Non ho tempo per andare al mare, di Mari Accardi, Nutrimenti 2024, collana Greenwich Extra, pp.256
Ti preoccupi molto di quello che pensano gli altri di te ma non ti avvicini a loro. (..) I turisti dovrebbero essere i tuoi alleati. Vogliono essere i tuoi alleati. Hai visto oggi come hanno cercato di difenderti? Sono la tua famiglia, ricordi?
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Non ho tempo per andare al mare di Mari Accardi presenta una protagonista alla ricerca di sé tra ironia e riflessione, tra famiglia e turismo di massa.
Mari Accardi traccia, nel suo romanzo un ritratto attuale e sfaccettato della Sicilia, intrecciando con ironia storie di vita vissuta con riflessioni profonde sulla società e sul turismo di massa. Matilde, la protagonista, incarna la figura di tanti giovani siciliani costretti a reinventarsi e a confrontarsi con la dura realtà del lavoro precario. Laureata al Dams e poliglotta, sognava una carriera nel mondo della televisione e del cinema, ma si ritrova a fare la guida turistica per gruppi di anziani provenienti da tutto il mondo per un tour operatore statunitense, “La compagnia degli Audaci”.
Il suo lavoro, seppur privo di un contratto regolare e di un patentino, le offre l’occasione di riscoprire la sua terra e di confrontarsi con culture diverse. Tra i vicoli di Palermo e le strade della Sicilia, Matilde guida i suoi “audaci” turisti, soprannominandoli ironicamente in base ai loro tratti caratteristici.
Facilmente riconoscibili e omologati nella divisa della Compagnia degli Audaci, sono perlopiù anziani, amanti di un buon bicchiere e pronti a mettersi in gioco. Hanno un quaderno su cui annotano le parole di italiano e siciliano che imparano, le sfide e i limiti che riescono a superare, le esperienze che più li colpiscono. I gruppi si susseguono, sempre nuovi, ma ciò che si ripete sono gli stessi aspetti caratteriali, per cui ci saranno sempre l’Impicciona, l’Ottuso, la Spugna, la Lagnosa, l’Emotiva, il Pedante, il Manager, il Simpatico, la Fifona… e visto che per Matilde ricordare i nomi di ciascuno è un’impresa impossibile, se la cava con un generico my friend.
L’autrice descrive con abilità e tanta ironia le dinamiche che si creano all’interno dei gruppi, le piccole manie e le aspettative di questi viaggiatori curiosi ma a tratti invadenti. Matilde, pur dovendo seguire le rigide regole della compagnia, si ingegna per rendere i loro tour un’esperienza autentica e memorabile, coinvolgendo la sua famiglia e trascinando i turisti nelle avventure bizzarre e strampalate dei suoi parenti.
Si trova così in bilico tra due famiglie: la sua, i Puleo, dominata dalla figura della nonna inferma, e quella mutevole dei turisti che di volta in volta deve accompagnare in giro per Palermo e la Sicilia. A casa sua ci sono, oltre la nonna e la badante rumena Adela (tra apparizioni e sparizioni), la mamma Fulvia in fissa con la moda, il padre Vito pensionato che vive dentro la vecchia Audi che usava per lavoro, col suo gatto Crema e circondato da gatti randagi, il vicino Gianni soprannominato Labbestia, la vicina Margherita che a settant’anni ha mollato il marito.
La madre si dedica anima e corpo all’accudimento della nonna novantenne inferma, trasferendosi con lei in una casa di riposo, lasciando il marito – che si sente estraneo alla famiglia, tanto da vivere nell’auto parcheggiata in giardino – senza abbandonare il sogno di diventare stilista da televendita.
La badante romena, Adela, rappresenta un elemento di mistero e di novità all’interno della famiglia. Il suo ruolo si estende oltre le semplici mansioni di assistenza, creando un legame speciale con la nonna e suscitando apprensione negli altri membri della famiglia.
La famiglia di Matilde rappresenta un microcosmo di contraddizioni, di affetti e di speranze. Le loro vicende, intrecciate con la storia principale, offrono un ulteriore spaccato della realtà sociale e familiare odierna, caratterizzata da precarietà, incertezza e ricerca di riscatto.
La morte sembra sempre sul punto di fare irruzione nelle loro vite: si è perso il conto di quante estreme unzioni siano state amministrate alla nonna, che puntualmente, ormai data per morta, si è ripresa; c’è il portafortuna della badante che riproduce una tomba romena all’interno di un cimitero speciale, che Matilde – e non vi svelo perché – si ritroverà a visitare; ci sono le tombe di gatti che sembrano reincarnarsi e, infine, il loculo di famiglia acquistato per Matilde:
A undici anni avevo già un posto nella tomba di famiglia. Me l’aveva comprato la nonna come parte del corredo. Diceva che per quanto male potesse andarmi la vita almeno la pace eterna era assicurata.
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L’autrice dà vita ad una donna alle prese con le insicurezze e le fragilità generate da una precaria situazione lavorativa e da un contesto familiare poco incoraggiante, anch’esso segnato dalla precarietà delle relazioni tra i genitori. L’incertezza lavorativa, inoltre, mina la sua autostima: la mancanza di un lavoro stabile e appagante, unita alla consapevolezza di non aver raggiunto i successi sperati nel mondo del cinema, alimenta un senso di inadeguatezza e di sfiducia in sé stessa.
Matilde si sente slegata dal contesto familiare: la badante si è presa la sua camera di quando era teenager, la casa stessa le è diventata estranea, e dunque preferisce vivere nella modesta camera d’albergo che la compagnia turistica le mette a disposizione. Anche girare per i vicoli e quartieri di Palermo spesso le fa perdere la bussola e capita che siano i turisti più svegli del suo gruppo a trarla d’impiccio.
Il peso delle aspettative familiari grava su di lei: le frasi negative pronunciate dalla madre e dalla nonna, come “Li farai morire“, anziché sostenerla, amplificano le sue paure e la fanno dubitare delle proprie capacità. La paura di non essere all’altezza è uno dei tarli che le ronzano in testa. Matilde teme di non essere in grado di gestire il rapporto con i turisti, di non riuscire a soddisfare le loro aspettative e di non meritare il posto di lavoro. La sua insicurezza si manifesta anche nel timore del giudizio finale, che i turisti devono stilare a conclusione dell’avventura; espresso con voti da “indegno” a “superbo“, determinerà il suo futuro nella compagnia, e i suoi risultati non sono incoraggianti.
L’incapacità di mostrare la propria autenticità: la protagonista si sente imprigionata in un ruolo che non le appartiene del tutto. Vorrebbe essere se stessa con i turisti, ma la paura di non essere all’altezza e di ottenere giudizi negativi, uniti alla necessità di seguire le rigide regole della compagnia, la costringono a nascondere la sua vera essenza.
Nonostante le difficoltà iniziali, quando ormai pensa di non avere più nulla da perdere, Matilde si lascia andare ed è proprio allora che il legame con i turisti si intensifica. Matilde si ritrova a condividere con loro momenti di vita privata, aprendosi e creando connessioni autentiche. Questo scambio interpersonale la aiuta a superare le sue barriere e a valorizzare le proprie capacità. Il confronto con i turisti e i loro diversi approcci alla vacanza, insieme alla necessità di adattarsi alle loro esigenze, spingono Matilde a mettersi in gioco e a cercare la sua vera voce. Attraverso questo percorso di crescita personale, impara ad accettare le proprie fragilità e a valorizzare i suoi punti di forza.
Nonostante le difficoltà e le contraddizioni, la protagonista non perde la sua tenacia e l’atteggiamento disincantato di chi fa della propria vita una prova continua. Attraverso le sue vicende e i suoi pensieri, Accardi ci invita a riflettere sul senso di appartenenza, sulla famiglia e sulle scelte di vita. Il romanzo si snoda tra momenti di commedia e riflessioni introspettive, offrendo al lettore uno spaccato realistico e commovente della Sicilia contemporanea e di una generazione che vive alla giornata, senza grandi aspettative avendo visto sfumare le proprie aspirazioni.
Non ho tempo per andare al mare è un libro che cattura per la sua scrittura scorrevole e ricca di dettagli, per la sua capacità di mescolare ironia e riflessione, e per la sua protagonista, Matilde, una donna forte e fragile allo stesso tempo, che ci insegna a non mollare mai di fronte alle difficoltà e a trovare la bellezza anche nelle situazioni più inaspettate.

Mari Accardi (1977) è nata a Palermo e insegna in un Cpia in provincia di Alessandria. Suoi racconti sono apparsi su diverse riviste e sull’antologia Quello che hai amato (Utet) curata da Violetta Bellocchio. È stata selezionata da Granta per il numero Che cosa si scrive quando si scrive in Italia dedicato ai nuovi autori del nostro paese. Ha già pubblicato, Il posto più strano dove mi sono innamorata (finalista al Premio Settembrini) e Ma tu divertiti, entrambi con Terre di Mezzo Editore.


Mi ha incuriosita la bella recensione, lo annoto, grazie
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Grazie, buone letture
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Ho letto l’incipit che mi è sembrato geniale. La recensione, secondo me, crea un po’ di confusione, mescola troppi dettagli mentre, se un po’ più stringata, potebbe stimolare la curiosità.
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Grazie per il suggerimento, è molto bello ricevere dei feedback, aiutano a migliorare.
Se leggerai il romanzo, mi farebbe piacere sapere le tue impressioni.
Buon fine settimana
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