
Grande appassionato di calcio, nel 1977 pubblica il romanzo Azzurro tenebra. Nel 1978 segue i Mondiali in Argentina per il quotidiano torinese La Stampa. Nel 1980 comincia una collaborazione con il quotidiano milanese il Giornale di Indro Montanelli, scrivendo di cronaca, costume e cultura. Accanito fumatore, muore a Torino il 10 dicembre 1987, a 60 anni, a causa di un carcinoma.

Veniamo al romanzo che oggi rileggiamo grazie alla nuova edizione (tra l’altro contenuto nella Box 15 di Romanzi.it, dedicata all’editore minimum fax). Il protagonista Domingo è un fantasista quarantenne, con una forte connotazione picaresca, vive alla giornata destreggiandosi grazie a piccole e grandi truffe, il suo habitat sono bar, sale da gioco e locali notturni. Le vittime gli stolti attratti da un falso ingenuo. Attorno a lui ruotano gli amici fidati Cesco e Paolino, il fratello Rico, l’eterna fidanzata Angela.
Carattere scontroso celato dietro gesti di spavalderia, vediamo Domingo scivolare verso una deriva malinconica e disillusa, incarnando a tratti quel male di vivere, quella delusione che ammanta gli anni incerti del suo vivere al secolo, siamo nella Torino degli anni Settanta.
La routine dei suoi traffici viene interrotta dal folle progetto di rapire Arianna, una zingara quindicenne e malata di cuore. Domingo la nasconde in casa sua, cerca di curarla in tutti i modi, incapace di accettare che la malattia condanni Arianna ad una morte prematura. Dopo un’ultima giornata passata assieme tra le vie di Torino, Domingo capisce che è giunto il momento di riconsegnarla alla sua gente; al momento del commiato Arianna gli propone una sorta di patto di sangue, incidendogli il torace e il palmo della mano con la lama di un coltello.
La morte di Arianna precipita Domingo in una sorta di ineluttabile aura negativa che lo spinge a compiere atti sinistri, arrivando persino a dare fuoco ad un palazzo storico nel centro di Torino, un rito sacrificale con l’intento di purificare l’intera città. Nel finale c’è però il riscatto, che riporta in vita il picaresco e favoloso Domingo.
Scritto con ironia e uno stile scoppiettante, il romanzo di Arpino ci sorprende con un uso innovativo della lingua, che apre la strada a tanti autori che ne faranno un punto di riferimento. Incisiva la caratterizzazione della città, resa viva attraverso descrizioni come il vento che sciabola tagliente, o i tram che trascinano i loro ferrosi budelli, i bar fumosi e gli accampamenti zingari ai margini della Torino industriale. Una città quasi ammantata di tristezza, quella di “gruppi di uomini bui che pedalavano a testa china, le borse attanagliate al telaio. Enorme, crebbe il rettangolo della fabbrica. Un filo d’alberi penava nel solleticarne il profilo.”
Inizia così:
Gli restava mezz’ora di tempo.
In piedi alla finestra, indifferente alla frescura primaverile, Domingo guardava il corso livido, vuoto. Un vecchio ubriaco apparve all’improvviso tra le silenziose strutture delle giostre, di capanni e logori camioncini che ingombravano da alcuni giorni quell’angolo di città. Il vecchio faticava nel sospingere la sua ombra demente. Domingo lo seguì fin dove la sagoma rimase un attimo ferma nel tremolio luminoso che incorniciava la baracca del tirassegno. Lo vide sparire sotto le cupole buie degli ippocastani.
Con uno scatto dell’indice contro il pollice, Domingo fece volare il mozzicone al di là del davanzale. E rimirava ancora la schiuma violacea dei neon al fondo del corso, dov’era il caffè, e il volto fangoso di quella luna d’aprile. Piatta come nei disegni degli scolari sui quaderni. Echi e stridii di ruggine salivano dalle lontananze di tutta Torino. E lampi che scattavano a insanguinare il bitume della notte.


da grande appassionato di Arpino sicuramente non me lo faccio sfuggire: sul suo stile non ho dubbi, e in base a quel che hai scritto mi piace l’ambientazione e mi piace Domingo. dopotutto sono anch’io un fantasista quarantenne che vive alla giornata
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Spero non gli stessi stratagemmi… 😉
La scrittura di Arpino è davvero incisiva e innovativa. Non a caso piaceva molto a Calvino.
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💞
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