Dicono che non sia possibile fare ritorno alle proprie radici. E se invece fosse possibile? E se invece fosse preferibile? E se, qualunque cosa tu abbia fatto nella tua vita, in qualche modo finissi per ritrovarti sempre in quel posto che non avresti mai voluto abbandonare? 385
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Vicino a una grande foresta, di Leo Vardiashvili, Bompiani 2024, traduzione di Patrizia Managò, pp. 400
Vicino a una grande foresta è il romanzo d’esordio di Leo Vardiashvili, scrittore di origini georgiane, trasferito a Londra all’età di dodici anni, insieme alla sua famiglia, a causa della guerra civile scoppiata nel suo paese, in seguito all’indipendenza dalla Russia, negli anni Novanta.
La storia che leggiamo nel suo romanzo cattura subito il lettore, proponendo un’ambientazione unica, una narrazione avvincente che va ad approfondire le complessità dell’emigrazione, dell’identità toccando la crudeltà delle guerre fratricide.
Lo sfondo di una Tbilisi devastata dalle inondazioni con animali fuggiti dallo zoo è un’immagine sorprendente e surreale, che funge da metafora per le esperienze caotiche e disorientanti dei personaggi. L’alluvione che ha colpito lo zoo di Tbilisi è avvenuta nel 2015, ma qui è stata posticipata a soli due anni dopo la guerra Russia-Georgia del 2008.
La prospettiva in prima persona di Saba – il protagonista – fornisce un ritratto intimo e autentico delle esperienze dei personaggi. L’uso dell’umorismo ammiccante, stanco del mondo e i tocchi magico-realisti che caratterizzano molta letteratura proveniente dagli angoli dell’Europa devastati dalla guerra, giustapposto ai temi più oscuri del romanzo, aggiunge profondità e complessità alla narrazione.
Saba era un bambino quando con il fratello Sandro e il padre Irakli ha lasciato la Georgia devastata dalla guerra civile per cominciare una nuova vita a Londra. Eka, la madre, non è mai riuscita a raggiungerli. La confessione del narratore, “Nostra madre è rimasta perché potessimo scappare“, evidenzia i sacrifici fatti dai genitori per i loro figli e il legame duraturo tra i membri della famiglia.
L’assenza di Eka getta un’ombra lunga e malinconica sulla narrazione, insieme ai sensi di colpa per essere riusciti a fuggire mentre lei è rimasta indietro. Questa separazione forzata, causata dalla guerra, crea una ferita profonda nel cuore di Saba e della sua famiglia, innescando una serie di interrogativi e di dinamiche psicologiche complesse. Proprio per cercare la moglie, Irakli, dopo essere stato derubato dei soldi per portarla a Londra, si decide a tornare a Tblisi, dove però si perdono le sue tracce. Allora Sandro decide di partire, a sua volta, alla ricerca del padre; scomparso anch’egli, a Saba non resta che affrontare il viaggio verso la città natale, per cercare di sciogliere il mistero.
Incline agli attacchi di panico e indossando la sua “maglietta portafortuna dei Pink Floyd“, Saba torna a Tbilisi poco più che ventenne. Dal momento in cui Saba atterra sul suolo georgiano, la polizia lo perquisisce (“controllo casuale” è la bugia che gli viene detta alle sue rimostranze) e guarda con sospetto il suo cognome; è stato emesso un mandato nei confronti di suo padre per tentato omicidio, gli viene detto, e con questa scusa la polizia gli sequestra il passaporto.
Fuori dall’aeroporto Saba si imbatte in Nodar, un tassista originario della zona contesa dell’Ossezia del Sud il cui decrepito taxi non può fare retromarcia e che diventa il suo Virgilio; Nodar gli offre un letto in casa sua, il cibo cucinato dalla moglie, e diventa una specie di guardia del corpo. Con lui, Saba attraversa Tbilisi, dalla montagna di Mtatsminda con la sua torre radiotelevisiva, al quartiere di Sololaki, dove da ragazzino fu testimone della caduta della statua di Lenin.
Il ritorno di Saba a Tbilisi rappresenta un viaggio non solo fisico, ma anche interiore. Sta cercando non solo suo padre e suo fratello, ma anche una parte di se stesso perduta. Saba è alla ricerca della sua identità, un’identità che è stata frammentata dalla guerra, dalla migrazione e dalle perdite familiari. Saba, pur essendo tornato nella sua terra natale, si sente straniero. Questo tema dell’alienazione è comune tra i migranti di seconda generazione.
Il peso del passato, rappresentato dalla morte della madre e dalla scomparsa del padre e del fratello, incombe su Saba. I fantasmi del passato, in particolare quello dello zio Anzor e di Nino, lo perseguitano, rendendo il suo presente ancora più complesso. L’evocazione dei fantasmi dei cari defunti introduce un elemento quasi magico, che aggiunge profondità e mistero alla narrazione.
La Georgia non è solo uno scenario, ma un personaggio a sé stante. È un luogo di contraddizioni, di bellezza e di dolore, che riflette lo stato d’animo del protagonista.
C’è molta simbologia nell’uso degli elementi narrativi, che produce un effetto studiato ed efficace. La Maglietta dei Pink Floyd è il simbolo della giovinezza, della ribellione e forse anche di un rifugio interiore. Il Passaporto che viene sequestrato è il simbolo dell’identità, della libertà di movimento, ma anche di un ostacolo alla ricerca di sé. La Georgia è il simbolo del passato, delle origini, ma anche di un futuro incerto.
Sandro ha detto una cosa stranissima (..) Vado nella grande foresta, nonna, a rinfrescarmi i piedi nel fiume. Augurami buona fortuna. Se vedi mio fratello, digli così.
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“Vicino a una grande foresta abitava un povero taglialegna con la moglie e due figli. Il bambino si chiamava Hänsel e la bambina Gretel”: è l’incipit della fiaba Hänsel und Gretel, dei fratelli Grimm che la mamma leggeva a Saba e Sandro quando erano piccoli e che Saba trova scritto da suo fratello su un muro, nel vicolo del quartiere dove abitavano da bambini con i genitori; danno il titolo al romanzo e rappresentano un indizio, una traccia inequivocabile.
Gli indizi su dove si trovi Irakli si rivelano scarabocchiati nei graffiti in tutta la città. I graffiti citano pietre miliari culturali, versi di “Hansel e Gretel”, “Romeo e Giulietta”, “Il mago di Oz”. Queste briciole di pane compaiono nei momenti opportuni e sono portentosi.
Ecco dunque che a guidare la ricerca di Saba ci sono le fiabe, le stesse sussurrate da sua madre Eka e trasmesse clandestinamente sotto il regime sovietico; rappresentano un simbolo di resistenza e speranza. Sono un patrimonio culturale che lega Saba alle sue origini e gli fornisce una bussola morale in un mondo incerto. Le storie di maghi e principi che sua madre copiava di nascosto mescolano il reale con il fantastico, creando un universo parallelo in cui Saba può trovare rifugio e cercare risposte. Le fiabe fungono da guida iniziatica per Saba, aiutandolo a decifrare i misteri del passato e a comprendere il significato della sua ricerca.
Nella loro vecchia casa Saba rinviene il manoscritto dell’opera teatrale che suo padre Irakli stava scrivendo e che evidentemente ha portato con sé tornando a Tblisi. Il titolo è Kaleidoskupi, un titolo che contiene un gioco di parole e un personaggio, Valiko, che sembra l’alter ego del padre. Già Sandro lo aveva trovato e affidato alla vicina di casa. Un altro importante tassello per la sua ricerca.
Attraverso una scia di indizi codificati, Saba segue suo padre e suo fratello, ma la pista lo porta da Tblisi verso le montagne, conducendolo pericolosamente attraverso i confini mutevoli di guerre ancora sotto la cenere. Lasciando la capitale, viaggiano dalle cime innevate dello Svaneti, nell’alto Caucaso, all’Ossezia del Sud devastata dalla guerra, con i suoi villaggi bruciati, i campi cosparsi di sale, orfanotrofi e bambini muti, traumatizzati e abbandonati alle cure di pochi contadini e un veterinario, e poi boschi pieni di lupi affamati e di uomini armati. Tra proiettili e guardie di frontiera, sulle montagne dell’Ossezia, le torri di guardia difensive che punteggiano i villaggi medievali suggeriscono che la guerra per la terra qui è antica quanto la storia. Saba scopre che i georgiani combattono contro i georgiani: i soldati respingono i civili osseti che vogliono semplicemente tornare a casa nella zona separatista, ma sono sospettati di essere traditori separatisti che sostengono l’occupazione russa.
Nl suo viaggio alla ricerca del padre, Saba si confronta con loschi poliziotti, sculture semi-animate, soldati erranti, preti armati di martello e i suoi stessi ricordi per seguire gli indizi lasciati in graffiti, riviste, trasmissioni radiofoniche, cartoline di Natale non inviate e persino una sceneggiatura, che incorpora meta-elementi misteriosi da Sherlock Holmes a Scooby-Doo. Il risultato è un’intrigante caccia al tesoro, volutamente picaresca e costellata di riferimenti alla magia, ai miti e ai miracoli. Un viaggio nella pancia della Georgia, dove le cicatrici lasciate dalla continua guerra non si rimarginano mai.
Il romanzo esplora temi profondi sull’impatto della guerra, la complessità delle relazioni familiari e le sfide del ritorno in una patria trasformata dal conflitto. L’opera di Vardiashvili si colloca all’interno di un corpus crescente di letteratura di autori georgiani che scrivono in lingue diverse dalla loro lingua madre. Questa tendenza riflette le esperienze di molti georgiani che hanno cercato rifugio all’estero a causa di conflitti e difficoltà economiche.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Leo Vardiashvili si è trasferito a Londra con la famiglia all’età di dodici anni, rifugiato dalla Georgia. Ha studiato Letteratura inglese alla Queen Mary University di Londra. Vicino a una grande foresta è il suo primo romanzo.

