Oggi torno alla consueta rubrica dedicata alle parole che vengono poco utilizzate con una citazione da Italo Calvino, uno dei miei grandi amori letterari. Una frase che mi ha colpito fin dalla prima volta che l’ho letta:

Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto.

Che ne pensate? A me capita di essere più approssimativa nel parlato, quantomeno nel quotidiano, nell’informalità dei dei dialoghi tra amici o in contesti di veloce scambio, mentre nella forma scritta mi sento più a mio agio, potendo correggere o cercare il termine o il sinonimo più esatto.

Andare a ripescare parole che usiamo meno ma che hanno un significato preciso ed efficace può aiutare a rendere più accurato il nostro modo di esprimerci.

Oggi vi propongo due parole: Azzimato e Putativo

Azzimato, /aẓ·ẓi·mà·to/: part.pass. anche come agg., vestito e acconciato con estrema cura e ricercatezza; agghindato; eccessivamente curato nella persona.

Azzimato è l’antidoto all’eleganza standardizzata: l’azzimato è colui che sfoggia un’eleganza raffinata e originale, curando ogni dettaglio del proprio abbigliamento; è un esteta, un cultore del bello e del raffinato. Il suo stile è inconfondibile, frutto di una ricerca attenta e costante.
Un’estetica che si discosta dall’opulenza e dall’omologazione, ricercando l’unicità e la distinzione. Allo stesso modo, un ambiente azzimato è caratterizzato da una pulizia impeccabile, da scelte stilistiche singolari e da un’atmosfera raffinata, che trasmette un senso di cura e attenzione per i particolari.

Putativo, /pu·ta·tì·vo/: agg. [dal lat. tardo putativus «presunto, apparente», der. di putare «credere, ritenere»]. Considerato come tale per tradizione, convenzione, supposizione. Che non è veramente ciò che il sostantivo cui è unito indica, ma è considerato come tale. In diritto, di situazione giuridica che non sussiste ma è creduta sussistente dall’interessato.

Il termine “putativo” si riferisce a qualcosa che ha solo l’apparenza di essere ciò che sembra. È come un travestimento o un inganno, ma spesso in buona fede. Un titolo putativo è un titolo che qualcuno rivendica senza averne diritto, mentre un erede putativo crede di essere un erede ma in realtà non lo è. Il dottore putativo è qualcuno che viene chiamato “dottore” ma potrebbe non avere una laurea in medicina.

In tutti questi casi, l’elemento chiave è l’inganno, ma un inganno basato su un’apparenza, su un’impressione sbagliata.

Conoscete e usate questi due termini?