Molti hanno sperimentato una delle sindromi più diffuse tra chi deve/vuole scrivere: dagli studenti sui banchi di scuola, alle più famose penne della letteratura, tutti, almeno una volta, sono andati in panico davanti al foglio bianco. Che si trattasse dell’esame di maturità, o del prossimo romanzo da consegnare all’editore, questa impasse ha richiesto una strategia per superarla.

Victor Hugo, il genio dietro I Miserabili, era un uomo dai metodi di lavoro quantomeno inusuale: a lui spetta la palma del più eccentrico ed originale. Per affrontare le scadenze più pressanti, come quella relativa al completamento di Notre-Dame de Paris, si sottoponeva a una vera e propria privazione: ordinava al suo domestico di nascondere tutti i vestiti. In questo modo, nudo sotto una coperta, si costringeva a rimanere confinato alla sua scrivania, concentrandosi esclusivamente sulla scrittura fino a portare a termine il suo capolavoro.

Vittorio Alfieri, per ottemperare al suo famoso motto «Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli» , aveva una mania davvero originale. Nel suo incessante desiderio di perfezionare la sua opera, si sottoponeva a una disciplina ferrea: si faceva letteralmente legare alla sedia dal suo servitore per impedire a se stesso di alzarsi prima di aver completato il compito prefissato. Una sorta di prigioniero volontario della sua stessa ambizione.

La figura di Truman Capote – genio votato all’eccesso e alla precisione – è indissolubilmente legata al mondo della moda e dell’alta società e al celeberrimo romanzo (e film, con l’iconica Audrey Hepburn) Colazione da Tiffany. Peraltro, è bene ricordare anche la sua opera forse migliore, A sangue freddo.
Anche nella sua vita privata, l’eleganza era una costante. Non sorprende quindi che anche il suo modo di scrivere fosse caratterizzato da una certa raffinatezza. Sdraiato sul divano, in abiti comodi o addirittura nudo, Capote si concedeva il lusso di lavorare in un ambiente che rispecchiava il suo stile di vita, creando un’atmosfera perfetta per la sua creatività.

Vladimir Nabokov, il celebre autore di Lolita, aveva un approccio del tutto peculiare alla scrittura. Anziché utilizzare un tradizionale quaderno o computer, preferiva comporre le sue opere su piccoli bigliettini, conservati con cura in scatole. Questo metodo gli consentiva di lavorare sulle scene in modo non lineare, riordinandole a suo piacimento e costruendo così la trama del suo romanzo come un mosaico.

Dan Brown, il celebre autore de Il Codice Da Vinci, rivela un metodo decisamente inusuale per superare il blocco dello scrittore: appendersi a testa in giù. Questa “terapia di inversione” lo aiuta a trovare la giusta concentrazione e a lasciar fluire la creatività, dimostrando che l’ispirazione può nascere anche dalle posizioni più impensabili.

Jack Kerouac, l’anima inquieta de Sulla Strada, era un nottambulo che trovava ispirazione nelle ore più buie. Circondato da un’aura quasi mistica, scriveva a lume di candela, scandendo il suo lavoro con rituali particolari: preghiere, numeri cabalistici (ripeteva ogni azione 9 volte) e l’osservazione della Luna. Questi gesti, apparentemente bizzarri, erano per lui indispensabili per entrare in contatto con la sua vena creativa più profonda.

Friedrich Schiller, per stimolare la sua musa, adottava un metodo quantomeno inusuale: riempiva un cassetto della scrivania di mele marce. L’acre odore e il leggero senso di malessere provocato dal gas metano sembravano agire da catalizzatore per la sua creatività, spingendolo verso vette poetiche inaspettate. De gustibus…

Virginia Woolf, la celebre autrice de Una stanza tutta per sé, aveva un rituale mattutino sacro: due ore ininterrotte di scrittura, armata di penne dai colori vivaci. L’inchiostro porpora era riservato alle missive, un tocco di eleganza e distinzione che rifletteva la sua personalità raffinata. Inoltre, non amava restare ferma alla scrivania. Anzi, spesso preferiva scrivere in piedi, muovendosi per la stanza e lasciando che le idee fluissero liberamente. Un metodo insolito, ma che le permetteva di dare vita a una prosa fluida e dinamica.
Questa abitudine apparteneva anche a Ernest Hemingway, Charles Dickens, Lewis Carroll e Philip Roth.

Anche Alexandre Dumas, il prolifico autore dei Tre Moschettieri, amava i colori e attribuiva loro un potere quasi magico, utilizzandoli secondo un preciso codice rituale. Ogni tonalità, per lui, era una chiave per aprire una porta diversa della sua creatività. Il blu profondo, con la sua aura di mistero e profondità, era il compagno ideale per le sue avventure. Il giallo, luminoso e allegro, stimolava la sua vena poetica, mentre il rosa delicato lo aiutava a esprimere le sue emozioni più intime. Un giorno, privo del suo amato blu, si sentì come un musicista costretto a suonare uno strumento sconosciuto.

Italo Calvino, il maestro della narrativa breve e della sperimentazione stilistica, aveva un’abitudine alquanto singolare: rosicchiava penne e matite fino a ridurle a schegge. Il suo collega di casa editrice Cesare Pavese, esasperato dal continuo ticchettio dei denti sulla grafite, lo soprannominò affettuosamente “scoiattolo”, sottolineando la sua somiglianza con un roditore intento a rosicchiare noccioline.

Honoré de Balzac, l’instancabile creatore della Commedia umana, aveva un segreto per alimentare la sua prodigiosa creatività: il caffè. Non un semplice caffè, ma una vera e propria ossessione. Si dice che ne consumasse fino a 50 tazzine al giorno, arrivando a mangiarne i chicchi crudi per un effetto ancora più stimolante. Un metodo brutale, come lo definì lui stesso, che lo portò al limite dell’esaurimento, ma che gli permise di scrivere ininterrottamente notte e giorno.