Figli della nuova India (Run and hide), di Pankaj Mishra, Guanda 2023, traduzione di Maria Federica Oddera, pp. 352
Ormai penso che sia un fatto incontestabile: per troppi uomini come noi essere liberi ha significato profanare gli ideali e i valori che guidano la maggior parte delle vite umane. Da quando ti conosco, ho imparato moltissimo sulle forme di crudeltà e di oppressione di quello che più insidiosamente di prima rimane un mondo di uomini.
Pag. 27
Leggere questo romanzo è stato davvero una completa immersione in un mondo, in una cultura che non conoscevo così bene, se non per gli stereotipi che inevitabilmente permeano il nostro punto di vista. Seguendo le vite dei protagonisti si riesce a costruire una nuova e diversa consapevolezza; dunque una lettura utile oltre che soddisfacente dal punto di vista strettamente letterario.
Nella forma di lettera, o di confessione ad Alia, Arun – protagonista e voce narrante – scrive un memoir, ripercorrendo a ritroso la sua vita e offrendo al lettore il suo punto di vista esclusivo.
I personaggi che animano il racconto sono le menti della “Nuova India”; sono passati dai polverosi e poveri entroterra alle sale riunioni di Wall Street e agli attici di Londra, sebbene Arun, il narratore, abbia abbandonato la corsa al successo per tradurre la narrativa hindi. Lui e i suoi amici Aseem, una celebrità letteraria, intellettuale pop autoreferenziale e strenuo arrampicatore sociale, e Virendra, un miliardario che ha costruito la sua fortuna in borsa, prima di essere arrestato per insider trading, si sono incontrati allo studentato dell’IIT di Delhi (uno dei college tecnologici indiani i cui ex studenti includono l’amministratore delegato di Google), dove, come matricole, hanno subito il nonnismo violento. Le carriere transnazionali e le vite personali dei tre uomini si intersecano alla fine coinvolgendo anche una donna, Alia, la rampolla di una famiglia di musulmani, istruita nella Ivy League, giornalista e scrittrice.
Ripercorrendo a ritroso la sua vita, si rivela come il racconto della fuga dalla loro sfarzosa storia d’amore a Londra per tornare a casa sull’Himalaya, da dove Arun scrive in uno stato di chiarezza morale. Dunque il titolo originale riassume proprio questo, “Run and Hide“.
Arun, il narratore, prende una strada completamente diversa dei suoi due amici, perseguendo una carriera non redditizia come traduttore letterario in un piccolo villaggio himalayano. Ognuno, in qualche modo, finisce per essere insoddisfatto: le pratiche fraudolente di Virendra lo hanno portato in prigione; il favore di Aseem agli occhi del pubblico cresce e diminuisce; e Arun fatica ad accertare la sua identità, i suoi sentimenti per Alia e, soprattutto, il suo posto tra coloro che lo circondano.
Mishra, dopo tutto, incarna il proprio soggetto; scrivere dello sviluppo dell’India da società ripiegata su se stessa e legata ai costumi, ad attore globale neoliberista è ciò che ha stimolato la sua elevazione dall’ambiente semi-rurale in cui è nato ad una residenza londinese di lusso, laddove abitano le élite liberali. Il rispecchiamento tra autobiografia e soggetto ricorda VS Naipaul, l’autore premio Nobel il cui enigmatico arrivo a Londra da un’isola tropicale gli ha permesso di comprendere la brama postcoloniale di modernità.
La prosa di Mishra ha la chiarezza e l’abilità descrittiva di uno scrittore di saggistica combinate con le metafore abili e la cadenza di un romanziere. Soprattutto nei molti momenti in cui il narratore ritorna ai ricordi della sua infanzia, l’uso del linguaggio da parte di Mishra rivela la sua genialità.
Per chi non vive direttamente la società indiana, come me, la sua comprensione di un’India in cambiamento e dell’ascesa di un leader indù populista e di destra che non esita a puntare sulla violenza; e la sua comprensione di un’India immutabile, con una violenza continua basata su identità di casta, classe, religione e genere, in modi sia sottili che espliciti, si fa rivelatoria e molto apprezzabile.
Le storie di Arun, Aseem, Virendra e Alia, e anche quella dell’India, sono definite dal viaggio dalla miseria rurale verso qualcosa di completamente più soddisfacente. Le classi medie indiane sono ostacolate da una crescita lenta e da pessime prospettive occupazionali, in pochi riescono nella scalata al successo e al potere: dunque la lotta è durissima, e la benzina che la alimenta è un mix di feroce ambizione, spietata competizione e sfrenato desiderio di fama e ricchezza, che sfociano in un materialismo dilagante.

Pankaj Mishra (1969) è un saggista, scrittore e attivista indiano. Collabora con testate di fama internazionale come il Guardian, il New York Times, il New Yorker. Per Guanda ha pubblicato il romanzo I romantici.


molto interessante, grazie della bella segnalazione
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Un bel romanzo, un bel modo per entrare in contatto con l’attuale società indiana.
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ho scaricato le prime pagine gratuite della versione kindle e mi sono piaciute e se ci fosse stato l’eBook intero l’avrei preso ma su Amazon non c’era e non amo più comprare libri fisici. Raggiunsi l’India nel 1973 ma allora ero una giovane hippy … mi è rimasta sempre un po’ nel cuore e il suo progresso contrastato mi incuriosisce
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Una vera viaggiatrice!!!
In effetti l’India è molto cambiata, e nel libro questo cambiamento si percepisce molto bene.
Questo romanzo mi è stato regalato a Natale e ne sono stata felicissima perché l’avevo messo in wish-list…. 😊
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ultimamente sto guardando un bel po’ di film indiani e devo dire che, al di là dell’immaginario comune, si percepisce ancora quella sorta di spiritualità e quel fascino misterioso di una cultura in qualche modo legata ai Veda che, benchè traslitterato al presente, permane forte. Certo il novo avanza dappertutto e spero che non sia un nuovo che ci faccia rimpiangere il “vecchio”. Come al solito bell’articolo, ciao Pina
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Grazie per queste riflessioni. Il cinema indiano, variegato, è stimolante come specchio della società.
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Mi hai fatto tornare in mente questa storia: https://power-of-optimism.com/2023/12/20/la-storia-di-pk/. Che ne pensi?
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