Pas de Sicile, di Domenico Cacopardo, Ianieri Edizioni 2023, collana “Le Dalie Nere”, pp. 232
Dopo 18 opere ambientatein Sicilia, Domenico Cacopardo porta la sua narrazione al Nord, nella pianura padana (terra della famiglia materna), luogo di piacevoli soggiorni, di incontri formativi e poi di un impegnativo lavoro, mentre la Sicilia (terra paterna e alma mater) era ed è il mondo della sua fondamentale identità. Uno scrittore fedele alle radici e grato a queste due generose fonti per ciò che gli hanno dato, sia attraverso l’esempio e l’educazione familiare, che nel contatto con la gente. Due contesti di cui l’autore conosce perfettamente usi, costumi, modi di pensare, ma soprattutto fisionomia umana, elemento che più di ogni altro emerge negli scritti.
Il genere è il giallo, non quello classico della sequenza lineare odio, vendetta, delitto, indagine e sanzione; piuttosto quello che trova spunto narrativo nelle segrete dell’animo umano, nelle storture interne alla psiche dell’individuo, con i suoi drammi inconfessabili, le vicende passate irrisolte, che puntualmente riemergono chiedendo la definitiva soluzione; e nella storia patria con l’ingiustificabile, criminale capitolo delle persecuzioni ebraiche.
La trama propone una “storia nella Storia”, e non è un caso, bensì – come sostiene l’autore – una premonizione, che abbia iniziato a scrivere questo romanzo proprio il 27 gennaio, Giorno della Memoria, nel quale il mondo ricorda i martiri della Shoah. Uno dei più feroci delitti contro l’umanità, una ferita nella Storia, che l’autore sembra sentire sulla propria pelle, come tutti coloro che vivono la tolleranza e il rispetto dell’altro nella comune pratica quotidiana. Scorre lungo il romanzo la severa condanna dell’umana miseria, insensata e crudele, capace dei delitti più deprecabili; mentre parallelamente si fa strada una concezione di giustizia che va oltre i precetti dell’oggettiva legalità, per approdare ad una legalità di matrice kantiana, come imperativo interno, premessa di lealtà e rispetto verso il prossimo. Io narrante dell’opera, Cacopardo ripercorre attraverso le vicende dei suoi personaggi uno dei periodi più bui della nostra Storia, facendo toccare con mano le conseguenze di quel male serpeggiante rappresentato dalle leggi razziali del 1938 che hanno portato alla confisca dei beni alle comunità ebraiche, con la finalità di distruggere l’identità di un popolo in ogni suo aspetto. Un patrimonio immenso di arte e cultura mai restituito ai legittimi proprietari. E sebbene chi scrive non indugi nella minuziosa descrizione del dramma, esso diventa palpabile attraverso l’efficace comunicazione emotiva, che a tratti abbraccia quella sottile amara ironia che condanna l’assurdo senza direttamente menzionarlo. Perché spesso le parole non bastano per descrivere il male nelle sue peggiori manifestazioni, ma, se efficaci, lo fanno avvertire da dentro.
Accantonato Italo Agrò dei precedenti scritti, il ruolo da protagonista passa al magistrato in pensione Domenico Palardo, alter ego dello stesso autore, che da insigne uomo di legge si trasformerà in scrittore detective animato da un’incrollabile passione per la verità. Incaricato dal Comune di Candora (evocativo del candore dei suoi abitanti) di coordinare il volume celebrativo per i cento anni della Costituzione del Comune stesso e scrivere il saggio di apertura su Siro Sieroni – personaggio che ha favorito lo sviluppo economico del paese attraverso le aziende da lui fondate – l’uomo si imbatterà in segreti inconfessabili e vicende irrisolte inerenti la famiglia dell’imprenditore, che diverranno spunto per un’indagine serrata, in cui verrà coinvolta l’intera comunità paesana e un figlio illegittimo di Sieroni. Indagando su colui che dovrebbe omaggiare, Palardo ne apprende infatti la pochezza e la falsità; ma per smascherarle deve comporre un nuovo puzzle. Un delitto inaspettato, infine, costituirà ulteriore tassello d’indagine da inscrivere nel quadro già intricato degli eventi. Ma l’obiettivo del magistrato è quello della verità a qualsiasi costo, oltre ogni intimidazione o ricatto, per restituire senso alla storia, quella del singolo nel caso di Candora. Rispetto alla Storia dell’umanità la condanna è ideale ma senza appello, necessaria tuttavia per non perdere il senso del passato e di ciò che siamo oggi, nel ricordo delle tante vittime dell’odio e dell’umana insensatezza.

Domenico Cacopardo, nato a Rivoli (Torino), il 25 aprile 1936, è un magistrato con una prestigiosa carriera istituzionale alle spalle. La sua una ricca produzione di scrittura inizia con articoli e monografie a carattere giuridico in materia di lavori pubblici e partecipazioni statali, e continua con saggi tematici e poesie, per approdare, alla fine degli anni ’90, alla narrativa, contesto che accoglie a tutt’oggi una corposa produzione di opere. Il successo dei suoi romanzi, ambientati in Sicilia e di recente in Emilia, lo hanno reso uno degli autori più apprezzati nel panorama letterario contemporaneo.
È stato il direttore della rivista tecnico-giuridica ‘Rassegna dei lavori pubblici’. Ha altresì diretto l’agenzia “Il Punto” di Parma anni ’74-76.

