Con mia sorella ho spartito un’eredità di parole non dette, gesti omessi, cure negate. E rare, improvvise attenzioni. Siamo state figlie di nessuna madre. Siamo ancora, come sempre, due scappate di casa.

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Borgo Sud, di Donatella Di Pierantonio, Einaudi 2020, pp. 163

Protagoniste di questo secondo romanzo della Di Pierantonio sono due sorelle, molto diverse tra loro, a volta in competizione, altre ingaggiate in contrasti aspri, ma sempre legate da un sentimento profondo, che non si lascia scalfire nemmeno dalle divergenze, dagli abbandoni e dai ritorni, resistendo ai rovesci della vita. Un legame nato da ragazzine, come riparo e conforto, a risarcire una sterilità affettiva vissuta in famiglia. Quel sentimento di sorellanza che nulla può annientare; anche se sembra sopito, o momentaneamente sospeso, è come una corrente sotterranea che continua a scorrere, e, spesso, riesce a uscire, impetuoso e tenero.

La voce narrante – che non ha un nome – è l’Arminuta, la ritornata; la figlia maggiore – di una nidiata di sei -responsabile, austera, studiosa, in grado di costruirsi una carriera accademica che la porterà dall’Abruzzo a Grenoble, in Francia, una fuga lontana dal dolore più grande, la fine del matrimonio con Piero, sopraggiunta dopo scoperte sconcertanti. Una fuga che esige un ritorno, per assistere la sorella sospesa tra la vita e la morte.
L’altra sorella è Adriana, sboccata, provocatoria, irruente, ingombrante, causa di continui sconvolgimenti; irrompe sempre nella vita di sua sorella con la forza di una rivelazione. Sono state bambine riottose e complici, figlie di nessuna madre, orfane di amore e rispetto.
Sono diventate donne cariche di slanci; hanno fatto sbagli, hanno vissuto sulla pelle delusioni cocenti e cercato di costruire mille possibilità. Non sempre ci sono riuscite.

Nelle loro vite ci sono due grandi amori, gli amori iniziati in gioventù e traghettati nella vita adulta, intoccabili eppure quasi senza rimedio. Pur con partner diversi, entrambe sono legate a uomini che le hanno dolorosamente ferite: la maggiore ha molto amato Piero, il marito dentista, di buona famiglia, nel quale ha creduto, ignorando la vita segreta di lui; l’altra ha una relazione contorta e morbosa con il pescatore Rafael da cui ha avuto il figlio Vicenzo, in un susseguirsi di abbandoni e ritorni ciclici, di tradimenti e botte e minacce, per poi ricongiungersi.

Pescara – Piazza Luigi Rizzo (Borgo Marino Sud)

Una telefonata improvvisa costringe la protagonista e narratrice a partire di corsa da Grenoble dove si è rifugiata per insegnare letteratura italiana all’università, dopo la fine del matrimonio con Piero. Arrivata a Pescara, vive una interminabile notte popolata di ricordi, in un continuo susseguirsi di flash-back da cui riaffiora il passato.

Il paese dei genitori abbandonato, la vita a Pescara, agiata per la narratrice, irta di difficoltà per Adriana, stabilitasi a Borgo Sud, il quartiere marinaro della città, la casa dei pescatori, legati da una solidarietà che a volte veste i panni del silenzio; un microcosmo al tempo stesso impenetrabile e accogliente, dove è maturato l’incidente occorso ad Adriana, il motivo del rientro frettoloso in città della sorella.

Il presente riallaccia tutti i fili col passato, ripescando episodi, dolori, gioie dai cassetti della memoria; le rotture tra loro presto ricucite, il difficile rapporto conflittuale con i genitori, la nascita del figlio di Adriana, piovuto come un angelo dal cielo nella vita della sorella.

L’unico aspetto che mi ha spiazzato riguarda il passato de l’Arminuta: la bambina aveva vissuto i suoi primi tredici anni di vita in un’altra famiglia, affidata ad Adalgisa. Di questo periodo intenso (come ricorderà bene chi ha letto il precedente romanzo) in Borgo Sud non traspare nulla, solo un paio di accenni di sfuggita. Mi aspettavo che nel fluire dei ricordi quegli anni e quei rapporti familiari emergessero con maggiore peso sulla vita adulta; se ne rintracciano gli effetti, più di tutto, la sofferenza di chi ha patito il disamore e la mancanza dell’amore materno, e, a cascata, ciò che ne è derivato.

Dal punto di vista stilistico, il romanzo è scritto con linguaggio scarno ed essenziale, molto evocativo, che procede per immagini, come sequenze cinematografiche che creano paesaggi e scorci di città, di interni di abitazioni, per chi legge, creando una tensione emotiva partecipativa.

Qui potete leggere l’incipit.

Foto Stefano Schirato

Donatella Di Pietrantonio vive e lavora a Penne, in Abruzzo. Con L’Arminuta (Einaudi 2017, tradotto in piú di 30 Paesi) ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Campiello, il Premio Napoli e il Premio Alassio. Per Einaudi ha pubblicato anche Mia madre è un fiume (prima edizione Elliot 2011), con cui ha vinto il Premio Tropea, Bella mia (prima edizione Elliot 2014), con cui ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati, Borgo Sud (2020), finalista al Premio Strega 2021, e L’età fragile (2023). Per la sceneggiatura del film L’Arminuta di Giuseppe Bonito ha vinto il David di Donatello insieme a Monica Zapelli.

Per la copertina è stata utilizzata la foto: Ponte del mare Pescara,22 Febbraio 2018, di PepeAntonio